Si sta per chiudere il 2019, l’anno che per l’oil&gas è stato segnato dal Dl semplificazioni e che nel mese di agosto ha assistito alla crisi del governo Conte uno e la nascita del Conte due con al posto della Lega l’ingresso del PD. E per il settore si chiuderà nell’incertezza di quale futuro lo aspetta, a causa della poca chiarezza – eufemismo – che alberga dalle parti del governo. E questo nonostante il ministro Costa abbia cercato di aprire uno spiraglio in questa vicenda: ci ritorneremo.
Perché se si parla di oil& gas oggi non si può tacere dell’inaspettato attivismo di Matteo Salvini. Il quale, durante il tour per le elezioni regionali in Emilia-Romagna parlando a Rimini e a Ravenna ha dichiarato che è preoccupato per i lavoratori dell’oil&gas e nello specifico per i piani del Governo di sospendere le estrazioni di gas. È lo stesso Salvini che, pochi mesi prima quando era al Governo, aveva votato il Dl semplificazioni di cui sopra, cioè il padre della moratoria di 24 mesi, pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 13 febbraio? O era il gemello finto-ecologista?
Ed è lo stesso leader della Lega che al tempo del referendum per bloccare le astrazioni andava in giro indossando una felpa su cui era scritto No-Triv, testimoniando il proprio appoggio a chi voleva affossare il settore? In ogni caso, la morale è una: quando l’ex ministro dell’Interno aveva il potere di fare qualcosa in favore di imprese e lavoratori del settore non ha mosso paglia mentre adesso, per puro scopo elettorale, sta recitando la parte di chi ha a cuore il destino di quelle stesse persone che lui stesso ha contribuito a mettere a rischio.
Ma veniamo alle buone nuove, ancora in embrione, annunciate dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa che a La Stampa ha asserito l’importanza del gas naturale per l’economia del Paese. Un cambio di strategia o, meglio, un rinsavimento del governo? Noi di house of gas speriamo di sì, anche perché le centinaia di lavoratori del settore stanno aspettando una risposta sul proprio futuro.
Un passaggio dell’intervista di Sergio Costa è particolarmente interessante, perché è un concetto ben conosciuto a chi ha seguito il peregrinare di house of gas lungo le rotte delle pipeline e dentro le stanze dove si decidono le strategie dell’approvvigionamento energetico. In sostanza, ha dichiarato che non è possibile passare in un giorno dalle fonti fossili alle rinnovabili e all’idrogeno ma serve un percorso di passaggio che ci permetta di arrivare all’utilizzo di tecnologie “pulite” senza creare vuoti energetici. Una transizione insomma: perché questa parola non suona nuova? Ah, giusto, perché è da anni che da queste parti ne stiamo parlando. Indicando il mix energetico gas-rinnovabili come la soluzione più sostenibile per, appunto, una transizione energetica verso le fonti pulite.
Ora il governo sia coerente e vada a incontrare le imprese e i lavoratori dell’oil&gas: Ravenna, una delle capitali italiane del settore con alcune aziende di eccellenza internazionale e che occupa centinaia di persone è pronta ad accoglierlo e il ministro troverebbe innanzitutto dirigenti, tecnici e maestranze dell’Eni, una delle più importanti aziende mondiali nel campo della ricerca ed estrazione di idrocarburi.
Il primo argomento da sottoporgli sarebbero gli investimenti che Eni aveva previsto per estrarre gas in Adriatico: l’ipotesi era di raggiungere i 5 miliardi di metri cubi all’anno. L’Adriatico però è ancora lì, con tutto il suo gas in pancia: si potrebbero estrarre più di 100mila barili equivalenti al giorno (giusto per un confronto, in Egitto dove è situato il megagiacimento di Zohr, Eni ha una produzione pari a 300mila boe al giorno). Un’ attività in adriatico affossata dal decreto semplificazione che si attesta oggi su una produzione gas di 40mila boe giorno con il rischio che gli indici economici diventino negativi con evidenti diseconomie e conseguente rischio di chiusura della produzione.
Se il governo ha cambiato idea sul gas lo dimostri e conceda a Eni di portare a termine gli investimenti: l’estrazione e la commercializzazione del gas naturale non sono questioni limitate all’industria nazionale, ma riguardano la geopolitica europea. Anzi, restando in tema di geopolitica, il primo gennaio 2020 scadeva l’accordo del passaggio del gasdotto di Gazprom dall’Ucraina: Putin e Zelensky hanno trovato l’accordo e a Bruxelles hanno stappato lo spumante in anticipo. E anche da noi, visto che di lì passa il 40 per cento del gas che importiamo.
Il secondo argomento da mettere sul tavolo è quello ormai diventato ‘maturo’ al punto giusto, cioè la strategia industriale italiana. Cioè se esiste un piano, o anche solo un mezzo piano per andare risolutamente verso un modello di economia circolare. Sarebbe un’altra buona notizia, tanto lo dovremo fare comunque prima o poi. E come tutti sanno, prima è meglio di poi. Infine ricorderei al ministro che ‘tutto si tiene’: il mix gas rinnovabili per la transizione energetica è uno degli elementi su cui costruire un’economia circolare moderna e funzionante. Non ci sono altre strade, a parte quella che relegherebbe il nostro paese all’irrilevanza. Il governo quindi prenda la situazione in mano e sostenga queste politiche, ridando spazio di manovra alla più importante impresa partecipata dallo Stato, il nostro champion national, l’Eni. L’economia ne beneficerebbe, ma soprattutto ne beneficerebbero tutti i cittadini.
(3.fine; la prima parte e la seconda parte si possono leggere rispettivamente qui e qui)