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Green Recovery Sostenibilità

Energia, quando la spesa pubblica non è green

Solo un terzo delle gare per forniture energetiche rispettano il Gpp (Green public procurement). Tutti i numeri dell'Osservatorio Appalti verdi di Legambiente e dalla Fondazione ecosistemi nel corsivo di Nunzio Ingiusto

 

Si fa e non si dice. Vogliamo l’Italia più green e sostenibile, ma se lo affermi devi essere coerente. Invece sembra che la Pubblica amministrazione quando fa acquisti metta da parte quella che
– nostro malgrado – ci appare la retorica politica per un’Italia ecosostenibile. Gli impatti ambientali, l’inquinamento, il risparmio energetico non sono ancora nelle corde dello Stato acquirente. Spende 170 miliardi all’anno, ma ne destina solo 40 agli acquisti ecocompatibili. Tutto nelle mani di una classe dirigente che dovrebbe, invece, rispettare il Green public procurement (Gpp). Quel sistema in vigore per le gare pubbliche previsto anche dal Codice degli appalti.

I dati aggiornati sullo Stato spendaccione arrivano dall’Osservatorio Appalti verdi di Legambiente e dalla Fondazione ecosistemi. Un business importante, in crescita, un aiuto vero per tante aziende virtuose pronte a dare una mano nel passaggio ad un nuovo modello sociale. Convegni e talk show sono pieni di gonfie dichiarazioni ambientaliste, scarsamente rilevate poi sul campo. Alla fine bisognerà darne conto, perché i soldi sono di tutti.

L’Osservatorio Appalti verdi è l’unica azione di monitoraggio civico del Green Procurement e ci auguriamo che il nostro lavoro possa rappresentare uno stimolo per le istituzioni, ha detto il direttore di Legambiente, Giorgio Zampetti. Purtroppo non risulta la stessa capacità di analisi al ministero dell’Ambiente. Per il ministro Sergio Costa, la Pubblica Amministrazione – e per assimilazione, il governo – è sulla buona strada perché il giro d’affari è salito rispetto ai 9,5 miliardi del 2017.

Nei Comuni e nelle Regioni, lo squilibrio tra ciò che si dice e quello che avviene nella pratica è palese. Se hanno bisogno di acquisti di energia gli “eletti del popolo“ non vanno per il sottile, in cerca di quello che impatta di men sull’ambiente.

Così abbiamo saputo che solo un terzo delle gare per forniture energetiche rispettano il Gpp. Fotovoltaico, cappotto termico, isolamento, caldaie efficienti, scuole meno fredde, sono termini poco rintracciati nei bandi e nelle delibere.

Colpa delle strutture periferiche dello Stato che indicono le gare, si dice. Noi pensiamo, invece, che qualcosa non funzioni a livello centrale. In particolare non funziona un sistema preventivo di valutazione dei bandi, con parametri e punteggi chiari per dare efficacia sostenibile agli acquisti.

C’è di mezzo la politica, tutta ormai verosimilmente fulminata sulla via della transizione energetica. La capacità dello Stato per un orizzonte ad impatto ambientale decrescente deve esprimersi non solo a livello burocratico. L’energia assieme all’edilizia pubblica, al verde pubblico, ai rifiuti sono spazi infiniti per lo Stato per reindirizzare la propria spesa.

Non servono i proclami dalle tribune e dai congressi se appena il 15,6% controlla, mediante i Criteri ambientali minimi (Cam), la qualità degli acquisti. È l’ approccio che non va, oltre ad una macchina amministrativa debole.

Molte grandi città soffrono per i rifiuti e per gli appalti alle ditte vincitrici. Eppure poco più di un terzo (32,1%) dei sindaci di città capoluogo adotta criteri ambientali per gestire il sistema. Poi abbiamo città sommerse da spazzatura e l’uso di discariche fuori legge.

Che senso hanno le parole di tanti leader se lo Stato lavora in questo modo? E se la mano pubblica cammina con questo passo, il traguardo della sostenibilità per i cittadini diventa poco più che un’immagine lontana. Per giunta sbiadita.

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