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Litio

Litio, cosa farà la Cina in Zimbabwe (e non solo)

Le aziende cinesi investiranno nell'apertura di raffinerie di litio in Zimbabwe dopo l'export ban al metallo grezzo. L'Africa è il terreno di una competizione sulle risorse tra Usa e Cina. Tutti i dettagli.

 

Dopo che lo Zimbabwe, un paese dell’Africa meridionale, ha annunciato il divieto di esportazione di litio grezzo, le aziende cinesi che hanno investito nella nazione dovranno costruirvi anche degli impianti di raffinazione del materiale.

PERCHÉ È IMPORTANTE

È uno sviluppo rilevante, perché il litio è un metallo critico per la transizione energetica, essendo fondamentale per la produzione delle batterie dei veicoli elettrici. Lo Zimbabwe ne è il sesto maggiore produttore al mondo, e si pensa che possieda i depositi inesplorati più grandi di tutta l’Africa. La Cina, invece, vale da sola circa il 60 per cento della capacità di raffinazione globale.

COSA VUOLE LO ZIMBABWE (E NON SOLO)

Attraverso il ban all’esportazione del litio grezzo, lo Zimbabwe punta a sfruttare le materie prime di cui dispone per stimolare la crescita sul proprio territorio di una filiera industriale completa: ossia di una supply chain che non si limiti all’estrazione del metallo, ma comprenda anche la sua raffinazione e la produzione di batterie, le due attività a maggior valore aggiunto.

La mossa dello Zimbabwe non è unica: anche l’Indonesia ha fatto grossomodo la stessa cosa, e con gli stessi obiettivi, con l’esportazione di nichel (un altro metallo critico per le batterie) e più recentemente di allumina (un minerale necessario alla produzione di acciaio). È un approccio che i critici hanno definito “nazionalismo delle risorse”.

SOLDI E TEMPO

Le aziende cinesi che operano nell’industria zimbabwese del litio, e che in passato hanno effettuato acquisizioni di asset dal valore complessivo di miliardi di dollari, hanno due opzioni per continuare a esportare il metallo: aprire degli stabilimenti di raffinazione nel paese, oppure ottenere dal governo l’autorizzazione all’export della materia grezza per casi eccezionali.

Chris Berry, presidente della società di consulenza sulle commodities House Mountain Partners, ha detto al quotidiano cinese South China Morning Post che l’apertura di raffinerie in Zimbabwe avrà un costo di centinaia di milioni di dollari e richiederà un periodo di due-tre anni tra costruzione e messa in servizio.

L’IMPATTO SUI PREZZI

Berry ha aggiunto che se altri paesi dovessero seguire l’esempio dello Zimbabwe, i prezzi del litio e degli altri metalli per la transizione energetica, come il cobalto, potrebbero aumentare. Negli ultimi due anni quelli del litio sono già cresciuti di circa il 1100 per cento a causa dello squilibrio tra offerta e domanda. In Cina (il mercato delle auto elettriche più grande al mondo) il prezzo spot del carbonato di litio ha raggiunto il valore record di 84.000 dollari a tonnellata lo scorso novembre.

L’IMPATTO SUI MERCATI

Secondo Lauren Johnston, che si occupa dei rapporti tra Cina e Africa all’Istituto sudafricano di affari internazionali, “se un numero maggiore di paesi africani vieterà l’esportazione di minerali chiave per l’energia rinnovabili, ma non sono ancora pronti per lavorarli in patria a causa di problemi di governance, infrastrutture, energia e manodopera, questo potrebbe ostacolare lo sviluppo delle rinnovabili a livello globale”.

COSA FANNO LE AZIENDE CINESI

L’anno scorso tre società estrattive cinesi – Huayou Cobalt, Sinomine e Chengxin Lithium – hanno acquisito progetti sul litio in Zimbabwe per un valore complessivo di 679 milioni di dollari. Due di queste – ossia Huayou Cobalt e Chengxin Lithium – stanno già lavorando allo sviluppo di stabilimenti di lavorazione, e dunque verranno esentate dal divieto di esportazione.

Huayou Cobalt, in particolare, ha acquisito la miniera di Arcadia, dove si estrae litio dalle rocce, dall’azienda australiana Prospect Resources per 422 milioni di dollari. Il governo zimbabwese aveva imposto a Huayou Cobalt la condizione che il minerale estratto dovesse venire lavorato nel paese per produrre batterie.

A settembre la compagnia cinese aveva detto al South China Morning Post che stava investendo 300 milioni nello sviluppo del sito, con l’obiettivo di aumentare la produzione di materiali per l’industria dell’auto elettrica. Aveva inoltre assicurato che non avrebbe esportato litio grezzo.

Chengxin Lithium, invece, ha speso 77 milioni per l’acquisizione dei diritti minerari nel progetto Sabi Star, nello Zimbabwe orientale, che contiene giacimenti di litio e di tantalio (un metallo utilizzato nella produzione di componentistica elettronica) perlopiù inesplorati. Ha destinato 130 milioni all’apertura di una raffineria di litio.

LA COMPETIZIONE USA-CINA SUI METALLI AFRICANI

A dicembre gli Stati Uniti hanno siglato un memorandum d’intesa con la Repubblica democratica del Congo e con lo Zambia per lo sviluppo di una “catena del valore dei veicoli elettrici”: i due paesi ospitano importanti giacimenti importanti di cobalto.

In occasione della firma del documento, il segretario di Stato Antony Blinken disse che Washington “esplorerà meccanismi di finanziamento e di sostegno agli investimenti nelle catene del valore africane dei veicoli elettrici”.

Le aziende cinesi possiedono gran parte delle miniere di cobalto in Congo, che vale oltre il 70 per cento della produzione mondiale di questo metallo. Gli Stati Uniti, dunque, potrebbero voler cercare di contrastare l’enorme influenza di Pechino sul mercato delle materie prime per la transizione energetica.

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