La guerra che la Russia di Putin ha scatenato contro l’Ucraina ha richiamato l’attenzione sulla situazione energetica europea e in particolare sul mercato del gas.
Per quanto riguarda il nostro paese, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha illustrato con chiarezza in Parlamento alcuni elementi centrali. Il primo è che l’Italia è tra i paesi europei più legati a Mosca quanto a forniture di gas naturale.
La Tabella 1 riporta i dati pubblicati dal Ministero della Transizione ecologica riferiti al 2019, per evitare l’effetto causato dal coronavirus. In Italia il consumo totale di gas naturale ammonta a 71,5 miliardi di Smc (metri cubi standard); il settore residenziale assorbe la maggior parte della disponibilità di gas, con una percentuale pari al 44 per cento del totale dei consumi, seguito dal settore termoelettrico (36 per cento) e da quello industriale (20 per cento).
La domanda di gas naturale è soddisfatta per circa il 5 per cento dalla produzione nazionale e per la parte restante dalle importazioni. Nell’anno 2019 sono stati importati in totale 71 miliardi di Smc di gas, utilizzati in parte per soddisfare i consumi e per il resto accantonati nei siti di stoccaggio. Il 13 per cento delle importazioni totali è dato dal gas naturale liquefatto (Gnl).
I principali esportatori di gas verso l’Italia sono (in parentesi la percentuale sul totale delle importazioni):
- Russia: 33,4 miliardi Smc (pari al 46 per cento)
- Algeria: 13,4 miliardi Smc (pari al 18,8 per cento)
- Qatar: 6,5 miliardi Smc (pari al 9,2 per cento)
- Norvegia: 6,1 Smc (pari all’8,7 per cento)
- Libia: 5,7 miliardi Smc (pari all’8 per cento)
Nel 2021, è entrato in funzione il gasdotto trans-Adriatico (Tap) per trasportare il gas dalla Turchia attraverso Grecia e Albania fino in Italia con approdo a Melendugno (Puglia). Attualmente l’impianto eroga 8 miliardi di Smc di gas all’anno, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di Smc nell’estate del 2022 e arrivare in futuro a una capacità di erogazione massima pari a 20 miliardi di Smc.
La posizione di Bruxelles
In queste ore, si vanno delineando le posizioni di Italia e Ue rispetto all’offerta che proviene dalla Russia. Gli uffici della Commissione europea valutano con molta attenzione un possibile piano di emergenza per far fronte all’eventuale blocco delle forniture; sembra appurato che il sistema europeo delle scorte dovrebbe comunque reggere a un’interruzione. Scatterebbe, a quel punto, il meccanismo di solidarietà richiamato da Mario Draghi in Parlamento. In definitiva la Commissione non sembra essere troppo pessimista sui rischi energetici per l’inverno: «Non ci troviamo in una situazione nella quale improvvisamente potremmo trovarci senza gas e in ogni caso il livello degli stock è al 30 per cento delle capacità», è stato spiegato.
Bruxelles appare ottimista, o almeno mostra di esserlo, anche sui risultati dei contatti in corso con fornitori di gas diversi dalla Russia. A gennaio c’è stato un record di forniture di gas naturale liquefatto con 10 miliardi di metri cubi standard forniti in via straordinaria grazie alla “diversione” dei trasporti in mare dalla destinazione originaria. La valutazione dell’Ue è in linea con quella di consenso, anche se è un fatto che i livelli degli stock europei, sebbene diminuiti meno di quanto originariamente atteso, sono al minimo degli ultimi dieci anni. Non è un caso che Bruxelles abbia deciso di invitare gli stati membri a garantire un livello minimo adeguato entro fine settembre di ogni anno. Da segnalare però che secondo il Qatar, uno dei maggiori esportatori mondiali di gas, sul quale tanto insiste l’Italia, «sostituire rapidamente le forniture russe è quasi impossibile». È di oggi la notizia che il Giappone fornirà all’Europa parte delle sue importazioni di Gnl, per le difficoltà che il Vecchio Continente affronta a causa della crisi ucraina. E oltre che con il Qatar, sono in corso colloqui con Egitto, Azerbaigian e Nigeria.
La Tabella 2 mostra come l’Europa abbia già assorbito molto Gnl dagli Stati Uniti, anche se parte di esso va ancora in Asia. Le forniture americane non avrebbero un merito economico: dal mero punto di vista dei costi, infatti, la competizione ipotetica tra una nave Usa e il gas che proviene dalla Russia sarebbe comunque a tutto vantaggio di quest’ultima. Ma evidentemente la sicurezza degli approvvigionamenti ha una valenza e un valore economico.
In questa fase, tuttavia non è ancora possibile comprendere come si potrebbe realizzare la riduzione di offerta da parte della Russia. Mosca potrebbe decidere di tagliare le forniture come fece qualche anno fa in occasione della prima crisi ucraina. Stando alle dichiarazioni recenti dei vertici di Gazprom, l’ipotesi sembra però al momento poco probabile.
Stante la preoccupazione di alcuni governi europei, compreso quello italiano, l’ultima versione delle sanzioni finanziarie prevederebbe un blocco dello Swift “selettivo”, che permetta solo le operazioni che si riferiscono ai pagamenti per forniture di gas. Nella sua versione estrema il blocco dello Swift risulterebbe nell’impossibilità di importare gas dalla Russia perché di fatto non sarebbe possibile pagare le forniture. Questo comporterebbe dei costi laddove siano in vigore dei contratti take or pay che prevedono che il gas non ritirato vada comunque pagato.
I metri cubi da trovare
Prima ancora di preoccuparsi dei maggiori costi – che sicuramente ci saranno e che rappresenteranno il prezzo della fermezza dell’Europa di fronte alla violazione del diritto internazionale – ci si può chiedere come il nostro paese potrebbe coprire l’eventuale buco della mancata fornitura di 33 miliardi di Smc russo. Il governo ha deliberato di incrementare la produzione nazionale, che dovrebbe arrivare a 6,5 miliardi di Smc e che andrebbe a beneficio delle imprese energivore e alle piccole e medie imprese. Ciò ridurrebbe il fabbisogno residuo dell’industria, secondo la Tabella 1, a 7,5 miliardi.
L’altro capitolo su cui intervenire è la generazione elettrica. Anche se è difficile fare previsioni, o meglio ancora congetture, il governo ha fatto capire di essere pronto a riattivare le centrali a carbone in fase di dismissione (dovrebbe essere completata entro il 2025). Simulazioni preliminari svolte dai ricercatori della Fondazione Eni Enrico Mattei indicano un significativo cambiamento del mix elettrico, con la riduzione della quota del gas di 10 punti percentuali compensata da un aumento sia del carbone di 2 punti che delle fonti rinnovabili di 7 punti percentuali.
Resta poi da coprire il consumo del settore residenziale, per il quale misure volontarie o obbligate di risparmio energetico potrebbero aiutare a ridurre i volumi da soddisfare mediante maggiori importazioni dalle altre provenienze geografiche e dal Gnl.
Si tratta naturalmente di speculazioni che non considerano il fattore tempo. Da un lato, la maggiore produzione nazionale non può essere attivata in breve tempo e lo stesso vale per l’espansione delle rinnovabili, anche se il governo è all’opera per sveltire le pratiche burocratiche di autorizzazione dei nuovi impianti. Dall’altro, però, i prelievi dovrebbero diminuire man mano che usciamo dall’inverno, anche se con la bella stagione si procede agli stoccaggi.
In sostanza, prima preoccupiamoci delle quantità, poi penseremo ai costi. Per il momento l’incertezza è ancora forte.