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CO2

Troppa anidride carbonica? Ecco i metodi per catturarla e toglierla di mezzo

L’approfondimento del ricercatore Luca Longo

“Houston, we have a problem”. Ricordiamo tutti  l’allarme lanciato nell’aprile 1970 dagli astronauti James Lovell, John Swigert e Fred Haise quando scoppiò il modulo di servizio dell’Apollo 13 che li stava portando sulla Luna.

Per tornare sulla Terra, i tre furono costretti a fare fronte a tanti imprevisti ed a risolvere un sacco di problemi.  Uno dei più gravi – immortalato dal film del 1995 con Tom Hanks nei panni (ok: nella tuta) del capitano Lovell – fu quello di fare funzionare il sistema di eliminazione dell’anidride carbonica dall’aria del modulo lunare. Quello che i tre dovettero usare come scialuppa di salvataggio per ritornare sul nostro pianeta.

Adesso, quaggiù sulla Terra, abbiamo un problema simile, ma molto più grosso. L’anidride carbonica che si sta accumulando nella nostra scialuppa spaziale non è prodotta dalla respirazione di 7 miliardi e mezzo di “terranauti”, ma dall’uso dei combustibili fossili che noi e i nostri compagni di viaggio stiamo utilizzando per scaldarci, muoverci e costruire tutto quello che ci serve.

Tutte le autorità scientifiche internazionali hanno riconosciuto che l’eccesso di anidride carbonica nell’atmosfera è il principale responsabile del cambiamento climatico. Per questo i centri ricerche di tutto il mondo stanno sviluppando sistemi per catturarla e toglierla di mezzo.

Abbiamo già raccontato qui delle tecnologie CCS (Carbon Capture and Storage) che permettono di sequestrare la CO2  in modo permanente bloccandola da qualche parte. E abbiamo parlato di quelle basate sulla trasformazione della CO2 in qualche sostanza utile, raccolte sotto la sigla CCU (Carbon Capture and Utilization).

Oggi parliamo di come si pensa di catturare di questo gas serra direttamente dall’atmosfera.

Il metodo più noto è quello di sfruttare le proprietà acide dell’anidride carbonica facendola reagire con una base. In chimica, una base è una molecola che non vede l’ora di saltare addosso a una molecola acida per formare un sale. Nel caso dell’Apollo 13, la base idrossido di Litio (LiOH) cattura le molecole di CO2 trasformandole in carbonato di Litio (Li2CO3): un sale che rimane intrappolato nel filtro senza fare danni – che già gli astronauti ne avevano abbastanza.

Anche i filtri degli space shuttle, che dovevano funzionare per molti giorni, lavoravano sulla base dello stesso principio, ma usando ossidi metallici al posto del LiOH. Questi catturavano la CO2, si trasformavano in sali, ma poi potevano venire rigenerati scaldando questi sali a 200° costringendoli a liberare la CO2 assorbita (che veniva pompata fuori dalla navicella) e ripristinando gli ossidi metallici pronti per un altro ciclo di cattura, riscaldamento ed espulsione.

La stessa tecnica in due fasi con rigenerazione del reagente viene abitualmente usata dalle cosmonavi russe Soyuz che ci collegano con la International Space Station. Mentre dentro quest’ultima l’aria viene ripulita usando complesse zeoliti, le Soyuz, come le precedenti Voskhod e Vostok, continuano ad usare da più di cinquant’anni l’idrossido di potassio, una base molto più forte ed efficace dell’idrossido di litio.

Oggi numerosi centri ricerche stanno studiando come diminuire la quantità di anidride carbonica presente in atmosfera. L’obiettivo è di riportare la concentrazione di CO2 da 400 parti per milione (ppm) almeno a 350, ma occorre anche togliere di mezzo almeno altri 2 ppm in più ogni anno provocati dalle emissioni aggiuntive.

I metodi principali si possono suddividere in due grandi classi: quella dell’assorbimento fisico e dell’assorbimento chimico.

Nel primo caso, le molecole di CO2 si vanno temporaneamente a incastrare all’interno di strutture porose costituite da zeoliti, carbone attivo o microscopiche spugne metallo-organiche, legandosi debolmente con le pareti di questi pori. Il successivo riscaldamento di queste strutture sblocca le molecole facendole uscire dai pori a concentrazioni molto più alte permettendo così di rigenerare la matrice attiva che è pronta per un altro ciclo di cattura.

Nel secondo caso, l’assorbimento è di tipo chimico (come quello appena descritto per le varie astronavi). Si formano, cioè, dei veri e propri legami fra le molecole di CO2 e un substrato che poi viene liberato dall’anidride carbonica e ripristinato o con altre reazioni chimiche oppure per riscaldamento.

Ce n’è troppa di CO2 in atmosfera… ma in realtà è pochissima. O meglio, è estremamente diluita: 400 parti per milione significa che solo lo 0,04% dell’aria è costituita da anidride carbonica. E meno male, perché se superasse lo 0,2% cominceremmo ad avere difficoltà a respirare.

Purtroppo, questa bassa concentrazione è il principale ostacolo alla cattura diretta dall’aria. Infatti, per fare passare un litro di CO2 attraverso i nostri filtri, chimici o fisici, dobbiamo farli attraversare da 2500 litri di aria. Per questo motivo non è stato ancora costruito alcun vero impianto industriale ma la ricerca è ancora ferma a esperimenti di laboratorio o su piccolissima scala.

Nel 2011, uno studio della American Physical Society ha stimato in una media di 530 € il costo per rimuovere una sola tonnellata di CO2 dall’aria. I progetti attualmente in fase di valutazione stimano che questi costi siano inizialmente di 900 € con la speranza che si assestino sui 90€, sempre per tonnellata di anidride carbonica sequestrata.

Costi che non sono competitivi con quelli necessari per catturare la CO2 direttamente dai camini e dai tubi di scappamento, dove questa è del 15% circa. Circa altrettanta è l’acqua, o meglio il vapore, mentre il 71% è azoto, che passa attraverso i motori senza partecipare alle reazioni.

Per questo, buona parte della ricerca per la decarbonizzazione della nostra nave spaziale Terra non si orienta sulla cattura diretta del carbonio dall’aria ma su un approccio congiunto.

Non esiste una semplice formula magica per impedire il cambiamento climatico: noi “terranauti” dobbiamo lavorare su più fronti. Prima di tutto, dobbiamo promuovere ricerca, sviluppo e diffusione delle fonti rinnovabili e, nella transizione verso un futuro basato su queste tecnologie energetiche pulite, dobbiamo sfruttare in modo più efficiente le fonti energetiche fossili, privilegiando quelle che producono meno CO2 a parità di energia sviluppata (primo fra tutti il gas naturale). In parallelo, dobbiamo allungare la vita utile dei prodotti anche attraverso una loro progettazione che consenta un facile recupero, riciclaggio e riuso dei materiali.

Infine, dobbiamo difendere le foreste e le aree verdi della nostra nave spaziale. Per il momento, infatti, i più efficienti ed economici sistemi che abbiamo a bordo per la cattura diretta della CO2 dall’aria si chiamano… alberi.

Articolo pubblicato su Eniday.com

 

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