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Fiumi Tombati

I fiumi tombati sono causa di alluvioni

Intrappolare i corsi d'acqua sotto terra per costruirci sopra non è una grande idea. Eppure in Italia i fiumi tombati equivalgono a 12mila chilometri. In caso di forti alluvioni però c'è il rischio che esplodano per ricordarci la loro esistenza. Ecco dove si trovano e cosa dicono gli esperti

 

I fiumi tombati sono tra le principali cause delle alluvioni. Su questo concordano molti meteorologi che sono intervenuti per parlare degli eventi estremi verificatisi negli ultimi giorni. In particolare a Bologna, dove è esploso il Ravone, che era stato sepolto da strade e cemento per poterci costruire sopra.

Ma si tratta solo di uno dei tanti casi nel nostro Paese. Il numero dei fiumi tombati in Italia, infatti, non è ancora noto. Si dovrebbe conoscere l’anno prossimo, come previsto da uno degli obblighi dalla nature restoration law. Tuttavia, un’idea con alcuni dati è possibile farsela.

COSA SONO I FIUMI TOMBATI

Scorrono per migliaia di chilometri sotto case e strade italiane. Sono i fiumi tombati, rinchiusi e nascosti per guadagnare spazio edificabile. Il loro flusso naturale viene deviato per essere trasformato in un canale sotterraneo, ma quando arrivano grandi piogge, come quelle che si sono verificate negli ultimi due anni, quei corsi d’acqua fantasma riemergono con forza e inondano le stesse strade che li hanno soffocati.

È quanto successo a Bologna, dove il Reno, l’Aposa e il Ravone, i fiumi che in città erano stati tombati, sono esplosi.

IL CENSIMENTO DEI FIUMI TOMBATI IN ITALIA

Quella dei fiumi tombati è una pratica dell’era napoleonica di cui in Italia non si ha totale contezza. Si sa però che coinvolge dodicimila chilometri di corsi d’acqua, “più o meno la distanza che separa Roma da Honolulu”, scriveva l’anno scorso Linkiesta.

Un censimento (invocato l’anno scorso dal ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare Nello Musumeci), tuttavia, non c’è ancora, ha ricordato Andrea Goltara del Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale, uno dei massimi esperti di idraulica fluviale in Italia. Dovrebbe arrivare nel 2025, in linea con quanto previsto dalla dalla nature restoration law, la proposta di legge europea per il ripristino degli ecosistemi a cui l’Italia, insieme ad altri Paesi, si sta opponendo.

ALCUNE TRA LE CITTÀ PIÙ A RISCHIO

Oltre a Bologna anche i capoluoghi di Liguria e Lombardia sono “miniere” di fiumi tombati. “Genova è la città martire dei fiumi tombati, ne conta cinquantadue chilometri, così come Milano registra una media di allagamenti del Seveso di uno-due volte all’anno”, spiegava a Linkiesta Erasmo D’Angelis, ex sottosegretario di Stato al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che nel 2014 guidò ItaliaSicura, task force incaricata di progettare opere di prevenzione durante il governo Renzi.

“Il Seveso – proseguiva – trasporta fiumi sotterranei per circa nove chilometri sotto Milano. Si può dire che il capoluogo lombardo sia una città nata sull’acqua perché era un’antica palude, tant’è che sotto Milano scorrono trecentosettanta chilometri di corsi d’acqua e di canali artificiali. Per esempio l’opera realizzata nel Parco Nord, che contiene duecentocinquanta metri cubi di metri d’acqua del Seveso, può essere considerata un modello virtuoso”.

Franco Prodi, fisico dell’atmosfera, parla invece al Corriere della sera di Bologna: “Mi ricordo le stampe di una volta, in via Riva di Reno a Bologna, dove adesso c’è un parcheggio e che sabato c’è stata l’esondazione, c’erano le lavandaie. Era una città di canali, con un porto e un’industria tessile fiorente grazie all’acqua. Adesso per vedere un canale devi aprire uno sportellino. Le tombature sono state un errore, perché c’è sempre un evento eccezionale che le fa saltare”.

ABUSO EDILIZIO, NORMATIVA E TERRENI INFERTILI

E proprio l’abuso di costruzioni ha portato a un uso sfrenato e sregolato del tombinamento. Nell’Ottocento, ricordava infatti Linkiesta, i fiumi tombati si usavano per ragioni sanitarie, ma negli anni Sessanta e Settanta si è abusato delle zone paludose, amplificando il rischio idrogeologico.

“Tombare i fiumi è una delle prassi più dannose da un punto di vista ambientale, ha portato solo a malanni perché i corsi d’acqua per loro natura tendono a variare nel tempo”, aveva detto l’ingegner Antonio Rusconi, ex dirigente del ministero dei Lavori pubblici e segretario dell’Autorità di bacino dei fiumi dell’Alto Adriatico. Inoltre, aggiungeva l’esperto, “L’articolo 106 del Testo unico ambiente del 2000 ne vieta l’utilizzo. Perché l’Italia non considera invece la direttiva europea sulle alluvioni 2007/60?”.

A tutto questo, osservava Franco Ferroni, responsabile agricoltura di Wwf Italia, si aggiunge che quando acqua e fango si ritirano l’ambiente che rimane è tutt’altro che sostenibile: “l’acqua delle alluvioni ha lavato via quel poco di sostanza organica che contenevano, ciò vuol dire che in futuro avremo terreni molto poveri e l’unico modo per recuperare la fertilità sarà attraverso un piano di fertilizzazione naturale”.

QUALI SOLUZIONI

Il recupero di terreni per restituire ai fiumi quello stesso spazio che gli è stato tolto è dunque una condizione fondamentale per evitare catastrofi evitabili perché, come ha detto Prodi, nonostante ogni volta sembra che si verifichino eventi mai accaduti prima, dal 1995 al 2000 “non è emersa una sequenza in aumento dai primi del ‘900”, ma è stato invece osservato un “aumento di danni e di vittime, perché la gente costruisce dove non dovrebbe”.

Secondo l’esperto, infatti, prevedere e contenere il rischio alluvioni è possibile combinando la radar meteorologia avanzata e l’idrologia di bacino, “ma non viene fatto”.

“L’acqua è nell’atmosfera, si può vedere, calcolare e misurare – afferma Prodi -. I modelli tecnologici più avanzati ci dicono dove sarà l’esondazione e c’è un po’ di tempo per saperlo prima”. Ecco perché il suo consiglio al presidente della regione Emilia-Romagna, ma non solo, è: “Avete 2 radar meteorologici ottimi, perché non li utilizzate per fare previsioni all’avanguardia? E poi tutto il resto: proteggere gli argini, togliere gli alberi dai greti, non costruire dove non si può”.

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