Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump vorrebbe che l’India smettesse di acquistare petrolio dalla Russia, garantendole un grande afflusso di denaro utile alla prosecuzione della guerra in Ucraina. In effetti, nel primo semestre del 2025 il paese – terzo maggiore importatore e consumatore di petrolio al mondo – ha importato 1,7 milioni di barili al giorno di greggio russo, l’1 per cento in più su base annua, facendo di Mosca la sua fornitrice principale con una quota del 35 per cento sul totale.
LE RAGIONI DEL COMMERCIO PETROLIFERO INDIA-RUSSIA: NON C’ENTRA LA POLITICA, MA L’ECONOMIA
Questi flussi così significativi non sono tanto il prodotto di un allineamento politico-strategico tra l’India e la Russia, però, quanto l’effetto di una convenienza economica: il greggio russo viene venduto con un forte sconto – si tratta di una forma di compensazione del rischio associato alla compravendita, date le sanzioni internazionali -, e infatti a luglio le raffinerie indiane hanno smesso di comprarlo perché gli sconti sono scesi al livello più basso dal 2022, ha rivelato Reuters.
LE MINACCE DI TRUMP NON FANNO EFFETTO?
Oltre al nuovo dazio del 25 per cento, Trump ha minacciato di imporre ulteriori penalità alle esportazioni indiane negli Stati Uniti se il paese continuerà ad acquistare petrolio dalla Russia.
Pare tuttavia che l’India non abbia intenzione di interrompere le forniture, giustificandosi con il fatto che il passaggio a venditori alternativi causerebbe un aumento dei prezzi internazionali del petrolio: se Nuova Delhi dovesse rinunciare ad acquistare greggio da Mosca, infatti, sul mercato petrolifero si verificherebbe una grossa “perdita” di offerta e i volumi rimanenti potrebbero non bastare a soddisfare tutta la domanda; lo squilibrio porterebbe poi a un aumento del prezzo dei barili.
LE PAROLE DI MILLER E LA RISPOSTA DELL’INDIA
L’India, peraltro, non è solo una grossa acquirente di petrolio russo ma anche di armi. Storicamente, gli Stati Uniti hanno sì cercato di portare il paese dalla loro parte ma senza attaccarne esplicitamente la relazione con la Russia, che risalgono al periodo della Guerra fredda: questo perché, nella visione di Washington, Nuova Delhi è un contrappeso fondamentale alla Cina in Asia ed è quindi utile mantenervi buoni rapporti.
L’amministrazione Trump, però, pare avere intenzione di forzare la mano. Stephen Miller, vice-capo dello staff della Casa Bianca, ha accusato l’India di applicare dazi “enormi” sulle merci americane, di “circuire” il sistema di immigrazione e di importare tanto petrolio dalla Russia quanto la Cina. “Il presidente Trump desidera instaurare un ottimo rapporto e ha sempre avuto un ottimo rapporto con l’India e il primo ministro”, ha detto Miller, “ma dobbiamo essere chiari sul finanziamento di questa guerra”, ovvero dell’invasione dell’Ucraina.
Dal ministero degli Esteri indiano hanno risposto che “le nostre relazioni bilaterali con vari paesi si basano sui loro meriti e non dovrebbero essere viste attraverso il prisma di un paese terzo”. Il rapporto con la Russia è stato definito una “partnership solida e collaudata nel tempo”.
LA MOSSA DELL’OPEC+ SUL PETROLIO
Se l’India non sembra intenzionata a piegarsi alle richieste dell’America, il presidente Trump può almeno gioire della decisione dell’Opec+. L’organizzazione che riunisce alcuni dei principali paesi esportatori di petrolio, capeggiata dall’Arabia Saudita e dalla Russia, ha approvato il 3 agosto un aumento di produzione di 547.000 barili al giorno per il mese di settembre. La misura rappresenta un’inversione completa – oltre che in anticipo: un anno prima del previsto – della politica di contenimento volontario dell’output introdotta nel 2023 con lo scopo di sostenere i prezzi del greggio.
L’aumento dell’offerta di petrolio è un’ottima notizia per Trump – si diceva – perché il calo dei prezzi potrebbe permettere di ridurre il costo della vita per i cittadini statunitensi, uno degli obiettivi principali della sua agenda energetica.
L’OPEC+ RICOMINCERÀ A TAGLIARE L’OFFERTA?
L’Opec+, tuttavia, potrebbe fare un passo indietro e riprendere i tagli alla produzione se il mercato, dal lato della domanda, non dovesse rivelarsi in grado di assorbire questa quantità aggiuntiva di barili.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, nel quarto trimestre del 2025 il mercato petrolifero sarà in una condizione di surplus per 2 milioni di barili al giorno a causa del rallentamento economico della Cina (il primo paese importatore di greggio) e dell’aumento dell’offerta nelle Americhe. Lo squilibrio potrebbe accentuarsi, anche considerati gli ultimi dati, abbastanza deboli, sull’occupazione negli Stati Uniti.
Secondo Goldman Sachs e JpMorgan Chase, i contratti (futures) internazionali del greggio, come il Brent e il West Texas Intermediate, potrebbero scendere verso i 60 dollari al barile nella fase finale dell’anno. Si tratta di un valore decisamente più basso di quello necessario a diversi paesi dell’Opec+ per coprire le loro spese pubbliche, che dipendono proprio dalle vendite di idrocarburi: l’Arabia Saudita, ad esempio, ha bisogno di prezzi sopra i 90 dollari al barile.
Di conseguenza, è possibile che l’organizzazione faccia ritorno alla politica di tagli alla produzione per ribilanciare il mercato e sostenere i prezzi.