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Perché il futuro non affosserà del tutto i combustibili fossili

Fred Fromm e Matt Adams, Franklin Equity Group, spiegano perché ritengono che il gas naturale potrebbe avere un ruolo importante nella transizione degli Stati Uniti a un’energia più pulita.

Nonostante certe notizie secondo cui le ambizioni “verdi” del Partito Democratico statunitense potrebbero preludere a uno scenario molto pessimistico per le società tradizionali dell’oil&gas, Fred Fromm e Matt Dams, Franklin Equity Group, scorgono certi segni secondo i quali l’aumento della domanda di combustibili fossili in paesi in via di sviluppo specifici potrebbe compensare qualsiasi eventuale calo della domanda in paesi sviluppati quali gli Stati Uniti. Spiegano anche perché secondo loro gli investitori preoccupati per un possibile aumento dell’inflazione potrebbero voler considerare le azioni di risorse naturali.

Ora che i risultati delle elezioni statunitensi del 2020 non possono più riservare alcuna sorpresa e i Democratici hanno il controllo sulla Casa Bianca e su entrambe le Camere del Congresso, molti investitori azionari ci hanno chiesto il nostro parere sulle implicazioni per il settore delle risorse naturali. La loro preoccupazione è comprensibile, considerando l’abbondanza dei titoli di articoli che commentano come la cosiddetta “onda blu” porterà prevedibilmente a una serie di fattori ambientali e normativi sfavorevoli per le società dell’oil&gas. In particolare, gli ambientalisti hanno fatto pressione da tempo per un abbassamento dei consumi di combustibili fossili, una vigorosa riduzione delle emissioni di carbonio e il passaggio dei governi degli Stati Uniti ed europei a fonti di energia compatibili con l’Accordo di Parigi del 2015 sul cambiamento climatico.

Inoltre, le banche sistematicamente importanti, le maggiori compagnie di assicurazioni mondiali, i fondi pensione più grandi e molti gestori patrimoniali di primaria importanza stanno chiedendo informative che descrivano i rischi finanziari associati al clima e sono costantemente spinti complessivamente a rinunciare ai loro investimenti in società di combustibili fossili. Tutte le società sono interessate al calcolo dei rischi delle loro attività, e quelle nel settore dell’energia stavano già riesaminando le proprie riserve di petrolio e gas a causa dei cali dei prezzi indotti dalla pandemia nei mercati finali dei consumi, ma questa non è più l’unica considerazione.

Con la pandemia che mina le economie e riduce l’utilizzo dell’energia, quello che era stato un dibattito astratto in merito a rinunciare all’estrazione di petrolio, gas naturale e carbone per combattere l’inquinamento e il cambiamento climatico è diventato una preoccupazione legittima per gli investitori, considerando che i politici premono per programmi di spesa rispettosi dell’ambiente. Dai grandi conglomerati dell’energia globale alle società di perforazione petrolifera regionali, le società attive nel settore dell’energia stanno esaminando più attentamente i progetti che non sono più fattibili. Alcune tra loro stanno anche già limitando gli investimenti per l’esplorazione, e lasciando sottoterra possibili depositi di fonti di energia del valore di miliardi di dollari. I tagli delle esplorazioni avvengono per svariati motivi: alcuni possibili progetti potrebbero non essere più realizzabili perché troppo costosi, difficili da raggiungere o tecnicamente difficili. La pressione degli ambientalisti in cerca di un mondo a basse emissioni di carbonio è comunque cresciuta fino a diventare un fattore di influenza fondamentale e potrebbe condurre a una contrazione dell’offerta.

Secondo noi un Congresso statunitense sotto la guida del Partito Democratico potrebbe spingere l’amministrazione Biden a introdurre misure più punitive con impatto immediato, ma limitato, sulla bottom line di società attive nell’esplorazione e produzione, servizi per campi petroliferi e industrie integrate dell’oil&gas. Tra qualche possibile esempio citiamo restrizioni federali più pesanti sulle perforazioni, l’uso delle risorse idriche e le emissioni di carbonio generate dal flaring del gas naturale, e la revoca delle sanzioni sull’Iran che potrebbero spingere al ribasso i prezzi del petrolio. Inoltre le politiche del “Green New Deal” dei Democratici, che accordano sussidi per fonti di energia rinnovabile quali l’energia solare e quella eolica, potrebbero accelerare un passaggio alle vetture elettriche, con un impatto negativo su domanda, prezzi e cash flow dei produttori.

Ciò detto, non siamo d’accordo con certe notizie particolarmente drammatiche, secondo cui le politiche verdi dei Democratici provocheranno picchi per il petrolio, o che la domanda di petrolio si appiattirà, e possibilmente diminuirà, nei prossimi anni. Secondo noi è probabile che la domanda di petrolio e di gas naturale cresca moderatamente nei prossimi 10 anni, considerando che la crescita dei consumi nei paesi in via di sviluppo compensa più che ampiamente cali moderati nelle nazioni più sviluppate.

Siamo anche convinti che i consumi di petrolio inizieranno a riprendersi rapidamente con il regredire della pandemia di COVID-19. Ad esempio, in Cina—la grande economia che per prima ha chiuso e poi riaperto a causa della pandemia—la domanda di petrolio oggi è più forte di un anno fa.

Inoltre, eventuali nuove rigide restrizioni sul petrolio nei prossimi quattro anni, secondo noi porterebbero a un aumento della quota di mercato per il gas naturale, di cui possono beneficiare anche i produttori di oil&gas. Va anche ricordato che il successo di qualsiasi iniziativa per limitare la produzione petrolifera negli Stati Uniti sosterrà prevedibilmente i prezzi del petrolio in tutto il resto del mondo, con benefici per produttori influenti e per quelli che svolgono la loro attività a livello globale.

Pur essendo basato sul carbonio e non classificato come una fonte di energia realmente “pulita”, il gas naturale è stato da tempo descritto come il combustibile ponte per il futuro passaggio a un’energia più pulita in futuro, mentre il mondo abbandona il carbone e il petrolio, fortemente inquinanti. Siamo ancora convinti che questo sarà il ruolo del gas naturale anche nel prossimo decennio, e la transizione a fonti di energia più pulita dovrebbe svolgersi gradualmente, anche se a una velocità leggermente maggiore rispetto a quella che sarebbe stata se il controllo del Congresso e della Casa Bianca fosse rimasto in mano ai Repubblicani.

L’amministrazione Biden potrebbe seguire la guida di certi stati progressisti nel mettere al bando le vendite di vetture con motore a combustione interna (ICE) , ma queste iniziative tendono ad essere messe in atto in un arco di vari anni e possono essere molto costose per i consumatori. Nel settembre scorso, ad esempio, la California ha emanato un ordine esecutivo che imponeva a tutte le nuove vetture di essere a emissioni zero entro il 2035, un obiettivo che secondo molti osservatori sarà difficile da realizzare. Attualmente tuttavia il governatore della California è soggetto a un atto di richiamo dovuto in gran parte alla sua reazione aggressiva alla pandemia, ma anche alla sua agenda progressiva, che include una messa al bando delle vetture ICE.

Nel breve termine, per l’anno che ci attende siamo cautamente ottimisti sulla possibilità di aver superato gli impatti più gravi della pandemia di COVID-19 sull’economia. Benché le vaccinazioni sembrino procedere più lentamente di quanto si fosse sperato, e il prezzo che stiamo pagando in vite umane sia ancora enorme, vediamo una strada verso la normalizzazione che dovrebbe riaccendere la domanda per molte materie prime, tra cui petrolio e gas naturale. Come i governi di tutto il resto del mondo, gli Stati Uniti appaiono intenti a fornire lo stimolo aggiuntivo necessario per trainare una ripresa dell’economia.

Nel frattempo, la pandemia e il collasso di certi prezzi delle materie prime, soprattutto nei settori correlati all’energia, hanno portato a un calo degli investimenti che probabilmente avrà effetti di lungo termine sulle forniture. E benché l’inflazione e i tassi d’interesse attualmente siano ancora bassi, la combinazione di un calo degli investimenti e una robusta spesa di stimolo potrebbe cambiare questa storia, e attirare un maggiore interesse per il settore delle risorse naturali. Questa tendenza ha già iniziato a rendersi visibile, e guardando al futuro siamo convinti che potrebbe aumentare il numero degli investitori che cercheranno di coprire in parte questo rischio di inflazione irrobustendo la propria esposizione a beni fisici, quali le materie prime.

Oltre ai settori tradizionali delle risorse naturali, ci siamo sempre più concentrati anche su temi legati alla transizione energetica, per esempio energia rinnovabile e biocarburanti. Come abbiamo già detto, è ampiamente previsto che l’amministrazione Biden, appena insediata, promuoverà attivamente le fonti di energia rinnovabile, quali l’energia solare e quella eolica, con carburanti per i trasporti alternativi ricavati da scarti alimentari e oli di semi. Negli ultimi tempi le azioni correlate hanno prevalentemente realizzato ottimi risultati, incluse quelle presenti nei nostri portafogli, e riteniamo che le valutazioni in generale siano elevate. Tuttavia il potenziale di crescita di questi settori nel lungo termine appare robusto e cerchiamo quindi opportunità per ampliare l’esposizione.

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