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Vladivostok

Ecco i sotterfugi della Russia per aggirare le sanzioni su petrolio e gas

Quali sono i canali sospettati di continuare a rifornire l’Europa di greggio russo? Sono tre: l’Azerbaigian, la Turchia e le acque aperte del Mediterraneo. Fatti e ricostruzioni

 

A dispetto del bando europeo, delle sanzioni e del price cap imposto dal G7 e dall’Ue, l’oro nero di Mosca continua a trovare canali, opachi o illegali, attraverso cui raggiungere tutta una serie di destinazioni di quel Vecchio Continente che già dall’anno scorso ha proclamato la propria indipendenza dal petrolio russo.

La denuncia del Consigliere economico di Zelensky.

La denuncia arriva direttamente dal consigliere economico del presidente ucraino Zelensky, Oleg Ustenko, che per descrivere quanto sta succedendo al petrolio russo ricorre ad un’eloquente quanto efficace metafora affidata al quotidiano Politico: “Avevo un amico a New York negli anni Novanta che si lamentava che gli scarafaggi sarebbero riusciti a entrare nel suo appartamento attraverso qualsiasi buco disponibile (…). Dobbiamo chiudere questi buchi per impedire alla Russia di ricevere questo denaro insanguinato che stanno usando per finanziare la macchina militare che sta distruggendo il nostro Paese e uccidendo il nostro popolo”.

I passaggi oscuri che cancellano le tracce.

L’esistenza di questi buchi, osserva Politico, dipende dal fatto che il commercio del greggio nei mercati globali è molto difficile da tracciare. Esso può infatti essere mescolato nei Paesi di transito a carichi provenienti da altri punti di partenza rendendo di fatto impossibile determinarne l’origine. In più, aggiunge Politico, il processo di raffinazione produce lo stesso effetto di cancellare le tracce dell’origine ultima della materia prima.

A questi fattori si aggiunge l’esistenza di una rete di petroliere ombra battenti la bandiera dei Paesi più improbabili che aiutano la Russia a trasportare a destinazione i carichi di greggio occultandone anche in questo caso l’effettiva origine.

“Sin dall’introduzione delle sanzioni”, fa notare Saad Rahim, capo economista di Trafigura, “i volumi di greggio che la Russia sta esportando sono rimasti pressoché stabili. È possibile che questo petrolio sia ancora venduto nell’Ue e nelle nazioni occidentali attraverso degli intermediari”.

Le parole di Rahim trovano conferma in un recente articolo di Bloomberg, secondo cui i volumi di greggio consegnati dalla Russia a Paesi terzi nella settimana precedente il 17 marzo erano pari a 3,23 milioni di barili al giorno, ossia appena 90.000 barili in meno rispetto alla settimana precedente.

Ma quali sono i canali sospettati di continuare a rifornire l’Europa di greggio russo? Politico e Bloomberg ne indicano tre: l’Azerbaigian, la Turchia e le acque aperte del Mediterraneo.

La pipeline Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC).

Una rotta attraverso cui il petrolio russo è sospettato di continuare a fluire in Europa passa attraverso l’Azerbaigian, punto di partenza dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan gestito da BP.

A puntare il dito in questa direzione è l’europarlamentare francese François Bellamy, che ha appena presentato un’interrogazione in proposito alla Commissione Ue. Bellamy fa notare che l’Azerbaigian sta esportando più petrolio di quanto ne produca, nella misura di 242.000 barili al giorno, il tutto nel contesto di una produzione nazionale che risulta essere in continua diminuzione.

“Come può un Paese diminuire la propria produzione e incrementare il proprio export allo stesso tempo?”, è la scomoda domanda che l’europarlamentare ha girato alla Commissione. “Questa incongruenza”, è la conclusione di Bellamy, “solleva il sospetto che le sanzioni vengano aggirate”.

Alla precisa domanda rivolta da Politico, il Ministero degli Esteri azero ha risposto con una smentita sdegnata. “L’Azerbaigian non esporta il petrolio russo verso l’Ue attraverso l’oleodotto BTC” è stata la secca risposta del portavoce del dicastero, Aykhan Hajizada.

Anche BP nega ogni addebito, rilevando come i flussi di petrolio che transitano via BTC sono in diminuzione essendo passati dalle tre milioni di tonnellate al mese all’inizio del 2022 alle attuali due milioni.

Turchia.

La Turchia non solo ha raddoppiato le proprie importazioni di petrolio dalla Russia, ma si rifiuta di applicare su questo stesso greggio le sanzioni imposte dall’Occidente. Questo fa di Ankara uno dei principali sospettati.

A puntare il dito contro la Turchia è stato un ente finlandese, il Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA). Questo Istituto alla fine dell’anno scorso scriveva che “una nuova rotta verso l’Ue per il petrolio russo sta emergendo attraverso la Turchia, una crescente destinazione per il greggio russo” che, una volta arrivato in Turchia, viene raffinato e rivenduto senza che vi si applichino sanzioni.

A questo proposito Ustenko, il consigliere di Zelensky, afferma che “possediamo sufficienti prove per dimostrare che alcune compagnie internazionali stanno comprando prodotti raffinati creati col petrolio russo per poi venderli in Europa”.

I trasbordi nel Mediterraneo.

Come rileva Bloomberg, un ruolo non meno importante è ricoperto da quelle petroliere che al largo delle coste europee trasbordano il petrolio russo su altri cargo che poi fanno rotta verso i porti del Vecchio Continente.

Questo fenomeno è stato documentato in particolare in due località: il mare al largo dell’enclave spagnola di Ceuta e quello al largo della costa greca presso Kalamata. Sono almeno 52, sempre secondo Bloomberg, le petroliere che hanno effettuato trasbordi di petrolio in questi due siti dall’inizio dell’anno.

In particolare i volumi di greggio trasferiti in Grecia con questo metodo hanno conosciuto un’impennata che ha toccato nel mese di febbraio il livello di 10 milioni di barili; a Ceuta invece nello stesso periodo ne sarebbero stati trasferiti 4,4 milioni.

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