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Tax Free Shopping

Vi spiego come funziona (male) il Tax Free Shopping

La lettera di Arturo Aletti, già amministratore delegato dal 1989 al 1998 della società GlobalBlue Italia, sul Tax Free Shopping

Caro direttore,

I miei commenti sul social X a proposito dell’affaire “Patrocinio Ministero del Turismo alla promozione Airbnb/Made in Italy” sull’articolo di Start Magazine provengono dalla constatazione che il Ministero del Turismo, da anni e non ultimo sotto la regia della Santanché, privilegia i suggerimenti dei portatori d’interesse, facendoli passare per portatori esclusivi di competenze.

Sgombriamo subito il campo da equivoci: tutti i miei complimenti a Airbnb e alla società di Public Affairs Utopia: fanno molto bene il loro lavoro ed i loro interessi. Quello che non va è, a mio avviso, il coinvolgimento forzato del Ministero del Turismo.

Mi presento: sono stato pioniere della introduzione e sviluppo in Italia del TaxFree, già ad dal 1989 al 1998 della società GlobalBlue Italia (leader rimborsi TaxFree) e poi senior advisor fino al 2013 di Fintrax Group, la rivale Irlandese, ora Planet.

Veniamo al merito della questione. In un Paese in cui, come dichiarato più volte da Altagamma, il 60% degli acquisti retail di Lusso/Moda/Accessori (che non sono necessariamente solo Made in Italy) è fatto da turisti, è evidente che i turisti sono attratti dallo shopping e non solo dall’arte, dalla cultura, dal mare, dal paesaggio, dalle piste ciclabili, dai trenini storici e dall’enogastronomia: quando sono in Italia ne approfittano per fare shopping e questa attività è un must per la stragrande maggioranza dei visitatori, con beneficio economico ed occupazionale non indifferente sui territori, trattandosi, nel caso degli stranieri, di export a valore aggiunto massimo perché fatto a prezzi retail.

Ora mi chiedo: che senso ha che un Ministero del Turismo patrocini il Made in Italy, per procurarsi il quale non è indispensabile venire in Italia, dato che ormai si trova in tutto il mondo?

Non sarebbe più appropriato patrocinare il Purchased in Italy, quello cioè che si può fare solo venendo in Italia?

E qui casca l’asino: fin dal Piano Strategico del Turismo 2020, presentato dal Ministro Gnudi nel 2013, con l’aiuto di Boston Consulting, nella “Azione 54” si suggeriva un utilizzo più intelligente delle risorse come quelle per l’incentivo rimborsi Iva/Tax Free Shopping, per le quali è in atto da anni uno spreco ingente, di cui beneficiano sostanzialmente alcuni intermediari multinazionali dominanti, anziché i turisti da attrarre in competizione con altri Paesi nostri concorrenti.

In sostanza, cosa accade?

L’attività è regolata dall’art 38 quater DPR 633/72, in recepimento di una Direttiva Comunitaria. Esso dice, in sintesi, che i turisti cittadini o residenti extra Ue, se fanno acquisti retail in Italia spendendo almeno € 154,95 in ogni esercizio, hanno diritto allo sgravio immediato o al rimborso Iva.

L’esercente deve emettere fattura e, quando la riceve timbrata da una Dogana in uscita dalla Ue, ha diritto a stornarne l’Iva dalla sua dichiarazione periodica.

Cosa succede però?

Succede che alcuni intermediari multinazionali dominanti si propongono agli esercenti (tra cui ovviamente i brand del lusso/moda/accessori) per occuparsi di questa procedura, sia per quanto riguarda la promozione del beneficio presso i turisti, sia per la fatturazione digitale (dal 2017 digitalizzata con sistema Otello delle Dogane) in negozio. Per cui, in sintesi, quando un cinese, un americano, o svizzero o un italiano residente fuori dalla Ue fa un acquisto, scatta la fattura digitale TaxFree la quale prevede la cessione del credito Iva (ricordo che Iva al 22% compresa nel prezzo in negozio equivale al 18,04% del prezzo stesso) che viene sgravato (raramente) o rimborsato in aeroporto (prevalentemente) dalla organizzazione TaxFree incaricata, prescelta dal negozio e pressoché mai beneficiata dal turista ignaro a condizioni inferiori.

Per importi di spesa sui 1000,00€ (media su milioni di transazioni) il rimborso è 11/12% invece del 18,04 che l’intermediario incassa dal negoziante con cadenza periodica.

L’intermediario, poi, riconosce sotto forma di bonus sul fatturato una parte della differenza e questo spiega perché un aumento dei rimborsi rispetto all’Iva dovuta è visto male dagli intermediari e non è sostenuto dai cfo dei grandi gruppi del Lusso/Moda: troppo comodo incassare milioni di euro sul business in corso, piuttosto che scommettere su un boom degli acquisti dei turisti in futuro.

Quindi, e per concludere, un Paese intelligente cosa dovrebbe fare?

Dovrebbe disporre un aumento dei rimborsi effettivi ai turisti, rispetto all’Iva che rinuncia ad incassare perché loro dovuta: se lo facesse più e prima degli altri Paesi suoi concorrenti, diventerebbe la destinazione più conveniente ed attrattiva al mondo per lo shopping detassato.

Il tutto a costo zero aggiuntivo per lo Stato e con ottima soddisfazione per Airbnb/Alberghi/Ristoranti e tutto l’indotto turistico, artigiani compresi.

Dai tempi di Gnudi a oggi nessuno ha avuto il coraggio di farlo: né il governo Renzi, nonostante Franceschini avesse inserito questa ipotesi nell’art 13bis della legge ArtBonus nel 2014, né la Lega, né il Movimento 5 Stelle, nonostante entrambi l’avessero promesso nei loro programmi elettorali 2018.

L’unico a non aver promesso né mai pensato a questo provvedimento è Fratelli d’Italia.

Ma quando andai a spiegarlo 6/7 mesi fa al loro responsabile Turismo trovai su una sedia del suo ufficio presso i gruppi parlamentari una cartellina intestata Utopia sul principale intermediario di rimborsi TaxFree.

Difatti, la Ministra del Turismo sembra dare più retta a loro, come dimostra l’operazione Airbnb/Made in Italy.

Scusi la lungaggine, ma ho cercato di sintetizzare una lunga storia alla Don Chisciotte.

Cordialità

Arturo Aletti

Ps:
Per quanto attiene la stima del volume d’affari e conseguentemente del mancato introito Iva da parte dello Stato, faccio presente che:

1) la stima della spesa turisti in Italia continua ad essere fatta ufficialmente da BankItalia tramite interviste alle frontiere ad un campione di turisti. Mai intervistando ad esempio i circuiti di acquiring attraverso cui passano i pagamenti carta e digitali , i quali conoscono peraltro luogo/data/entità della spesa, oltre a Paese emissione carta o device e merchant cathegory dell’esercente.

2) i dati periodici sul TaxFree diramati dal principali intermediari non sono mai quantitativi, ma solo percentuali
3) in uno dei summit di Altagamma nel 2018, alla presenza dei ceo dei principali brand, fu chiesto al Marketing Manager del principale intermediario “quanto vale il Tax Free Shopping in Europa?”
Lui non rispose. Al che il Segretario Generale Altagamma disse “vabbè lo dico io: vale 50 miliardi di euro e l’Italia pesa per oltre il 16%”.

4) nel libro blu delle Dogane 2019 presentato in pompa magna da Minenna nel settembre 2021 si legge che le fatture digitali TaxFree fatte uscire dal sistema Otello furono 5,5 milioni. Visto che il valore medio era di 1000€ cadauna e che si trattava delle sole fatture in uscita Ue direttamente dall’Italia, a cui vanno aggiunte tutte quelle uscite dalla Ue da aeroporti o dogane in altri Paesi Ue, si può tranquillamente stimare che il Tax Free Shopping in Italia vale almeno 8/9 miliardi/anno e il 18,04% di tale importo è Iva non incassata dallo Stato.

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