La questione Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto sotto il Baltico targato Russia-Germania, agita gli animi di molti, tra Europa e Stati Uniti, e nel duello tra chi lo vorrebbe ultimare e chi invece fermare in dirittura d’arrivo la propaganda negli ultimi mesi ha giocato un ruolo sempre maggiore. Soprattutto sul lato di chi vorrebbe costringere il governo tedesco di Angela Merkel ad abbandonare il progetto si è moltiplicato il tam tam mediatico e politico sull’onda della nuova Guerra fredda tra Russia e Occidente.
Gli Stati Uniti, da Obama passando per Trump e ora con Biden, hanno guidato a suon di sanzioni il duello per bloccare sul filo di lana il progetto, ormai giunto agli ultimi km. In Germania e in tutta Europa, soprattutto in quella ex sovietica, i satelliti geopolitici di Washington si sono accodati, dalla Polonia alle Repubbliche baltiche e ovviamente all’Ucraina. Ovunque una campagna mediatica e politica per fermare quello che è stato dichiarato una sorta di patto Molotov-Ribbentrop in salsa energetica.
Merkel, non certo un’amica di Vladimir Putin, ma con una visione molto pragmatica delle relazioni internazionali e del peso della Germania in Europa e nel mondo, non ha però ceduto alle pressioni americane e nonostante i wargames russi ha sempre tenuto la barra dritta per il completamento della seconda tratta del gasdotto che collega direttamente Russia e Germania, tagliando fuori in sostanza l’Ucraina.
In questo contesto la cosa non stupisce certo, dato che Berlino segue ormai i propri interessi nazionali in un settore strategico, quello energetico, in cui non si vuol far dettare la linea da nessuno, tanto meno dagli Usa, a cui, pur nella cornice dell’alleanza transatlantica, non si vogliono fare regali. Piuttosto è interessante rilevare come nell’infowar degli ultimi mesi la Russia non abbia fatto una piega, lasciando spazio alle campagne anti-Nord Stream 2 in Europa, come se il problema fosse solo tedesco.
Perchè? Putin ormai da tempo ha deciso di spostare il baricentro russo da ovest a est, verso la Cina.
La crisi ucraina del 2013-14, con quello che a Mosca è stato definito, non a torto, un colpo di stato filoccidentale, ha cambiato le carte in tavola. L’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, arrivate in seguito al regime change a Kiev, hanno provocato a loro volta la reazione occidentale con l’isolamento e le sanzioni che per forza di cose hanno avvinato Mosca a Pechino. Nord Stream 1-2, nato per aggirare l’Ucraina, è solo uno dei vari progetti russi che però hanno già iniziato a spostarsi dal versante europeo a quello asiatico. Se l’Europa ha comunque bisogno del gas russo per un paio di decenni almeno, la Cina e i paesi limitrofi ne hanno ancora di più.
E se il secondo braccio di Nord Stream fosse bloccato nel prossimo futuro da sanzioni o comunque da decisioni politiche che solo la Germania può prendere, il gas russo scorrerebbe ugualmente fino al 2024 attraverso i tubi ucraini (il contratto tra Mosca e Kiev è rinnovabile per altri dieci anni fino al 2035, ma non ci son obblighi). I grandi progetti di Gazprom riguardano la Siberia e il Far East russo e la partnership con la Cina. Mandare all’aria Nord Stream sarebbe per Putin una pillola più digeribile di quella che dovrebbe mandar giù Merkel o chi arriverà dall’autunno prossimo al Kanzleramt.
Il Cremlino può permettersi di tirare la corda su tutti i fronti che vuole, sapendo che comunque la Germania non ha intenzione di tirarsi la zappa sui piedi. Chi avesse qualche dubbio può dare un’occhiata al memorandum energetico firmato tra i due paesi alla fine di aprile centrato sulla collaborazione nel settore dell’energia sostenibile. Detto in soldoni, Nord Stream 2 sarà completato ed è probabile che in futuro servirà a pompare anche idrogeno, nuova fonte su cui puntano Mosca e Berlino nell’era post gas naturale.