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Sabotaggio Nord Stream

Caso Navalny, chi fulmina e chi no in Germania il Nord Stream 2

Il caso Navalny scuote la Germania per i rapporti con la Russia: Merkel alle prese con le divisioni politiche su Nord Stream 2, gli interessi industriali tedeschi sul gasdotto e le pressioni americane. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

Con la forte reazione di Angela Merkel all’avvelenamento dell’oppositore russo Aleksej Navalny, ora certificato dai medici della Charité di Berlino che cercano di strapparlo alla morte, la Germania ha risvegliato grandi attese: se le parole indirizzate a Vladimir Putin non vogliono restare un mero esercizio di politica simbolica, la cancelliera deve rinunciare al progetto di Nord Stream 2, il contestato (all’estero) raddoppio del gasdotto sotto il Mar Baltico.

IL PRESSING DI VERDI E LIBERALI SU NORD STREAM 2

Di questo sono convinti un po’ tutti i commentatori, tanto che il tema Nord Stream 2 è balzato sulle prime pagine dei quotidiani odierni. A risollevare sul piano politico per primi la questione erano stati due giorni fa i Verdi, da sempre contrari al progetto, sia per l’ostilità verso l’energia da combustibili fossili che per la diffidenza verso il regime autocratico di Putin. Non un partito qualsiasi, ma il più probabile partner della Cdu nel prossimo governo, stando ai sondaggi che circolano da un anno a questa parte. Gli ecologisti chiedono entro la settimana la convocazione straordinaria della commissione sui servizi segreti del Bundestag. Richiesta sposata ora anche dai liberali dell’Fdp, formazione da sempre vicina al mondo dell’industria: per il responsabile della politica estera del partito, la sospensione dei lavori sarebbe l’unico modo per costringere Putin ad accettare una commissione d’inchiesta indipendente sul caso Navalny. Posizione che sbilancia il partito sul versante dell’opposizione a Nord Stream 2, dopo che esponenti di primo piano come Wolfgang Kubicki avevano in un primo momento giudicato con scetticismo le richieste di stop ai lavori. Ma il presidente Christian Lindner ha chiuso il litigio interno, chiedendo non un abbandono definitivo ma una moratoria: “Un regime che organizza avvelenamenti non è un partner per progetti di cooperazione, neppure per un gasdotto”. Insomma la minaccia di stop come mezzo di pressione.

LE VOCI ANTI GASDOTTO NELLA CDA

E non ha fatto mancare la sua voce un oppositore della prima ora nella Cdu di Merkel, Norbert Röttgen, presidente della commissione esteri del Bundestag, vicepresidente dell’Atlantik Brücke, associazione che promuove l’amicizia tedesco-americana, e candidato (con poche speranze) alla guida della stessa Cdu: “Bisogna congelare questo progetto tedesco che è contro la maggioranza degli europei”, ha detto, rimandando al disaccordo dei paesi dell’Europa centro-orientale, dai Baltici alla Polonia fino all’Ucraina.

CHE COSA HA IN MENTE MERKEL?

Insider ritengono che Angela Merkel non sia ancora disposta a mandare all’aria il progetto, che ha nell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder il suo più accanito sponsor in terra tedesca. Lei il piano se lo è ritrovato sul tavolo, non lo ha mai preso veramente a cuore, ma lo ha sempre portato avanti nel nome dell’interesse nazionale, difendendolo contro le resistenze europee (oltre ai paesi dell’Est, anche la commissione di Jean-Claude Juncker aveva provato a bloccarne i lavori) e agli ostacoli frapposti dagli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi quattro anni di Donald Trump. Le sanzioni extraterritoriali varate in accordo bipartisan dal Congresso Usa hanno imposto lo stop alla posa dei tubi sotto il Baltico a pochi chilometri dal suo completamento, rimandando a data ignota l’entrata in funzione della seconda pipeline. Le schermaglie proseguono: all’invio da parte di Mosca di due navi russe in grado di sopperire al lavoro dei navigli finiti sotto la scure delle sanzioni, gli Usa hanno promesso un rafforzamento delle sanzioni, arrivando a minacciare la sopravvivenza economica del porto tedesco di Sassnitz, che offre il supporto logistico.

IL NODO POLITICO

Il giorno prima che i medici della Charité confermassero che nel corpo di Navalny ci fossero tracce di novichok, Merkel aveva ribadito la ferma volontà tedesca di completare l’opera. E lo aveva fatto al termine di una visita a Stralsund, la cittadina portuale nelle cui vicinanze si trovano i terminali delle due pipeline Nord Stream, la prima già in funzione dal 2011 e la seconda ancora bloccata. Quello è anche il suo collegio elettorale, anche se fra un anno non si candiderà più. La cancelliera non poteva non immaginare che di lì a poco le notizie sull’avvelenamento dell’oppositore russo avrebbero infuocato i rapporti fra Berlino e Mosca (quest’anno ricorrono peraltro i 50 anni dagli accordi di Mosca, la punta di diamante dell’Ostpolitik di Willy Brandt). E nella sua visita a Stralsund aveva nuovamente criticato la minaccia Usa di nuove punizioni, ribadendo che la Germania non riconosce la validità di sanzioni extraterritoriali.

LE PRESSIONI AMERICANE

Ma Angela Merkel è anche nota per repentini cambi di posizione quando è in gioco la propria sopravvivenza elettorale (cosa questa volta esclusa, vista la sua scelta di lasciare la politica nazionale alla fine della legislatura) o la propria reputazione. E non c’è dubbio che le sue insolitamente dure dichiarazioni di due giorni fa sul caso Navalny abbiano suscitato enormi attese, anche all’estero. Ci sono le forti pressioni americane, non solo da parte di Trump e dei repubblicani ma anche dei democratici, e, per quel che valgono, gli editoriali della grande maggioranza dei commentatori dei principali quotidiani tedeschi, che spingono per una reazione non simbolica.

LA POSIZIONE DELLA SPD

Naturalmente potrebbe tutto ridursi alla richiesta, di concerto con l’Ue, di rafforzare le sanzioni economiche verso la Russia, come d’altronde auspica l’Spd, il partito tedesco più attento ai legami con Mosca: divieto di ingresso in Europa per manager e politici, sequestro dei conti bancari, blocco di patrimoni immobiliari, tutto lasciando fuori Nord Stream 2. In questi mesi la Germania è sotto la luce dei riflettori, avendo assunto la presidenza del semestre europeo, anche per le ambizioni non più nascoste di voler giocare un ruolo da protagonista sulla scena politica internazionale non legato solo alla sua forza economica. Insomma, un banco di prova per quella che finora veniva definita una potenza egemone riluttante in Europa.

LE RESISTENZE ECONOMICHE

Infine, c’è da considerare le forti resistenze del mondo economico a un cambio di rotta sul Nord Stream 2. Vale per tutte il messaggio lanciato dalla potente Commissione est dell’economia tedesca (Ost-Ausschuss der Deutschen Wirtschaft), secondo cui “è un errore reagire all’avvelenamento di Navalny con nuove sanzioni economiche, che colpirebbero imprese incolpevoli e indistintamente il popolo russo”.

I NUMERI DEL GASDOTTO E GLI INTERESSI INDUSTRIALI

Il progetto di Nord Stream 2 si basa non solo su accordi fra Stati ma anche su un investimento complessivo di 9,5 miliardi di euro suddiviso fra sei grandi consorzi industriali, 5 di cui dell’Europa occidentale: i tedeschi Uniper e Wintershall, l’olandese Royal Dutch Shell, la francese Engie e l’austriaca Omv. Questi ultimi vi partecipano con il 10%, dunque con 950 milioni. “Se il progetto fallisse sarebbe una catastrofe”, scrive l’Handelsblatt, “non solo per Gazprom ma anche per i due consorzi tedeschi”. E probabilmente per tutti gli altri. Un aspetto che rende già difficile quel grande accordo europeo sulla risposta a Mosca di cui si parla in queste ore a Bruxelles.

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