Brutte notizie per Gazprom, anzi da Gazprom: secondo un report interno e commissionato dallo stesso colosso energetico russo, le sanzioni occidentali hanno fatto talmente male che il gruppo non recupererà i proventi perduti per almeno un decennio. Ecco cosa scrive il Financial Times su uno studio che probabilmente doveva restare segreto e invece è finito nella sua redazione, un rapporto che indica anche a Putin e alla sua dirigenza una possibile alternativa rappresentata da quel Gnl che vede finora dominante i concorrenti di Novatek.
Un colpo letale a Gazprom
Gli effetti delle sanzioni su Gazprom, scrive il Ft citando un report di cui si conosce il periodo di redazione, ossia l’anno scorso, e la lunghezza di 151 pagine ma non gli autori, si misurano nel range compreso tra 50 e 75 miliardi di metri cubi di gas che il gigante russo già primatista del mercato esporterà annualmente fino al 2035 e che rappresentano un terzo dell’export pre-guerra.
“Le principali conseguenze delle sanzioni per Gazprom e per l’industria energetica”, scrivono gli anonimi estensori del documento, sono rappresentate dalla “contrazione dei volumi dell’export, che saranno ripristinati al loro livello del 2020 non prima del 2035”.
Disperazione
Il malumore domina nel quartier generale di Gazprom anche perché quegli introiti perduti a causa dei legami recisi dall’Occidente non potranno essere compensati dalla strategia russa di rivolgersi ai mercati orientali e in particolare a quella Cina con cui è in piedi da tempo, tra le altre cose, il progetto del nuovo gasdotto Power of Siberia 2.
Quell’opera, scrive il quotidiano ricordando le lungaggini che ne caratterizzano la partenza, dovrebbe infatti generare una volta a regime un flusso aggiuntivo di 50 miliardi di metri cubi. Non poco, naturalmente, ma del tutto insufficiente per far fronte alla perdita dei preziosi clienti dell’Ovest, tanto più che i prezzi che questi ultimi erano soliti pagare per l’energia ricevuta erano superiori rispetto a quelli concordati con Pechino.
“Il problema fondamentale”, è il commento offerto al quotidiano dal ricercatore di Harvard ed ex vicepresidente di Bank of America Craig Kennedy, “è che la maggior parte dei proventi arrivavano dall’Europa. Ma questi ora sono perduti, e il gas che prima si dirigeva in Europa non può essere spostato in un mercato altrettanto buono”.
Il fattore gasdotti e l’alternativa Gnl
A penalizzare Gazprom, riconosce il rapporto, è la dipendenza da un business legato alle sue infrastrutture materiali, ossia quei gasdotti che sono stati il primo target dei Paesi che hanno voluto colpirla anche con sanzioni relative alle tecnologie come le turbine impiegate negli stessi gasdotti o i pezzi di ricambio.
“Poiché Gazprom – osserva il rapporto in un altro stralcio riportato su Ft – non ha tecnologia propria per produrre Gnl in grandi quantità, (ma soprattutto) è l’unica compagnia che esporta gas via pipeline con volumi che si stanno contraendo, il ruolo di Gazprom nell’industria del gas diminuirà di conseguenza”.
Il fattore Gnl è lo stesso che determinerà la crescita dell’influenza di un altro gruppo russo come Novatek che, a differenza di Gazprom, con il gas liquefatto ha sviluppato da tempo un lucroso business.
Business che, sempre secondo il rapporto, è destinato a veder crescere ulteriormente nel futuro il ruolo del Paese, con volumi di export che dai 40,8 miliardi di metri cubi del 2020 raggiungeranno e forse supereranno i 100, rappresentando così la metà di tutto il gas esportato dalla Russia.
L’inevitabile collaborazione?
Se il Gnl rappresenta una fonte di entrate meno incerta su cui Mosca può puntare, notano gli autori del rapporto, si profilerebbe una via di uscita per Gazprom: avvalersi delle infrastrutture e del know-how di Novatek per entrare in quel mercato e scongiurare così l’inevitabile ridimensionamento.
“Per lo Stato”, osserva ancora Kennedy, “la cosa logica da fare è combinare le forze dei due (gruppi)”.
Per seguire questa strada tuttavia, sarebbero necessari cospicui investimenti nella costruzione di nuovi terminal Gnl nella costa orientale russa, incentivando così la diversificazione di un export che per ora sconta un’eccessiva dipendenza da quella Pechino che tende a pagare poco.