skip to Main Content

Platino

Ecco come la Russia punta a platino e palladio

Tutte le mosse di alcune società della Russia di Putin nel settore delle terre rare come platino e palladio. Il post di Maurizio Sgroi tratto dal suo blog

Seguire la filigrana della nostra globalizzazione, che inevitabilmente prepara la prossima, significa innanzitutto osservare gli epifenomeni confinati nella parte bassa delle cronache, che solo di rado arrivano sui nostri tavoli pieni di chiacchiere e poveri di fatti concreti. L’esigenza di nutrire le nostre emozioni a scapito della nostra conoscenza, caratteristica principale del nostro tempo socialista, paga così pegno alla comprensione della realtà che si compone di fili sottili, spesso invisibili, la cui trama inizia a diventare consistente, e quindi osservabile, solo se ci si incarica di intrecciarli l’uno all’altro, con paziente lavoro di tessitura e poco riguardo per l’audience. Procedimento lungo e complesso, quindi profondamente inattuale, e tuttavia capace di offrire autentiche rivelazioni.

Questa premessa di metodo serve a illustrare perché mai si segnali come degno di nota l’informazione trapelata su alcuni notiziari secondo la quale grazie a un investimento di 15 miliardi la Arctic Palladium, join venture che opera nella tundra, nell’estremo nord della Russia, trasformerà la Russia nel primo produttore di minerali rari come il platino e il palladio, che oltre ad essere preziosi hanno anche la caratteristica di essere necessari in alcuni procedimenti industriali che caratterizzano il nostro mondo globalizzato. La produzione di automobili, ad esempio.

Il platino e il palladio fanno parte del cosiddetto platinum-group metals (PGMs), che comprende rutenio, rodio, palladio, osmio, iridio e platino. Si tratta di minerali che hanno proprietà fisiche e chimiche simili. E infatti tendono a presentarsi insieme negli stessi depositi minerali.

Questo spiega perché Putin abbia benedetto il progetto presentatogli da Musa Bazhaev, leader della compagnia Russkaya Platina (Russian Platinum LLC) che ha spiegato di voler produrre 120 tonnellate l’anno di palladio sfruttando alcune licenze di cui dispone nella Taymyr Peninsula. Da qui l’esigenza di lavorare con la compagnia russa Nornickel, che ha campi di estrazione nella zona, per mobilitare le risorse necessarie.

Si stima che in quel territorio ci siano riserve minerali enormi – almeno 770 milioni di tonnellate – abbastanza per alimentare mezzo secolo di produzione, con un ritorno degli investimenti capace di pareggiare la spesa iniziale in appena un lustro. La produzione potrebbe partire entro i prossimi cinque anni, garantire alcune migliaia di posti di lavoro e svariati miliardi di incassi fiscali al governo. Soprattutto proietterebbe la Russia sul piedistallo di primo produttore di minerali rari, ossia la versione russa delle terre rare cinesi.

Ce n’è abbastanza per comprendere l’euforia di Putin. E non è neanche tutto. Al presidente russo è stato prospettato che il trasporto dei materiali avverrà lungo la Northern Sea Route (NSR), ossia il corridoio Artico che la Russia sta spingendo con grande forza, con la volenterosa collaborazione dei cinesi, come rotta marittima alternativa di collegamento con il Nord Europa.

E qui arriviamo al punto. Russia e Cina condividono uno schema i cui ingredienti sono nuove rotte commerciali – la NSR russa e altre sono complementari alla BRI cinese – e asset di cui tendono ad essere grandi produttori: i minerali rari russi, insieme a petrolio e gas, e le terre rare cinesi che fanno il paio con le tecnologie di ultime generazioni made in China. Queste rotte e questi beni convergono naturalmente verso la penisola dell’Europa occidentale, che ne ha un disperato bisogno. Com’è noto, la geoeconomica tende a diventare geopolitica.

Malgrado sia assolutamente prematuro dedurre da queste evidenze una necessità, anche perché è molto difficile indovinare l’evoluzione dei rapporti futuri fra Cina e Russia, vale la pena sottolineare che questi elementi contribuiscono alle fibrillazioni della nostra attuale globalizzazione e quindi registrarli come si farebbe con un sismografo con le onde che preannunciano un sisma.

Se il terremoto arriverà non dipenderà certo dal palladio né dal platino. Ma avranno fatto la loro parte.

Post di Maurizio Sgroi tratto dal suo blog

Back To Top