Mercoledì i prezzi dei contratti (o futures) del petrolio sono scesi al di sotto dei 70 dollari al barile, il livello più basso mai toccato dal 2022. Il prezzo del Brent – il riferimento europeo, basato sul mare del Nord – si aggira sui 69 dollari al barile; quello del contratto di riferimento statunitense, il West Texas Intermediate, è invece di circa 66 dollari al barile.
LE STIME DELL’OPEC SULLA DOMANDA DI PETROLIO
Il calo dei prezzi è dovuto alle preoccupazioni del mercato per i livelli di domanda. Anche l’Opec, l’organizzazione che riunisce alcuni dei principali paesi esportatori di greggio, ha detto che nel resto dell’anno la domanda petrolifera mondiale aumenterà di soli 2 milioni di barili al giorno, in calo rispetto ai 2,1 milioni stimati il mese scorso.
COSA C’ENTRA LA CINA
Se la domanda globale di petrolio è fiacca lo è soprattutto per via della Cina, il paese che ne importa di più. L’Opec prevede che nel 2024 l’economia cinese crescerà del 4,6 per cento e del 4,3 per cento nel 2025, molto meno delle stime ufficiali (+5 per cento).
Nell’ultimo rapporto, pubblicato qualche giorno fa, il cartello degli esportatori petroliferi ha scritto che “i consumi interni in Cina rimangono un punto focale di preoccupazione, influenzati dalle incertezze del settore immobiliare e dal calo della spesa discrezionale. Il governo ha dimostrato il suo impegno a sostenere la domanda interna attraverso varie misure” il cui effetto, tuttavia, “potrebbe essere insufficiente a rilanciare in modo significativo i consumi interni”.
LA SITUAZIONE NEGLI STATI UNITI E IL TIMORE DI UN SURPLUS DI OFFERTA
A deprimere i prezzi del petrolio hanno contribuito anche gli ultimi dati sull’occupazione negli Stati Uniti – considerati uno degli indicatori principali dell’andamento dell’economia -, che mostrano un rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro. Gli Stati Uniti sono il paese che produce e che consuma più petrolio al mondo.
La combinazione delle situazioni economiche in America e in Cina, in particolare, si sommano ai timori di un surplus di offerta di petrolio a partire dall’anno prossimo, visto l’aumento della produzione in alcuni paesi che non fanno parte dell’Opec e la scarsità di acquirenti.
Intanto, l’Opec e i suoi alleati (indicati collettivamente con la sigla Opec+) hanno deciso di proseguire ancora con i tagli volontari alla produzione per cercare di sostenere i prezzi.
LE RIPERCUSSIONI SULLA TRANSIZIONE ENERGETICA
A livello generale, una fase di bassi prezzi del petrolio potrebbe ripercuotersi negativamente sul processo di transizione energetica, riducendo l’incentivo economico alla sostituzione dei combustibili fossili con fonti e vettori a basse emissioni.