Per risolvere l’incertezza sul futuro di Acciaierie d’Italia, in amministrazione straordinaria e in serie difficoltà economiche, lo stabilimento ex Ilva di Taranto “va trattato come un asset militare”. È la proposta di Antonio Gozzi (nella foto), presidente di Federacciai, la federazione delle imprese siderurgiche italiane, espressa nel corso del convegno “Siderurgia 2050” organizzato da Confindustria Udine la settimana scorsa.
L’ACCIAIO DELL’EX ILVA E LE SPESE PER LA DIFESA
Secondo Gozzi, la sopravvivenza di Acciaierie d’Italia è una questione di sicurezza nazionale per due ragioni: perché l’acciaio è necessario all’industria della difesa; e perché l’ex Ilva di Taranto è l’unico stabilimento a ciclo integrale in Italia, capace cioè di produrre acciaio primario, ricavato dal minerale di ferro.
“Non possiamo aumentare le spese per la difesa“, ha detto Gozzi, “e allo stesso tempo acquistare le lamiere per Fincantieri chissà dove”. Il rischio sarebbe quello di sviluppare una dipendenza profonda dalle importazioni, provenienti magari dalla Cina, che di acciaio è la maggiore produttrice ed esportatrice al mondo.
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LA SITUAZIONE DI ACCIAIERIE D’ITALIA È “INSOSTENIBILE”, DICE GOZZI
Gozzi ha criticato poi la situazione della forza lavoro di Acciaierie d’Italia, spiegando che avere “diecimila dipendenti per produrre cinque milioni di tonnellate [di acciaio, ndr], gli stessi di quando si producevano dieci milioni, è insostenibile”.
Il presidente di Federacciai ha anche voluto sottolineare la differenza tra “ambientalizzazione” e “decarbonizzazione” dell’ex Ilva: con il primo termine si riferisce alla riduzione delle emissioni di sostanze nocive per la salute umana, mentre con il secondo alla riduzione delle emissioni di CO2 associate alla produzione di acciaio.
Parlando di ambientalizzazione, Gozzi ha detto che l’impianto di Taranto è “uno dei più ambientalizzati del mondo” e incide “sempre meno sulla salute”. Quanto alla decarbonizzazione, invece, “per realizzare gli impianti di Dri [riduzione diretta del ferro, ndr] con i forni elettrici ci vorrà ancora qualche anno: impossibile pensare che si possano fare in tempi brevi”.
La produzione di acciaio tramite altoforno è il processo che rilascia più CO2, dato l’utilizzo del carbone coke. Per ridurre queste emissioni è possibile – come previsto dal piano industriale di Acciaierie d’Italia, peraltro – abbinare degli impianti di riduzione diretta del ferro con dei forni elettrici ad arco: i primi utilizzano il gas naturale (o l’idrogeno, in prospettiva) anziché il coke, mentre i secondi sono alimentati a elettricità.
Il passaggio al processo riduzione diretta-forni elettrici è costoso, però, visti gli alti prezzi del gas e dell’elettricità in Italia. Mentre l’idrogeno verde, prodotto a sua volta utilizzando l’elettricità da fonti pulite, sembra essere ancora lontano dall’affermazione commerciale. A questo proposito, Gozzi ha dichiarato che l’idrogeno andrebbe immesso negli impianti di riduzione diretta con una quota del 70 per cento rispetto al gas naturale “dopo il quarto anno”, ma “la decarbonizzazione con l’idrogeno in queste percentuali non si può fare”.
COSA PENSA CALENDA
“Ilva chiuderà, è scritto ormai da anni. Ci resta solo da capire quanti miliardi butteremo nel frattempo”, ha detto Carlo Calenda, segretario di Azione ed ex ministro dello Sviluppo economico, al Foglio. Nel colloquio con Ruggiero Montenegro definisce le invocazioni all’acciaio green “cavolate di gente che non aveva idea di cosa stesse dicendo” e invita piuttosto le autorità a lavorare per ridurre il prezzo dell’energia alle imprese, una condizione che rappresenta una grossa difficoltà specialmente per i comparti energivori come la siderurgia.
Secondo Calenda, la degenerazione della crisi dell’ex Ilva è stata causata dal governo di Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle, che ritiene colpevole di aver “disfatto” un “accordo blindato” – il cosiddetto scudo penale ad ArcelorMittal, l’ex-proprietario – per “compiacere” Barbara Lezzi, ministra per il Sud dal 2018 al 2019 e contraria all’acciaieria tarantina.
L’ULTIMA MOSSA DEL GOVERNO PER ACCIAIERIE D’ITALIA
Nel decreto-legge del 12 giugno, dedicato alle “misure urgenti relative a crisi industriali”, il governo ha stanziato 200 milioni di euro ad Acciaierie d’Italia “al fine di garantire la continuità produttiva e mettere in sicurezza gli impianti”, in particolare dopo l’incendio all’altoforno 1, avvenuto a maggio.
Calenda ha detto al Foglio che, “invece di ipotizzare cose stravaganti” per salvare l’ex Ilva, l’esecutivo farebbe meglio “a trovare i 15 miliardi necessari per fare le bonifiche quando l’acciaieria sarà definitivamente chiusa”.