Svolta green sì, ma con giudizio. Il Consiglio dei ministri europeo apprezza il piano della presidente Ursula von der Leyen sulla sostenibilità e la lotta ai cambiamenti climatici, ma avverte di tenere in considerazione gli impatti su tutte le altre aree politiche.
Una raccomandazione che dovrà essere recepita nei decreti e nei provvedimenti che il Parlamento europeo adotterà. I ministri, insomma, si aspettano una buona legislazione. Qualcosa che alla fine non appesantisca il già complesso sistema di regole comunitarie. Il messaggio politico è chiaro.
L’Europa vuole diventare il primo continente a combattere i mali del pianeta, ma ha l’obbligo di verificare bene e prima, le conseguenze delle proprie decisioni. Gli effetti sul sistema economico e produttivo dei singoli Paesi. Obiettivamente le piccole e medie imprese – centrali nel sistema Italia – sono quelle che “rischiano” di più dinanzi a provvedimenti restrittivi sulle emissioni in atmosfera, sulle tutele ambientali, sui cicli di lavorazione. Non a caso un punto di attenzione del Consiglio dei ministri riguarda il rapporto costi-benefici. Quello che fanno i piccoli imprenditori, a corto di capitali e a caccia di mercati. Il Consiglio europeo faccia sempre, a monte dei provvedimenti, analisi precise. Nel peggiore dei casi fornisca motivazioni comprensibili. Abbiamo visto cosa è successo in Italia per la tassa sulla plastica e gli impatti sulle imprese del settore.
Quello che la Commissione deve fare è aprire subito una discussione approfondita, di merito sui singoli settori con tutte le rappresentanze industriali e dei lavoratori per fare bene e presto. Si dirà che questo è già il metodo di lavoro della Commissione, del suo apparato burocratico, dei gruppi politici, metodo consolidato da interessi e lobby transnazionali.
Ma è questa volta che l’Europa deve dimostrare a se stessa e ai suoi popoli di saper guardare avanti -molto avanti- per costruire un futuro vivibile e quanto più omogeneo in economia, nelle città , nei rapporti economici. Le fonti rinnovabili sono in crescita da qualche anno. Ma non tutti i Paesi sono pronti ad accelerarne l’utilizzo, per la semplice ragione che le loro economie hanno strutture e squilibri differenziati. Le fonti tradizionali, come il gas, benché caratterizzanti la fase di transizione al nuovo scenario – anche dentro il Green new deal della von der Leyen – manderanno avanti l’Europa per molti anni ancora.
Cosa sono i gasdotti in costruzione per miliardi di euro se non la controprova di accordi tra Paesi, già in epoca di green economy, per lo sfruttamento e l’uso su larga scala di fonti fossili? Davvero le emissioni nocive potranno ridursi del 65% al 2030, come chiede legittimamente Legambiente? Domande di oggi che guardano al 2050. È sempre gli ambientalisti riconoscono che abbiamo davanti traguardi raggiungibili soltanto “se tutte le politiche europee verranno riviste per contribuire al raggiungimento della neutralità climatica”. La politica: la chiave di tutto.