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Sisci

Vi spiego cosa cambierà nell’economia della Cina. Parla Sisci

L'economia della Cina non crollerà ma Pechino dovrà ripensare al modello di sviluppo seguito finora. Ecco come. Conversazione con Francesco Sisci, sinologo, senior researcher presso la China People’s University

 

Nonostante gli evidenti sintomi di malessere economico, la Cina non crollerà. Ne è fermamente convinto un sinologo come Francesco Sisci (nella foto), corrispondente per anni per diverse testate italiane da Pechino e adesso senior researcher presso la China People’s University, il quale però individua un altro ordine di problemi per la seconda potenza mondiale: la crisi di un intero modello di sviluppo finora incentrato sulla crescita del mercato immobiliare, esploso in una clamorosa bolla, e su ingenti flussi di export messi oggi in crisi dalla strategia occidentale di derisking. Per risolvere in modo radicale questo problema, secondo Sisci, potrebbe essere necessaria la più drastica delle riforme, ossia, nelle parole del sinologo, “porre non il Partito sopra la legge, ma la legge sopra il Partito”.

Professore, sono numerosi gli indicatori che segnalano il malessere economico della Cina. Il motore economico della Cina si è inceppato? È tramontata l’illusione che, dopo la tragica pausa del Covid, l’economia cinese avrebbe conosciuto un rimbalzo?

In realtà, non si può escludere per ora un rimbalzo, anche se per ora non lo vediamo. Gli indicatori di cui stiamo parlando ci sono e sono eloquenti. Tuttavia nell’ultimo mese il governo centrale ha messo in campo una serie di misure di stimolo. Ma per vedere i risultati dovremo attendere alcuni mesi.

Facciamo il punto su questi stimoli.

Sono di due tipi: alcuni sono di tipo finanziario e altri di tipo politico-burocratico. Abbiamo ad esempio il taglio dei tassi di interesse e la ristrutturazione dei debiti locali con cartolarizzazione e vendita come buoni del tesoro. Poi sono stati esplicitamente sollecitati gli imprenditori a investire di più. A questo si aggiungono facilitazioni per gli imprenditori stranieri che aprono nuove imprese. Si tratta di vedere ora se simili misure avranno effetto e in quanto tempo: a mio avviso si dovranno attendere dai tre ai nove mesi per vedere i risultati. Tuttavia questo ragionamento vale nel breve termine. Se si considera invece il lungo termine abbiamo un altro ordine di problemi.

Quali?

Inizialmente si era creduto che il problema fosse costituito dal long Covid. Adesso invece appare chiaramente che il problema non è costituito dagli effetti della pandemia ma da un modello di sviluppo che è entrato in crisi o anzi che si sta esaurendo senza che se ne profili un altro.

Come è entrato in crisi quel modello?

Fino ad oggi, la crescita cinese si è basata su due elementi: le esportazioni e l’immobiliare. L’immobiliare è arrivato al termine perché il mercato è ipersaturo, non ci sono altre case da vendere. E la crisi del mercato immobiliare si riverbera sulle banche e sul finanziamento delle infrastrutture, che è stato l’altro grande motore della crescita cinese. Quanto alle esportazioni, stanno soffrendo a causa delle misure restrittive prese dal governo Usa e appoggiate da molti Paesi occidentali, il cosiddetto derisking. L’effetto combinato di questi due fattori ha generato molta frustrazione tra la popolazione che ora è incerta sul futuro.

È dunque concreto il rischio di un tracollo?

Questa crisi non significa che la Cina crollerà domani. Questo perché il Paese non ha una valuta interamente convertibile e dispone inoltre di abbondanti riserve con cui fronteggiare eventuali attacchi speculativi. Tuttavia il problema maggiore resta ed è quello di un intero modello di crescita che non funziona più.

Se stiamo alla retorica ufficiale del Partito, la cui massima espressione sono le parole di Xi Jinping, questo però sarebbe dovuto essere – cito il Presidente – un periodo di ‘Ringiovanimento’ (rejuvenation).

È vero, quello del Ringiovanimento è un concetto molto enfatizzato. Tuttavia stiamo parlando di due cose che hanno sì un rapporto fra di loro ma vanno mantenute distinte. Noi qui stiamo parlando di economia, mentre il rinascimento cinese evocato da Xi è soprattutto un movimento di tipo culturale. Non a caso il termine rejuvenation ha un’eco con il Rinascimento e Risorgimento italiani, due storie cui la Cina guarda con molta attenzione. È vero tuttavia che senza l’economia la cultura non fiorisce.

Immaginiamo che tra l’intellighenzia cinese si sia aperto un dibattito sulla crisi del modello di sviluppo e sulle possibili alternative future.

Sì, c’è una discussione molto intensa e sfaccettata. Vi è chi dice che bisognerebbe dare maggiori garanzie agli imprenditori privati, i quali si sentono minacciati e a rischio. Infatti la lotta alla corruzione prima e le politiche zero-Covid poi hanno visto le loro attività economiche esposte a repentine chiusure e riaperture, quando non venivano messe sotto inchiesta. È dunque comprensibile come essi abbiano ora paura di rischiare.

Cosa dovrebbe dunque fare la Cina?

Si tratterebbe in effetti di dare delle rassicurazioni al ceto produttivo, un tema su cui ultimamente sta insistendo la retorica del Partito. Tuttavia queste rassicurazioni ufficiali da sole forse non bastano. Servirebbe qualcosa di più strutturale, come una difesa più convincente della proprietà privata.

Ossia?

Si tratterebbe, in pratica, di porre non il Partito sopra la legge, ma la legge sopra il Partito.

Praticamente un pilastro dello Stato liberale.

Non esageriamo. Sarebbe comunque una riforma profondissima. Devo dire che questo dibattito non è nuovo ma va avanti da almeno trent’anni come un fiume carsico che resta tanto tempo sotto terra e poi riemerge. E adesso sta riemergendo.

Un recente articolo dell’Economist ha sottolineato proprio questo punto, ossia che la Cina è entrata in crisi a causa della torsione autoritaria promossa da Xi, con passi come la spietata persecuzione di imprenditori come Jack Ma.

Adesso sembra che il problema sia Xi e che prima di lui tutto filasse liscio. Non sono d’accordo. Ribadisco il concetto: i mali della Cina, ossia la bolla immobiliare e l’eccesso di export, esistevano prima. Il problema era e resta un modello economico non più sostenibile. Ciò non significa che la Cina sta per fallire, anche il Giappone aveva la stessa malattia e ha resistito per trent’anni. Allo stesso modo, a dispetto di quanto dicono gli amici dell’Economist, la Cina non è destinata necessariamente a cadere anche se certamente si pone un grave problema di orizzonte.

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