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Emissioni di CO2: chi, dove, come, quando?

L'approfondimento di Luca Longo

C’è chi dice che i Paesi occidentali, Stati Uniti e Europa in testa, siano i principali responsabili dell’aumento di anidride carbonica in atmosfera. Chi invece sostiene che bisogna guardare a Cina, India e ai Paesi dell’Estremo Oriente per trovare i più grandi produttori di emissioni carboniose e quelli con il maggior tasso di aumento. Chi ha ragione?

Tutti ma nessuno. A chiarirci le idee arriva l’ultimo rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA): l’organizzazione mondiale che dal 1974 studia come viene prodotta, distribuita e utilizzata l’energia mondiale.

Nel 2019, recita il rapporto, le emissioni mondiali si sono stabilizzate a 33 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 — in linea con i risultati dell’anno precedente — mentre nel 2016 e 2017 erano cresciute da 32,2 a 32,7 Gt.

Osservando i dati, osserviamo che negli ultimi 50 anni, le maggiori emissioni di CO2 sono arrivate da Stati Uniti e Paesi europei e che la produzione di idrocarburi ha dato il contributo più elevato al totale.

Oggi, invece, la Cina produce 9,481 Gt di anidride carbonica, quasi il doppio di quella emessa dagli Usa (4,888 Gt). Tuttavia, guardando alla produzione pro capite e ricordando che la Cina è quattro volte più popolosa degli Usa, le stesse cifre potrebbero essere lette a riprova che gli americani sono in realtà singolarmente responsabili di oltre il doppio delle emissioni prodotte dai cinesi.

Se poi sommiamo le emissioni degli ultimi degli ultimi 50 anni, scopriamo che stavolta gli Stati Uniti battono la Cina 10 a 1: si passa, rispettivamente, dalle 1200 tonnellate alle 120 tonnellate pro-capite.

Quest’ultimo dato è ancora più significativo se si pensa che esso include i trent’anni del boom economico cinese iniziato negli anni ’90. Anche se la Repubblica Popolare e gli Stati Uniti si contendono il primo posto al mondo fra le potenze industriali, la Cina si trova al diciassettesimo per le emissioni storiche pro capite, mentre gli Stati Uniti mantengono il primo posto in questa poco invidiabile classifica delle emissioni, ovviamente collegata a quella dei consumi.

I due massimi produttori mondiali hanno entrambi aumentato le emissioni negli ultimi due anni, ma in modo diverso. Da un lato, la Cina, che ha ancora un grande potenziale di sviluppo in termini di urbanizzazione, qualità della vita e industrializzazione, ha registrato un aumento delle emissioni del 2,5%. Dall’altro lato, gli Usa, già altamente urbanizzati e industrializzati, sono arrivati a un aumento superiore al 3,1%.

L’India, il secondo Paese nel mirino dei media americani, è senza dubbio la nazione più inquinata al mondo e con il maggiore aumento delle emissioni di anidride carbonica negli ultimi due anni – 4,8% – rispetto alla media mondiale del 1,7%. Tuttavia, New Delhi contribuisce solo con il 7% al totale delle emissioni mondiali. Negli ultimi 50 anni, poi, ha prodotto mediamente 40 tonnellate di anidride carbonica pro capite all’anno contro le 1.200 degli americani.

E l’Europa? Il Vecchio Continente, nello stesso periodo, ha calato le emissioni del 1,3%, e secondo l’ultimo rapporto del Global Carbon Project è responsabile dell’emissione di 2,9 Gt di CO2, pari al 9,6% delle emissioni globali e in netto calo rispetto ai 3,5 Gt del 2017 e ai 3,1 Gt del 2018. Il passaggio dai fossili alle rinnovabili e dal carbone al gas naturale ha portato da soli a un calo di 0,12 Gt sul totale di 0,16 Gt di riduzione rispetto all’anno precedente. Infatti, nel 2019, l’elettricità prodotta da centrali termoelettriche alimentate a carbone è crollata del 25% nell’Europa a 28 (Gran Bretagna compresa), mentre le centrali a gas sono aumentate del 15% superando complessivamente la produzione elettrica da carbone.

Nella classifica dei maggiori emettitori pro capite di anidride carbonica a livello mondiale negli ultimi 50 anni, dopo il primo posto assegnato agli Usa, seguono Canada, Arabia Saudita, Germania, Olanda, Gran Bretagna, Finlandia, Norvegia, Giappone, Svezia, Israele, Francia, Italia. Quest’ultima si piazza al tredicesimo posto e prima di Svizzera e Spagna, con una produzione pro capite spalmata negli ultimi 50 anni pari a 350 tonnellate per abitante: poco più di un quarto di quella degli Usa.

In conclusione, se è vero che India, Thailandia, Indonesia e altri Paesi emergenti guidati dalla Cina stanno sviluppando industria, urbanizzazione, ricchezza, welfare, e con questi anche le proprie emissioni, è anche vero che Nord America e Europa, pur contenendo la propria produzione di CO2 negli ultimi anni, dal 1969 ad oggi hanno dato un enorme contributo alla quantità totale di anidride carbonica immessa in atmosfera.

Per questo, non ci sono nazioni colpevoli e nazioni innocenti, ma occorre uno sforzo globale per ridurre le emissioni, prima di tutto nei Paesi più progrediti, per eliminare gli enormi sprechi e sostituire tecnologie più inquinanti con altre più costose ma meno dannose per l’ambiente. Al contempo, le nazioni in rapida crescita dovranno guidare la propria evoluzione evitando di percorrere le strade che già si sono dimostrate insostenibili.

In questo scenario mondiale, i progetti per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo di anidride carbonica giocheranno un ruolo decisivo. La ricerca Eni sta facendo la propria parte.

 

(Versione integrata e approfondita di un articolo pubblicato su eni.com)

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