Il 23 settembre 2025, Parlamento e Consiglio dell’Ue hanno raggiunto un accordo provvisorio per aggiornare e rafforzare le norme sulla qualità delle acque sotterranee e superficiali. L’intesa, frutto di anni di negoziati, vorrebbe migliorare la protezione di fiumi, laghi e falde acquifere da sostanze tossiche e persistenti, molte delle quali sono già state associate a rischi significativi per la salute pubblica e per gli ecosistemi. L’accordo aggiorna tre direttive chiave – quella quadro sulle acque, quella sugli standard di qualità ambientale e quella sulle acque sotterranee – e si inserisce nel più ampio contesto del Green Deal europeo, con l’obiettivo di azzerare l’inquinamento nei prossimi decenni.
PFAS, FARMACI E MICROPLASTICHE
Una delle novità principali dell’accordo, riporta Repubblica, è l’ampliamento dell’elenco degli inquinanti da monitorare. Per le acque sotterranee entrano ufficialmente nei limiti normativi i Pfas (sostanze per- e polifluoroalchiliche), alcuni prodotti farmaceutici, sostanze industriali e metaboliti di pesticidi. Per le acque superficiali, come fiumi e laghi, vengono introdotti nuovi limiti per i Pfas (incluso l’acido trifluoroacetico), farmaci di largo consumo come ibuprofene e diclofenac, il bisfenolo A e il glifosato. Saranno inoltre inseriti in una watchlist indicatori di resistenza antimicrobica e microplastiche, non appena saranno disponibili metodi di monitoraggio efficaci ed economicamente sostenibili.
Questo aggiornamento è stato reso necessario dai dati scientifici sempre più preoccupanti. Studi dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) e dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) hanno evidenziato come molte di queste sostanze possano avere effetti negativi non solo sulla salute umana – tra cui danni al fegato, alterazioni ormonali, infertilità e tumori – ma anche sulla biodiversità acquatica, interferendo con metabolismo, riproduzione e sviluppo delle specie.
L’ALLARME DEL FOSSA MONSELESANA
La gravità dell’emergenza trova conferma anche nei dati più recenti. Secondo un nuovo rapporto dell’European Environmental Bureau (Eeb), nel canale Fossa Monselesana, a pochi chilometri da Padova, è stato rilevato uno dei più alti livelli di contaminazione da Pfos (acido perfluoroottansulfonico) mai registrati in Italia: 69,1 microgrammi per chilo di pesce, quasi 900 volte oltre il limite proposto dall’Ue di 77 nanogrammi per chilo. Valori simili sono stati riscontrati anche a Campagna Lupia, nella laguna sud di Venezia, con 68,5 microgrammi per chilo.
Il rapporto, che analizza dati raccolti tra il 2009 e il 2023 in sette Paesi europei, evidenzia che tutti i campioni italiani superano il limite di sicurezza. Questo allarme riguarda una sola delle circa 10.000 molecole Pfas conosciute, ma le implicazioni sono pesanti: secondo l’Efsa, il consumo di pesce può rappresentare fino al 90% dell’esposizione alimentare al Pfos. Le specie d’acqua dolce più comuni nei fiumi italiani – come carpe, trote, persici e anguille – risultano particolarmente vulnerabili all’accumulo di queste sostanze.
EFFETTI A CATENA SUGLI ECOSISTEMI E SULLE CATENE ALIMENTARI
L’inquinamento da Pfas, spiega il rapporto dell’Eeb, non si limita alla salute umana: colpisce duramente anche la biodiversità. I composti chimici perfluorurati compromettono la salute degli ecosistemi acquatici, influenzando negativamente il metabolismo, la crescita e la riproduzione delle specie. In particolare, i pesci migratori contaminati, come le anguille e i salmoni, possono trasportare i Pfas da un ecosistema all’altro, contribuendo alla diffusione della contaminazione anche in ambienti marini e in nuove catene alimentari.
MONITORAGGIO, RESPONSABILITÀ E GIUSTIZIA
L’accordo raggiunto il 23 settembre prevede anche una revisione dei meccanismi di monitoraggio. Gli Stati membri dovranno comunicare ogni tre anni i dati sulla qualità biologica delle acque superficiali e ogni due anni quelli sulla qualità chimica, con la possibilità di trasmettere dati annuali su base volontaria. Invariato resta l’obbligo di report completo sullo stato dei corpi idrici ogni sei anni.
Per alleggerire il carico amministrativo, la Commissione valuterà l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio congiunto a livello europeo. Inoltre, entro tre anni dall’entrata in vigore della direttiva, la Commissione dovrà valutare l’introduzione del principio di responsabilità estesa del produttore, secondo cui i fabbricanti di sostanze inquinanti saranno chiamati a contribuire ai costi dei controlli ambientali.
inoltre, è previsto l’obbligo per gli Stati membri di garantire ai cittadini e alle Ong l’accesso a procedimenti amministrativi e giudiziari per contestare le violazioni ambientali, in linea con la Convenzione di Aarhus.
LA RABBIA DEGLI ATTIVISTI DI FRONTE AI RITARDI POLITICI
Nonostante le novità legislative, le organizzazioni ambientaliste denunciano i tempi troppo lunghi previsti per l’attuazione delle nuove misure. Gli Stati membri potranno infatti adeguarsi ai nuovi standard fino al 2039, con possibilità di proroghe fino al 2045. Per Sara Johansson e Athénaïs Georges dell’Eeb, questa lentezza rischia di vanificare gli sforzi fatti finora. “L’inquinamento da Pfas delle acque e della fauna selvatica dell’Ue è diffuso, ma gravemente sottostimato”, dichiarano, chiedendo obblighi vincolanti e misure concrete nei prossimi Piani di gestione dei bacini fluviali.
IL PROCESSO MITENI: UNA LOTTA DAL BASSO CHE DIVENTA ESEMPIO EUROPEO
Nel giugno 2025, il tribunale penale di Vicenza ha emesso una sentenza storica contro 11 ex dirigenti dell’azienda chimica Miteni, condannandoli a un totale di 141 anni di carcere per avvelenamento delle acque e disastro ambientale legati alla contaminazione da Pfas nelle province di Vicenza, Verona e Padova.
Il processo, che ha coinvolto circa 300 parti civili, ha accertato che i manager agirono consapevolmente, aggravando un danno ambientale già grave. A guidare la battaglia legale sono state le Mamme No Pfas, un gruppo di madri venete che, dopo aver scoperto nei propri figli livelli altissimi di contaminazione nel sangue, si sono mobilitate diventando simbolo di una lotta dal basso. La loro determinazione, visibile in aula con magliette che riportavano il nome del figlio e il livello di Pfas nel sangue, ha attirato l’attenzione di tutta Europa.
Il verdetto è stato definito “storico” da numerose Ong, e potrebbe costituire un precedente giuridico per casi simili a livello internazionale.
LE PROSSIME SFIDE PER L’EUROPA
Nonostante la storica condanna dei dirigenti Miteni, la bonifica dei territori contaminati da Pfas resta una sfida aperta e complessa: le aziende dovranno presentare un piano di risanamento entro fine 2025, ma i costi stimati – fino a 2.000 miliardi di euro in vent’anni per l’intera Europa – e le difficoltà tecniche nel distruggere queste molecole rendono il processo estremamente oneroso, osserva Euronews. Intanto, cresce la pressione su Bruxelles per approvare entro fine anno una legge che vieti la produzione e l’uso dei Pfas, salvo rare eccezioni.