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Libia

Eni, Total, Repsol. Come schizzano le tensioni sul petrolio libico della Noc dopo il forcing di Haftar

L'articolo di Alessandro Sperandio

Le tensioni tra Italia e Francia di queste ultime settimane sono solo la punta dell’iceberg di uno scontro sotto traccia (ma non troppo) che si sta consumando anche in Libia. Il paese nordafricano, ricco di risorse fossili, è da sempre al centro delle attenzioni dei colossi energetici dei Paesi europei per il petrolio (Eni nel caso dell’Italia). E le aziende francesi vedono nel gas libico un’importante fonte per sostituire le centrali nucleari francesi, ormai obsolete e costose da rimpiazzare.

L’OFFENSIVA DI HAFTAR NEL SUD DEL PAESE

Gli osservatori di cose energetiche legate alla geopolitica stanno osservando le ultime mosse di Haftar in particolare. Infatti il maresciallo Khalifa Haftar, che controlla le Forze armate libiche (LNA), appoggiato dalla Francia, ha lanciato ormai da metà gennaio un’offensiva nella regione meridionale del Fezzan che se avesse successo “consentirebbe al capo militare del governo di Tobruk di estendere la propria influenza dalle terre orientali della Cirenaica sul sud del Paese – da sempre terra di nessuno e teatro di scorribande di milizie e trafficanti di esseri umani che operano sul confine con il Niger e il Ciad – accreditarsi sempre più come interlocutore della comunità internazionale e accerchiare, non solo politicamente, il governo di Fayez Al Sarraj, appoggiato dall’Italia” e dall’Onu, sottolinea il Fatto Quotidiano.

PRESO IL CAMPO PETROLIFERO DI AL SHARARA. PRODUCE UN TERZO DELL’OFFERTA PETROLIFERA LIBICA

Nell’ambito di questa operazione, il portavoce delle Forze armate libiche ha annunciato la presa del campo petrolifero di Al Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, la cui produzione era bloccata da 2 mesi. Il sito è strategico per l’economia dell’intera Libia e per gli Stati che hanno interessi petroliferi nel Paese: gestito dalla società Akakus, joint-venture tra la Noc – la compagnia petrolifera nazionale controllata dal governo di Fayez Al Sarraj, principale interlocutore dell’Italia – la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil, l’impianto ha una capacità di produzione di circa 315mila barili al giorno, quasi un terzo della produzione libica totale. “Una conquista che, fosse confermata, conferirebbe al generale un fortissimo potere contrattuale nello scenario delle elezioni politiche previste entro l’anno”, scrive ancora il Fatto Quotidiano.

CONFUSIONE SU CHI CONTROLLA GLI IMPIANTI DI SHARARA

E pensare che nel vertice di Palermo di qualche mese fa, organizzato dall’Italia, Haftar incontrando Serraj con la mediazione del premier Giuseppe Conte “aveva promesso che in vista di un accordo politico per le elezioni avrebbe fermato le sue operazioni militari”, scrive La Repubblica aggiungendo che tuttavia “con la motivazione delle operazioni anti-terrorismo e con la benedizione politica e l’assistenza militare della Francia, Haftar si è rimesso in cammino”. Non solo puntando su Sharara ma anche su El Feel “un altro pozzo petrolifero da 70mila barili al giorno. Ed è all’aeroporto di El Felle, secondo Reuters, che in quelle ore era atterrato il velivolo del generale Alì Kunna, il nobile tuareg ex alleato di Gheddafi nominato da Sarraj a capo delle forze militari del Sud delle Libia”. Il generale Alì Kunna “era arrivato in zona per andare ad ispezionare il campo petrolifero di Sharara – ha aggiunto il quotidiano romano -. L’ufficio stampa di Haftar ha dichiarato che il complesso è sotto il suo controllo, mentre alcune milizie locali non alleate del generale sostengono che i miliziani di Haftar sono nell’area ma non controllano gli impianti”.

HAFTAR CONTROLLA GIÀ LA COSIDDETTA MEZZALUNA PETROLIFERA COSTIERA

La LNA, la forza militare più grande e meglio organizzata della Libia, ricorda Bloomberg, “controlla già la cosiddetta mezzaluna petrolifera, una zona costiera in cui incidono i principali terminali di esportazione. La sua spinta verso sud, verso Sharara, ha nutrito timori tra i nemici di Haftar e una crescente preoccupazione nel mercato petrolifero per la stabilità dell’approvvigionamento nel paese con le maggiori riserve di greggio provate dell’Africa”. Il generale ha però già chiesto alla Noc di dichiarare lo status giuridico di “forza maggiore” per “proteggersi da una parte dalla responsabilità nel caso in cui non sia in grado di adempiere al contratto per motivi che esulano dal suo controllo. Tuttavia, la Noc non ha ancora dato istruzioni per riavviare la produzione sul campo, secondo quanto riferito dai tecnici”, osserva ancora Bloomberg.

IN DUBBIO IL PIANO DI AUMENTARE LA PRODUZIONE A 2,1 MILIONI DI BARILI AL GIORNO ENTRO LA FINE DEL 2021

Il problema principale è proprio la questione degli approvvigionamenti. Lo scorso giugno, ad esempio, gli scontri nel paese e la conquista da parte di Haftar di due importanti terminal di esportazione e il loro trasferimento ad un’autorità petrolifera della Libia orientale non riconosciuta a livello internazionale, ha privato il mercato di circa 800.000 barili al giorno e la Libia ha perso 930 milioni di dollari di vendite. È evidente quindi che “la mancanza di chiarezza su ciò che sta accadendo ora nel sud mette in dubbio il piano di aumentare la produzione a 2,1 milioni di barili al giorno entro la fine del 2021. Le turbolenze interne del paese hanno indotto l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio a dicembre a esonerare la Libia dal partecipare ai tagli alla produzione globale”, ha ammesso Bloomberg.

A RISCHIO L’INCONTRO SUL FUTURO DELLA LIBIA PROGRAMMATO DALL’ONU PER I PROSSIMI MESI

Naturalmente le preoccupazioni di al Serraj al momento sono quelle di evitare che Haftar prenda il controllo definitivo del giacimento di Sharara e ha spedito le truppe fedeli al governo riconosciuto verso sud. Ma questo complica la situazione. Come spiega il Guardian, “nei prossimi mesi (forse già il prossimo mese) le Nazioni Unite avevano in programma l’organizzazione di un incontro per il futuro della Libia, che aveva lo scopo di portare a delle elezioni e a una nuova Costituzione. L’attuale situazione rende però tutto ancora più difficile di quanto già non fosse”.

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