Skip to content

Urso sta preparando lo spezzatino di Acciaierie d’Italia?

Dopo lo sgretolamento dell'offerta di Baku Steel, il ministro Urso annuncia la riapertura della gara per la vendita di Acciaierie d'Italia. Il governo ha anche elaborato un piano di decarbonizzazione. Ecco dettagli, numeri e dubbi sul rilancio dell'ex Ilva: nazionalizzazione in vista?

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha annunciato la riapertura della gara per la vendita di Acciaierie d’Italia – la società siderurgica in amministrazione straordinaria che gestisce l’ex Ilva di Taranto – in modo “da dare la possibilità di partecipare anche ad altri acquirenti”. Il nuovo bando di gara verrà pubblicato il 1 agosto e si concluderà a ottobre.

CHE FINE HA FATTO BAKU STEEL?

Un acquirente per Acciaierie d’Italia, in realtà, era stato trovato: l’azienda azera Baku Steel, che aveva presentato un’offerta economica di circa 1,1 miliardi di euro e posto diverse condizioni, tra cui rilascio di una nuova Autorizzazione integrata ambientale e l’installazione di una nave rigassificatrice a Taranto.

La proposta di Baku Steel, tuttavia – traballante fin dall’inizio -, pare essersi sgretolata anche a seguito dell’incendio all’altoforno 1 lo scorso maggio, nonostante le rassicurazioni dello stesso Urso.

I TEMPI PER LA NUOVA GARA

Parlando dei tempi della nuova gara, Urso ha spiegato che, “se tutto andrà per il verso giusto, la fase si concluderà all’inizio del 2026 con il definitivo passaggio ai nuovi investitori”, ancora ignoti.

IL PROBLEMA CON L’AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE

Prima della riapertura della gara, comunque, andrà raggiunto un accordo sull’Autorizzazione integrata ambientale, o Aia: si tratta, in breve, di un provvedimento che consente a un impianto dall’elevato potenziale di inquinamento di operare, ma solo se rispetta precise condizioni di protezione ambientale.

L’incontro di oggi al ministero delle Imprese è terminato con il rinvio al 31 luglio della definizione di un accordo tra il governo e le autorità pugliesi. Intanto, è stata istituita una commissione tecnica per valutare l’impatto ambientale ed economico del rigassificatore di Taranto.

IL NUOVO PIANO INDUSTRIALE PER ACCIAIERIE D’ITALIA (MA CHI LO REALIZZERÀ?)

Nonostante l’assenza di un investitore, Urso ha comunque presentato il nuovo piano di decarbonizzazione di Acciaierie d’Italia. Non è chiaro, tuttavia, per quale motivo il futuro acquirente dovrebbe accettare di seguire il piano del governo anziché elaborarne uno proprio.

Il piano punta a una produzione di otto milioni di tonnellate di acciaio all’anno, divise tra Taranto (sei milioni) e Genova (due milioni) attraverso quattro forni elettrici in tutto, che rispetto agli altiforni hanno dei livelli di emissione più bassi: tre di questi forni saranno a Taranto e uno a Genova. Per garantire una produzione di acciaio primario in assenza degli altiforni, progressivamente dismessi, i forni elettrici saranno affiancati da degli impianti di riduzione diretta del ferro: si tratta, semplificando molto, di un processo meno emissivo rispetto al ciclo integrale in altoforno perché utilizza il gas naturale anziché il carbone coke.

Gli impianti di riduzione diretta saranno tre, tutti collocati a Taranto: il sito di Genova, dunque, ne sarà sprovvisto. Per alimentarli serviranno oltre 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, che verrebbero garantiti – in teoria – da un rigassificatore galleggiante posizionato nel porto di Taranto.

Il governo, in realtà, ha elaborato due scenari: il primo con riduzione diretta e rigassificatore, il secondo senza. La seconda opzione prevede dunque la perdita della capacità produttiva di acciaio primario, qualitativamente diverso da quello secondario da rottami e insostituibile in alcune applicazioni.

Il piano A per Acciaierie d’Italia partirà a settembre con il dissequestro dell’altoforno 1 dell’ex Ilva di Taranto, dopo l’incendio di maggio scorso: gli altiforni attivi saranno dunque tre. Nella prima fase di decarbonizzazione, dal 2026 al 2029, la società sarà dotata di due forni elettrici e di due impianti di riduzione diretta; nella seconda fase, dal 2028 al 2031, ci saranno invece due forni elettrici e tre impianti per il preridotto; nella terza e ultima fase, dal 2030 al 2033, ci saranno quattro forni elettrici e tre impianti per il preridotto.

Come detto, negli anni i tre altiforni di Taranto saranno dismessi e sostituiti con i forni elettrici.

Il piano presentato da Urso non contiene dettagli né sugli investimenti necessari né sui livelli occupazionali (che saranno più bassi nel caso in cui venga seguito il piano B, senza preridotto e rigassificatore).

ACCIAIERIE D’ITALIA VERRÀ DIVISA…

Il Sole 24 Ore non ha escluso, per Acciaierie d’Italia, “la prospettiva della vendita a blocchi”.

Significa, nel concreto, che il sito di Taranto potrebbe venire acquisito dalla compagnia indiana Jindal Steel, che aveva già presentato un’offerta di acquisto – venne preferita quella  di Baku Steel, però – e che già possiede degli impianti di riduzione diretta del ferro in Oman: di conseguenza, la materia prima per l’acciaio potrebbe arrivare da lì, eliminando forse la necessità di un rigassificatore.

Gli altri asset di Acciaierie d’Italia al nord, invece, potrebbero andare a gruppi italiani come Marcegaglia o Arvedi, i cui nomi erano circolati parecchio nei mesi scorsi.

… OPPURE VERRÀ NAZIONALIZZATA?

Sempre Il Sole 24 Ore ha fatto notare i preparativi del ministero delle Imprese a una possibile nazionalizzazione di Acciaierie d’Italia attraverso l’articolo 5 dell’ultimo decreto-legge dedicato all’ex-Ilva, attualmente in discussione al Senato.

“In sintesi”, spiega il quotidiano, “se i commissari straordinari dovessero rilevare l’inadempienza dei futuri acquirenti (ad esempio sugli obblighi di conversione green della produzione o di tutela occupazionale fissati dal nuovo bando) questi ultimi potranno evitare di incorrere in violazione degli obblighi e pagamento delle garanzie cedendo gli asset a terzo investitore, ‘anche in controllo pubblico’, a un prezzo che non dovrà comunque superare l’80% de valore di aggiudicazione”.

In sostanza, il governo vorrebbe obbligare gli eventuali investitori a rispettare il piano di decarbonizzazione e rilancio di Acciaierie d’Italia; in caso contrario, la società finirebbe sotto il controllo dello stato. Nei mesi scorsi circolava già la possibilità di un ingresso di Invitalia – l’agenzia per l’attrazione degli investimenti controllata dal ministero dell’Economia – nel capitale dell’ex Ilva con una quota del 10 per cento.

In passato, però, Urso aveva criticato la partecipazione statale nell’ex Ilva. “Io ho l’impressione che in questi anni la presenza dello stato non abbia contribuito per l’ex Ilva. Quindi di per sé la presenza dello stato non sempre è una soluzione al problema”, aveva detto. “Non mi sembra che il bilancio di questi anni in cui Invitalia aveva una parte importante e significativa in Acciaierie d’Italia possa essere giudicata positiva”.

Torna su