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Big Oil

Petrolio, perché Exxon, Total e Shell navigano a vista

Gli analisti prevedono buoni risultati economici per le Big Oil nel terzo trimestre dell'anno. Ma l'andamento del mercato petrolifero è incerto: crisi ucraina, fiacchezza cinese e transizione ecologica minacciano le prospettive immediate e future. Ecco perché.

 

Dopo un periodo di crisi legato alla pandemia di coronavirus e al conseguente crollo dei prezzi dell’energia, l’attuale fase di rincaro delle materie prime – come, appunto, i combustibili fossili – sta permettendo alle società petrolifere di registrare grosse entrate.

PROFITTI IMPORTANTI PER LE BIG OIL, MA IN CALO

Questa settimana le “Big Oil” (si chiamano così le maggiori compagnie petrolifere al mondo) come ExxonMobil, Shell, TotalEnergies e Chevron annunceranno i loro risultati finanziari del terzo trimestre del 2022. Gli analisti di settore si aspettano profitti notevoli, benché inferiori a quelli del trimestre precedente, quando alcune aziende riportarono guadagni record.

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Grafico via Axios.

LA GUERRA DELLA RUSSIA E LA POLITICA ZERO-COVID IN CINA

L’invasione russa dell’Ucraina, infatti, ha reso più volatili e meno prevedibili i mercati dell’energia. E anche se i prezzi del greggio Brent (il principale riferimento, o benchmark, internazionale) sono sopra i 90 dollari al barile, le Big Oil non possono fare a meno di preoccuparsi per la recessione economica. In Cina, peraltro, la politica zero-COVID, fatta di severe restrizioni per limitare i contagi da coronavirus, sta intaccando l’attività industriale e la domanda energetica del paese che importa più petrolio al mondo.

INTERPRETARE IL FUTURO

Le compagnie petrolifere hanno sì tanta liquidità a disposizione, ma il contesto attorno a loro è difficile da interpretare e il futuro pone diverse sfide sia nel breve che nel medio e nel lungo termine.

Al di là della volatilità dei prezzi aggravata dalla guerra in Ucraina, che potrebbe incentivare nuove trivellazioni, non è facile per le aziende valutare la domanda futura di combustibili fossili, visti gli impegni internazionali alla transizione ecologica. Proprio l’attuale crisi energetica, inoltre, potrebbe portare a una forte accelerazione delle installazioni di capacità rinnovabile per sostituire quella fossile.

COME VA IL PETROLIO

Il rallentamento della domanda cinese ha causato, lunedì, un calo dell’1,3 per cento dei contratti (futures) di greggio Brent con consegna a dicembre, scesi a 92,3 dollari a barile. Il WTI, riferimento del mercato statunitense, ha perso invece l’1,7 per cento a 83,6 dollari.

COSA HA FATTO L’OPEC+

A inizio ottobre l’OPEC+, l’organizzazione che riunisce molti dei principali paesi esportatori di petrolio, ha raggiunto un accordo per ridurre la propria produzione di 2 milioni di barili al giorno.

Il cartello si sta preparando ad affrontare un’eventuale recessione economica, dovuta all’inflazione alta, che farebbe precipitare sia la domanda che il valore del greggio. Facendone salire i prezzi ora, in anticipo, il gruppo potrà dunque aumentare gli introiti delle vendite prima che le prospettive economiche peggiorino.

APPROCCI DIVERSI TRA EUROPA E AMERICA

Tutte le compagnie petrolifere stanno rivedendo i propri modelli di business per adeguarli alla transizione ecologica e agli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Mentre però europee – scrive Axios – si stanno concentrando sulla costruzione e l’acquisizione di progetti di energia rinnovabile (ritrovandosi a competere con le grandi società elettriche come Enel o Iberdrola), quelle statunitensi stanno puntando invece sulle tecnologie di cattura del carbonio (l’Inflation Reduction Act prevede ricchi crediti d’imposta).

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