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Ci libereremo mai della plastica?

La Giornata mondiale dell’Ambiente, dedicata quest’anno alla lotta alla plastica, cade proprio a due giorni dalla fine dell’incontro in cui i 175 Paesi dell’Onu si sono riuniti in vista di un accordo per il 2024 che mira a ridurne la produzione e il consumo. Passi avanti, indietro e la posizione dell’Italia

 

“Sconfiggi l’inquinamento da plastica” è lo slogan di quest’anno per la Giornata mondiale dell’Ambiente, che dalla sua istituzione nel 1972 si celebra ogni 5 giugno.

E proprio sabato scorso, a Parigi, si è conclusa la seconda sessione dell’iter che nel 2024 dovrebbe farci approdare alla firma di un trattato internazionale per la riduzione dell’impatto della plastica sugli ecosistemi, sulla natura, sui corpi e sul futuro.

Tuttavia, tra i 175 Paesi dell’Onu che vi hanno preso parte non sono mancati i contrasti e la dimostrazione che è tutta questione di interessi e geopolitica.

L’INCONTRO DI PARIGI

Parigi è stata la sede del secondo dei cinque incontri previsti per arrivare a un trattato che ponga fine all’inquinamento da plastica entro il 2040. L’iniziativa è stata promossa dalle Nazioni Unite, che hanno ricordato che “il nostro pianeta sta soffocando per colpa della plastica”. In particolare, di quella monouso.

“In tutto il mondo – ha dichiarato l’agenzia -, ogni minuto viene acquistato un milione di bottiglie di plastica, mentre ogni anno vengono utilizzati fino a cinque trilioni di sacchetti di plastica. In totale, la metà di tutta la plastica prodotta è progettata per scopi monouso”.

Inoltre, come ha ricordato l’Onu, le materie plastiche, comprese le microplastiche, sono ormai ovunque. Basti pensare che, secondo alcuni studi, sono state rintracciate perfino nel sangue e nei polmoni dell’uomo. Per non parlare della quantità di plastica che finisce negli stomaci degli animali, nel suolo della Terra e nelle acque dei mari.

QUANTO È GRAVE LA SITUAZIONE

Negli ultimi venti anni la produzione e il consumo di plastica sono raddoppiati. I dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ritengono, infatti, che siamo passati dai 220 milioni di tonnellate del 2000 agli oltre 430 milioni del 2021, lasciando quindi ipotizzare che non sia difficile raddoppiare questa cifra tra altri vent’anni, ovvero nel 2040.

Non solo. Per l’Ocse, la maggior parte del totale finisce in discarica, viene incenerita o dispersa nell’ambiente e solo il 9% viene riciclato con successo.

Ma l’inquinamento non è l’unica conseguenza. La produzione di plastica è uno dei processi produttivi a più alta intensità energetica al mondo. Come spiega il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), il materiale viene ricavato da combustibili fossili come il petrolio greggio, che vengono trasformati in polimeri grazie al calore e ad altri additivi. Nel 2019, la plastica ha generato 1,8 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra, pari al 3,4% del totale globale.

QUALI SETTORI PRODUCONO PIÙ PLASTICA

Secondo il programma Onu, il settore maggiormente responsabile della produzione di plastica è quello degli imballaggi, responsabile di circa il 36% del totale.

Ci sono poi l’agricoltura e l’industria della pesca, a cui vengono attribuiti più di 100 milioni di chili di plastica che finiscono negli oceani. Anche l’industria della moda è coinvolta con circa il 60% dei materiali prodotti per l’abbigliamento che è costituito da plastica, tra cui poliestere, acrilico e nylon.

GLI SCHIERAMENTI E LA GEOPOLITICA

Di fronte a questi dati, tuttavia, i Paesi che hanno partecipato all’incontro di Parigi non sono sembrati tutti d’accordo nell’agire con lo stesso impegno.

Se dalla parte di coloro che vogliono attuare misure più severe all’abolizione della plastica si sono schierati una cinquantina di Paesi, tra cui l’Unione europea, dall’altra grandi produttori e consumatori di plastica come Stati Uniti e Cina sono stati più cauti. Inaspettatamente, osserva Domani, anche “il ‘nuovo Brasile’ di Lula, che in teoria dovrebbe essere in prima linea sulle questioni ambientali (e così era stato accolto a COP27 il presidente appena eletto), a Parigi è stato alleato della Cina e della Russia, che cercano di frenare in ogni modo un accordo più ambizioso”.

Paladina dell’ambientalismo è stata invece l’Arabia Saudita. E questo, nota il quotidiano, lascia intendere che “la plastica è il vero piano B dell’industria dei combustibili fossili, che quindi ha tutto l’interesse a manovrare affinché il contenuto del negoziato sia il più stretto possibile”.

E L’ITALIA COSA NE PENSA?

L’Italia, stando a quanto afferma il Sole24Ore, è la seconda consumatrice di plastica a livello europeo dopo la Germania, con quasi 6 milioni di tonnellate di plastica, pari a 98 chili per persona, consumate nel 2020.

Tuttavia, il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, rispondendo all’appello del fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, che ha chiesto di “farla finita con la plastica monouso”, ha ribadito di non essere d’accordo perché “oggi non è idoneo farlo […] specie se nel resto del mondo non si fanno scelte omogenee a questa”.

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