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Deutsche Bank

Vi racconto gli inghippi Deutsche Bank-Commerzbank e Bayer-Monsanto

Due vicende accadute in Germania meritano una riflessione sul rapporto tra multinazionali e politica: la bocciatura, giorni fa, del management della Bayer da parte del 55% degli azionisti per l'acquisto della Monsanto, giudicato incauto, e il contemporaneo ritiro dell'ipotesi governativa di fondere Deutsche Bank e Commerzbank, le due maggiori banche tedesche, da tempo in crisi. L'approfondimento di Tino Oldani, firma di Italia Oggi

 

Due vicende accadute in Germania meritano una riflessione sul rapporto tra multinazionali e politica: la bocciatura, giorni fa, del management della Bayer da parte del 55% degli azionisti per l’acquisto della Monsanto, giudicato incauto, e il contemporaneo ritiro dell’ipotesi governativa di fondere Deutsche Bank e Commerzbank, le due maggiori banche tedesche, da tempo in crisi.

In entrambi i casi, lo strapotere finanziario delle multinazionali ha condizionato senza ombra di dubbio le scelte politiche, fino a dare l’impressione di poter fare i propri comodi non solo in Germania, ma anche nei confronti dell’Antitrust e del Parlamento Ue. Ma poi sono bastati alcuni intoppi imprevisti, il classico sassolino nell’ingranaggio, e di colpo lo strapotere delle multinazionali si è afflosciato, recando discredito anche alle strategie politiche.

Ma andiamo con ordine. Giusto un anno fa, il gruppo tedesco Bayer riuscì ad acquistare in Usa la Monsanto, con un esborso di 63 miliardi di dollari, e l’operazione fu salutata da un coro di elogi politici. Non solo. La commissaria Ue per l’Antitrust, Margrethe Vestager, diede disco verde all’operazione, da cui nasceva il più grande produttore al mondo di sementi e pesticidi, una superpotenza destinata a controllare rispettivamente il 24 e il 29% dei due settori. Una decisione che non fu bene accolta dalle associazioni agricole europee.

Con la fusione tra Bayer-Monsanto, oltre a quella tra DuPont e Dow Chemical e l’acquisto di Syngenta da parte di ChemChina, denunciò la Coldiretti, il 63% del mercato mondiale delle sementi e il 75% di quello dei pesticidi finiva nelle mani di solo tre multinazionali, «con un evidente squilibrio di potere contrattuale nei confronti di un miliardo e mezzo di produttori agricoli nel mondo, i quali si trovano ora stretti in una tenaglia di pochi grandi gruppi, che dettano le regole di mercato per l’acquisto dei mezzi tecnici necessari per la coltivazione, a partire dalle sementi, oltre che per la commercializzazione dei prodotti alimentari». Ma la signora Vestager non fece neppure un plissé, e la fusione Bayer-Monsanto andò in porto.

L’intoppo, però, era dietro l’angolo. Nel giro di pochi mesi, a San Francisco, la Monsanto ha perso due cause in tribunale, l’ultima il 20 marzo scorso, ed è stata condannata a risarcire con 80 milioni di dollari a un residente in California, Edwin Hardman, un malato di cancro che aveva denunciato la Monsanto adducendo come causa della malattia il Glifosato, l’erbicida prodotto dalla multinazionale. Una sentenza choc (all’inizio la penale era di 289 milioni), che ha fatto crollare in Borsa il titolo della Bayer, tanto che, a fronte dei 63 miliardi di dollari spesi per acquistare la Monsanto, la valutazione di mercato del gruppo tedesco ha già perso 39 miliardi.

Un disastro finanziario che minaccia di assumere dimensioni ancora più preoccupanti se si considera che nei tribunali Usa vi sono circa 13 mila cause simili per danni da Glifosato. Per questo, nei giorni scorsi, il 55% degli azionisti Bayer ha votato in assemblea contro l’operato dell’amministratore delegato, Werner Baumann, che tuttavia non si è dimesso, mentre alcuni grandi azionisti, in testa il fondo Elliott, cominciano a dirsi favorevoli a dividere in due il gruppo, separando il settore delle sementi da quello chimico-farmaceutico, e cancellando il nome Monsanto.

Che il Glifosato potesse riservare brutte sorprese non era un mistero: in Europa, da anni è al centro di polemiche sia scientifiche che politiche, e lo scorso agosto il Parlamento europea ne aveva autorizzato l’uso per altri cinque anni, però dividendosi: a favore votarono i tedeschi, contro francesi e italiani.

Non meno divisiva, sul piano politico, è stata nelle ultime settimane l’ipotesi di fondere le due maggiori banche tedesche, da tempo in crisi: Deutsche Bank e Commerzbank, quest’ultima controllata in parte (15,6%) dal governo di Angela Merkel. Il fautore più convinto della fusione è stato il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, socialdemocratico, che ha perorato l’operazione recandosi di persona a Londra, per convincere alcuni grandi banchieri d’affari. Salvo poi ripensarci, in quanto la fusione «non avrebbe creato benefici sufficienti» per l’economia tedesca.

Nel caso delle due banche tedesche, è bene precisare che la Vestager non ha mai detto neppure una parola, in quanto nessun dossier è mai giunto sulla sua scrivania. In Italia, quando la fusione era ritenuta possibile e perfino ben vista da Bruxelles, alcuni politici l’avevano addirittura accusata di doppiopesismo: severa con le banche italiane, arrendevole con quelle tedesche. Ma in questo caso, prima dell’Antitrust Ue, sono stati i media tedeschi a bocciare la fusione, ricordando due dati che, da soli, riassumono le dimensioni della crisi di Deutsche Bank: a partire dal 2008 gli azionisti hanno sborsato 33 miliardi di euro per aumenti di capitale, ma attualmente in Borsa la banca vale appena 15,7 miliardi. E nuove pesanti perdite sarebbero in vista, a seguito di sentenze in Usa per violazione delle leggi federali, per l’enorme esposizione sui derivati (pari a 15 volte il pil della Germania), oltre che per il coinvolgimento nel riciclaggio di fondi opachi partiti dalla Russia.

Insomma, non ci sono nuovi investitori in vista, disposti a bruciare altri capitali nella prima banca tedesca. Mentre, come per Bayer-Monsanto, la soluzione spezzatino, per separare almeno le attività profit, non sarebbe più questione di se, ma di quando. Scelta che segnerebbe la fine di Deutsche Bank come campione tedesco della finanza, ma anche una sconfitta della Merkel.

 

(estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi)

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