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Rinnovabili

Energia e clima in Italia tra fatti, obiettivi e proclami

Il Punto di Nunzio Ingiusto su quello che si fa e si dice in Italia su clima ed energia

Non basteranno le buone intenzioni del governo ad abbassare l’inquinamento delle città e a far crescere le energie rinnovabili. In attesa di vedere i primi veri risultati del green new deal annunciato in lungo e in largo da Conte, il mondo della mobilità italiana (sulla via del riscatto ambientale) si organizza. Affianco o oltre il movimento “frydais for future” che ieri ha manifestato compatto. Le aziende fanno investimenti milionari per abbassare le immissioni di Co2 nell’aria e ci compiaciamo che Eni, Enel, Edison, Terna siamo ormai sulla strada giusta. Recuperano il tempo passato mentre fanno i conti con le centrali da ristrutturare e i contratti di fornitura di gas e petrolio già sottoscritti. Insomma sono in partita e per questo vengono osservati più e meglio di quanto accadeva negli anni scorsi. I titoli in borsa sono ben valutati e i movimenti ecologisti analizzano sempre più in profondità le strategie dei top manager. La transizione ad un nuovo modo di vivere più salutare, meno nocivo per noi e i nostri figli non è certamente facile. I cittadini (non solo i giovani) cominciano ad essere stanchi di proclami e dichiarazioni. Tutto sommato -a maggior ragione dopo i cortei di ieri- le buone intenzioni rischiano di restare sulla sabbia.

L’ottimismo è una malattia da cui la classe dirigente di un Paese può guarire. Anche in fretta, se a somministrare la cura sono persone competenti ed interessate a risultati reali. Dinanzi agli sfracelli ambientali di casa nostra, alla mobilità affidata a mezzi privati e inquinanti Enea, CNR, Aci si spingono a dire in questi giorni che l’Italia riuscirà a sfiorare l’obiettivo 2030 di minori emissioni di Co2 nell’aria. Sono esperti di mobilità e dobbiamo ritenere ottimisti anche loro? Hanno proiezioni e dati che apparentemente danno sostegno al governo. Solo apparentemente, a nostro parere, perché nel loro ultimo studio curato con la Fondazione Caracciolo, dicono che per raggiungere quegli obiettivi nei prossimi undici anni bisogna, “adottare politiche che incentivino la sostituzione dei mezzi di trasporto più vecchi e più inquinanti, sia pubblici che privati”.

La partita si gioca sulla riduzione di 49 milioni di tonnellate di CO2. Le automobili circolanti vi contribuiranno pesantemente, purché si mettano in campo quelle politiche che incentivino la sostituzione dei mezzi di trasporto più vecchi e più inquinanti, si promuova in modo adeguato il trasporto pubblico e la mobilità condivisa e ciclopedonale. Ma qui è il punto. Nessuna dichiarazione di intenti, per quanto onesta, può cambiare lo stato delle cose finché non si vedono i risultati. Ci vogliono atti concreti. E dalla maggioranza, guarda caso, continuano ad arrivare ordini del giorno, mozioni, emendamenti che spostano in avanti le decisioni.

L’ultima mozione è quella del Pd che ha chiesto al governo la dichiarazione dello stato di emergenza climatica ed ambientale. Un rilancio di una precedente mozione, ora che Bruxelles ha certificato lo stato di emergenza climatica nella vecchia Europa. L’Italia, però, ha il fardello di 19 miliardi di euro di sostegno alle energie fossili, sotto forma di accise, sconti, rimborsi. Soldi che ruotano intorno alla mobilità alimentata prevalentemente da benzina e gasolio.

L’evoluzione tecnologia e la crescita dell’elettrificazione dei veicoli vanno bene, dice lo studio della Fondazione Caracciolo. Nei prossimi anni sarà possibile “raggiungere una nuova mobilità sostenibile, che salvaguardi il diritto universale alla mobilità e garantisca un significativo miglioramento della qualità dell’aria”. Il governo, allora, da un lato deve pensare a come sostituire -ovvero eliminare del tutto dal 2020 i contributi alle energie tradizionali- dall’altro deve mantenere la parola data per una svolta autenticamente ambientalista. Una condizione complicata . Chi conosce le cose delle company e del loro marcato no green, sa che la strada è accidentata. Ancora di più quando uno dei partiti di governo chiede la  “riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi attraverso un percorso che contempli ipotesi alternative e compensative”. Siamo sicuri che così si va verso un green new deal?

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