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Tutte le nuove fiammate tra fazioni in Libia sul petrolio

L'analisi del Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali presieduto da Andrea Margelletti

Giovedì 20 dicembre, il Colonnello Ahmed al-Mismari, portavoce dell’Esercito Nazionale Libico (Enl) guidato dal Generale Khalifa Haftar, ha annunciato l’avvio di un’offensiva presso al-Sadada. La località è situata circa 200 chilometri a sud-est di Tripoli, sede del Governo di Unità Nazionale (Gun) guidato da Fayez al-Sarraj, e a soli 100 da Misurata, roccaforte delle più potenti milizie del Paese.

L’attacco, guidato dalla Brigata Tareq Bin Ziyad con il supporto delle Brigate 115, 116 e 128 dell’Enl, ha l’obiettivo di contrastare le milizie di Ibrahim al-Jadhran, ex capo delle Guardie Petrolifere (Gp) della cosiddetta Mezzaluna Petrolifera, zona nell’entroterra del Golfo di Sirte dove sono situati i principali bacini idrocarburici del Paese. Infatti, Jadhran era stato cacciato dalla Mezzaluna a fine 2016 dalle forze di Haftar, ma era riuscito a riorganizzarsi più a sud, in quella zona di contatto tra Tripolitania e Cirenaica non controllata da alcun centro di potere libico. Inoltre, il capo delle GP è riuscito anche a stringere un’alleanza tattica con le Brigate di Difesa di Bengasi, gruppo salafita-jihadista ostile ad Haftar e attivo nella stessa area.

Ciò ha permesso a Jadhran di effettuare diverse incursioni nella Mezzaluna Petrolifera negli ultimi due anni. La più significativa è stata sinora quella del 14 giugno 2018, quando un attacco a Sidra e Ras Lanuf è risultato nella distruzione di buona parte dei siti di stoccaggio di petrolio operativi, causando seri danni alla produzione petrolifera nazionale.

La prossimità di al-Sadada a Tripoli e a Misurata ha portato però immediatamente il Gun a condannare fortemente l’attacco, bollandolo come una provocazione ingiustificata e una violazione dello status quo. Infatti, si tratta dell’offensiva più a ovest mai compiuta da Haftar. Dunque, la crescita della tensione tra Haftar e il Gun rischia di rallentare o, addirittura, congelare il processo diplomatico e di riconciliazione nazionale guidato dall’Onu che, dopo la Conferenza di Palermo di novembre 2018 e la concomitante pubblicazione del nuovo Piano d’Azione del Palazzo di Vetro, sembrava aver trovato un accordo minimo tra le principali fazioni libiche per emendare la Costituzione e tenere elezioni politiche entro giugno 2019.

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