skip to Main Content

Chesapeake

Tutti i favoritismi della Ue alla Germania sul gas

Il meccanismo europeo di acquisti comuni del gas favorisce (ancora) la Germania: ecco perché. L'articolo di Sergio Giraldo.

La Commissione europea intende proporre agli Stati membri di rendere permanente la piattaforma di acquisti congiunti di gas all’ingrosso (AggregateEU), inizialmente prevista per essere provvisoria. Lo riporta Reuters, che ha visionato alcuni documenti contenenti la proposta. Il meccanismo di acquisti comuni era stato creato su impulso della Commissione dopo che, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Bruxelles aveva deciso di fare a meno del gas proveniente dalla Russia con il programma RePowerEU. A questa decisione era seguito lo stop delle forniture alla Germania attraverso il gasdotto Nord Stream 1 da parte di Gazprom. Un anno fa, poi, lo stesso gasdotto poggiato sul fondo del Mar Baltico e il suo gemello Nord Stream 2 (non ancora entrato in esercizio) sono stati resi inservibili dalle esplosioni verificatesi in acque internazionali ma vicinissime alla Danimarca. Ufficialmente ancora non esiste un responsabile per l’attentato.

IL GAS RUSSO ARRIVA ANCORA IN EUROPA

Il gas russo, tuttavia, raggiunge ancora l’Europa, sia attraverso il gasdotto che passa nel territorio ucraino e arriva in Austria, sia attraverso quello che sfocia in Bulgaria. Infine, l’Europa acquista significativi volumi di gas naturale liquido (GNL) proprio dalla Russia. Nei primi sette mesi del 2023 la Russia è risultata addirittura il secondo fornitore di GNL dell’Unione europea con oltre 13 miliardi di metri cubi standard (Smc), dopo gli USA e prima del Qatar, fornitore storico. Sono soprattutto Spagna, Belgio e Francia ad acquistare il GNL russo. Da Belgio e Francia i flussi di gas, attraverso la rete di gasdotti europea, arrivano anche in Germania.

PERCHÉ GLI ACQUISTI COMUNI FAVORISCONO LA GERMANIA

La piattaforma comune per gli acquisti di gas è stata, sin qui, un regime temporaneo che dovrebbe scadere tra tre mesi, a dicembre. Ma l’Ue pensa di renderlo permanente. Come recita il vecchio adagio, non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.

Il meccanismo consentirebbe ai grandi consumatori di acquistare congiuntamente su base volontaria, come ora. Se però l’Ue dovesse fronteggiare una nuova crisi dell’offerta, l’acquisto comune diverrebbe obbligatorio per evitare che gli Stati membri competano per gli stessi scarsi volumi. L’idea è di riuscire ad approvare la nuova versione della piattaforma entro dicembre, onde renderla stabile dal gennaio 2024. In realtà, riuscire anche solo a mettersi d’accordo sulla definizione di “crisi dell’offerta” potrebbe prendere mesi di tempo. Sarà interessante capire se la nomina di Luigi Di Maio a inviato speciale dell’Ue nel Golfo Persico, avvenuta a maggio, possa alterare, e come, i delicati equilibri tra paesi fornitori del Golfo e l’Europa.

Sin qui la piattaforma ha lanciato due gare, una terza è prevista per il 3 ottobre prossimo, una quarta per dicembre. Nelle prime due gare, 91 acquirenti hanno espresso una richiesta di 27,5 miliardi di metri cubi (su periodi anche più lunghi di un anno). Vale la pena ricordare che il consumo complessivo di gas in Ue è di poco più di 400 miliardi di metri cubi all’anno, dunque sulla piattaforma, almeno per ora, i volumi negoziati sono meno del 10%.

L’UE NEGA SÉ STESSA

Tuttavia, è evidente che il progetto di rendere stabile la piattaforma per gli acquisti comuni risponde a una logica che nega le radici stesse dell’Unione europea. Questa, infatti, è basata su una vera e propria religione, quella del mercato interno. Come recita l’articolo 3 del Trattato sull’Unione europea (che ben pochi hanno letto, evidentemente) “L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva […]”.

“Fortemente competitiva” significa che la concorrenza è, per l’Ue, la chiave di volta del mercato interno. Si tratta di una concorrenza non solo tra imprese in un mercato, ma anche di concorrenza tra Paesi membri. Già il riferimento esplicito alla “economia sociale di mercato” segna l’imposizione del modello tedesco a 27 Paesi molto diversi tra loro. Si tratta in realtà di una politica economica apertamente liberista, che di sociale ha ben poco, inaugurata in Germania da Ludwig Erhard, economista a capo della sezione economica del Wirtschaftsrat nel secondo dopoguerra. Erhard si ispirò alle idee economiche di Wilhelm Röpke e Alfred Müller-Armack, i quali pensavano che lo stato dovesse provvedere soltanto al quadro legislativo di supporto per lo sviluppo libero delle forze economiche di mercato.

Ma le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici. Dunque la piattaforma provvisoria è già in sé un vulnus al mercato, che ha i suoi meccanismi, glorificati dalla stessa Ue fino al febbraio 2022 e risultato di decenni di affinamenti. Poi, con la guerra in Ucraina, la Germania è entrata in una crisi energetica in cui ancora si dibatte. Allora, ecco l’eccezione, creata per favorire la Germania in difficoltà. Ora, l’idea di trasformare l’eccezione in una regola che riduce il vantaggio competitivo dell’Italia, che non ha problemi di approvvigionamento.

Non c’è limite all’ipocrisia di Bruxelles, che maschera di buone intenzioni i continui aiutini forniti a Berlino. Del resto, senza il generoso mantello dell’Unione europea, per l’economia tedesca i giochi sarebbero già finiti da tempo.

Back To Top