Ormai tra l’Amministrazione americana e la Cina è scontro aperto. Non è solo Donald Trump a prendersela con Xi Jinping, ma l’intero establishment. Da Mike Pompeo, che in una recente intervista (Abc), accusa il Celeste impero di aver “mentito sul virus e ha fatto scorte di materiale sanitario” al segretario alla Difesa Mark Esper, che mette in guardia: attenti alle profferte di aiuto. “Cina e Russia sfruttano il virus per avere più potere in Italia” e non solo. Secca la risposta del Quotidiano del Popolo, organo del Partito comunista cinese: «Non importa quante volte una bugia venga ripetuta o quanto accuratamente venga fabbricata. Resta ciò che è». Insomma è guerra di comunicati, ma anche di intelligence. Il rapporto firmato dai Servizi segreti di cinque Stati (Uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) che accusa Pechino di aver nascosto a tutti la gravità della situazione.
Già agli inizi di dicembre, sostengono i Servizi, la Cina sapeva che il virus poteva essere trasmesso da uomo a uomo. Ha, quindi “deliberatamente nascosto o distrutto prove dell’epidemia di coronavirus”, violando ogni principio di trasparenza che è finito per costare “decine di migliaia di vite umane” e che ha messo in pericolo altri Paesi. Prima di invertire completamente la rotta, il 20 gennaio, continua il rapporto, la Cina “ha messo a tacere o addirittura “fatto sparire” medici che volevano avvertire del reale pericolo, negato campioni del virus agli scienziati stranieri che ne facevano richiesta e, infine, bloccato l’accesso delle organizzazioni internazionali alla provincia-epicentro di Wuhan.” “Un classico tentativo di disinformazione comunista”: secondo le parole di Mike Pompeo.
Piena “guerra fredda”. Seppur combattuta, almeno per ora, con strumenti diversi. Quelli del soft power che vanno dalla finanza – le profferte di aiuti – al sostegno nella lotta contro la malattia grazie alla fornitura del materiale necessario per combattere l’epidemia. In questa strategia, la Cina è in grado di sfruttare al massimo il suo punto di forza: l’essere divenuto, in tutti questi anni, l’hub industriale in grado di rifornire tutto il resto del Mondo. Ed ecco allora che quelle stesse forniture di materiale diventano strumento di penetrazione non solo economica a favore delle esportazioni cinesi, ma anche politica e culturale.
Del resto, in molti Paesi, a partire dall’Italia, le condizioni sono propizie. Di fronte ai fallimenti europei, il richiamo verso questo nuovo polo di attrazione rimane potente. Come mostra l’esplicita esortazione di Alessandro Di Battista, – sarà la Cina a vincere la competizione con gli Usa – che tanto preoccupa il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Sarà come dice il battitore libero dei 5 stelle? Difficile rispondere. Secondo i calcoli del Fmi, il Pil nominale della Cina, corretto per la diversità del potere d’acquisto, avrebbe raggiunto e superato quello americano. Ma le distanze, in termini di reddito pro-capite, considerata la differente stazza della popolazione residente, sono ancora molto forti. Poco meno di 20 mila dollari per un abitante di Pechino, contro i 64 mila di un newyorchese. Resta tuttavia il fatto della diversa prospettiva di sviluppo tra queste due aree, proprio a causa di Covid-19. Secondo le prime valutazioni, sempre del Fondo internazionale, alla fine del 2021, mentre gli Stati Uniti dovranno vedersela con una caduta del Pil complessivo dell’1,2; la Cina sarà cresciuta di un altro 10,4 per cento. Non proprio un buon viatico per un Presidente, come Donald Trump, che ha fatto di “America first” la sua stella polare.
Quando a novembre si andrà alle lezioni, forse al Presidente verrà chiesto il conto. L’essere stato costretto a far crescere il debito dello Stato a livelli impensabili, solo qualche mese fa. Nel secondo trimestre di quest’anno la richiesta sarà di ulteriori 3 miliardi di dollari: una somma – anche a questo servono le statistiche – che supera di ben 5 volte il record trimestrale toccato durante la crisi finanziaria del 2008. Che, com’è noto, non ha certo portato bene agli esponenti del partito repubblicano. Sia John McCain che Mitt Romney persero contro Barack Obama, rispettivamente nelle elezioni del 2008 e del 2012. Ed ora Trump dovrà vedersela con Joe Biden, candidato alla presidenza da parte dei democratici, che è stato vice- presidente degli Stati Uniti durante tutta la presidenza di Barack Obama.
Non sarà quindi semplice per l’attuale inquilino della Casa Bianca battere i suoi avversari. Ed è questa una delle componenti che spiega il perché di tanto accanimento nei confronti della Cina. Che, naturalmente, ha tutte le sue colpe. Ma che può anche diventare un facile capro espiatorio. Ciò che preoccupa gli americani sono le incertezze che si sono registrate nella lotta contro il virus. Le indicazioni paradossali fornite dalla stessa presidenza (iniezioni di disinfettante e bagni di sole), che hanno fatto indignare gran parte della pubblica opinione. Ma soprattutto il numero dei contagi e dei caduti.
Secondo la John Hopkins University il numero dei contagiati negli Usa, sarebbe pari (4 maggio) ad oltre 1,1 milioni di persone. Non solo il più alto del Pianeta, ma quasi 14 volte i dati farlocchi della Cina. I morti accertati sono già quasi 68 mila. Ma secondo alcune previsioni potrebbero raddoppiare (135 mila) per il mese di agosto. Una strage che già ora ha mietuto più vittime della guerra del Vietnam: considerato che allora i caduti ed i dispersi furono in totale poco più di 58 mila. Elemento evocativo che non potrà che rientrare nella campagna elettorale. Ed allora saranno dolori. Donald Trump ne è pienamente consapevole, e per questo cerca di correre ai ripari. Speriamo che tutto ciò non rimanga solo schermaglia politica; ma contribuisca a mettere in mora Pechino, costringendolo a fornire, finalmente, tutto ciò che può servire alla sconfitta del corona virus.