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Mes

Vi racconto la vera partita politica sul Mes

La partita del Mes in Italia sta entrando nel vivo. Ecco come e perché. L'analisi di Giuseppe Liturri

Sulla lunga vicenda della riforma del MES siamo ormai ai titoli di coda. A meno di colpi di scena. Mercoledì 23 durante il question time alla Camera, il ministro dell’economia Daniele Franco è stato chiaro e, a proposito della ratifica del trattato di riforma del Mes, ha rotto gli indugi affermando che “darà seguito agli impegni del nostro Paese verso i partner europei” e per questo “il Governo conferma l’intenzione di presentare il disegno di legge di ratifica alle Camere”.

Il tempismo dell’uscita ufficiale del ministro è comprensibile. Era essenziale avere qualcosa da dire ai suoi colleghi europei che ha incontrato venerdì a Parigi per una riunione dell’Eurogruppo, a cui sabato ha fatto seguito un Consiglio Ecofin informale, e non poteva più presentarsi con vacue promesse. Non a caso, martedì era giunto puntuale il richiamo della solita fonte di un “alto funzionario della UE” che, in preparazione della riunione di venerdì, ricordava la necessità di ratificare “il più presto possibile” per evitare di “finire in una situazione in cui è l’Italia a frenare la ratifica”. Insomma, il tempo per la ratifica è già abbondantemente scaduto e non è certo un’esimente il fatto che sia rimasta solo la Germania a non aver ratificato, perché a Berlino pende il solito ricorso presso la Corte Costituzionale che dovrebbe pronunciarsi entro giugno. Ma a Roma non c’è nessuna scusa.

C’è soltanto un potenziale enorme problema politico che si va ad aggiungere alle tensioni già affiorate sulla riforma fiscale (nello specifico, i valori catastali degli immobili) o sulla cessazione del green pass. Bisogna ricordare che il trattato nella sua versione riformata fu firmato da un ministro plenipotenziario del governo Conte 2 il 27 gennaio 2021 e, da allora, è in attesa della ratifica da parte di tutti i 19 Stati dell’Eurozona, in modo da essere pienamente efficace. Le trattative per la formulazione del nuovo testo furono già oggetto di accesi confronti durante il governo Conte 1, ma i passaggi decisivi avvennero tra giugno e dicembre 2019, a cavallo tra governo Conte 1 e Conte 2. Fu solo la pandemia a ritardare la definizione di alcuni dettagli e portare alla firma di gennaio 2021. Ma non è un mistero che la Lega e il M5S abbiano da sempre espresso posizioni fortemente critiche e i primi segnali di fibrillazione si sono manifestati già martedì quanto è stato dichiarato addirittura inammissibile – per evitare un’imbarazzante prima conta – un innocuo ordine del giorno presentato dall’On. Raphael Raduzzi di Alternativa che impegnava il governo a non presentare il disegno di legge di ratifica del Mes.

Il primo commento a caldo del principale protagonista di questo lungo processo, Giuseppe Conte, è imbarazzante: “sul Mes ha già lavorato il mio governo. Vediamo le modifiche, le discuteremo, se sono sostenibili le appoggeremo“. Forse Conte ha dimenticato che uno degli ultimi atti del suo governo è stato proprio quello di apporre la firma su quelle modifiche, che sono quindi nero su bianco da circa 13 mesi. Se la riforma fosse stata insostenibile, avrebbe fatto meglio a non firmare, anziché illudere tutti con la “logica di pacchetto” (negoziare congiuntamente Mes, Unione Bancaria e riforma del Patto di Stabilità) che poi si è rivelata essere solo uno sterile slogan.

Ma la decisa iniziativa del ministro Franco non è l’unica novità. È finalmente caduto anche il velo di menzogna anche sulla finalità di questa riforma. Per mesi ci hanno raccontato che l’urgenza della ratifica e dell’entrata in vigore era dettata dalla necessità di consentire al MES (già dal 1/1/2022) l’erogazione di un prestito paracadute al fondo di risoluzione unico delle crisi bancarie, qualora esaurisse le proprie disponibilità. È una foglia di fico che si è presto dissolta. Onestamente, non si vedono gruppi bancari sull’orlo di una risoluzione e il fatto che la Germania proceda con calma, conferma che non c’è poi tutta questa fretta.

Caduto il velo, resta la vera finalità che vi abbiamo anticipato su queste colonne già a gennaio. Il Mes è il principale candidato a svolgere il ruolo di Agenzia europea del debito, rilevando dalla BCE il debito aggiuntivo che quest’ultima ha comprato durante la pandemia (per l’Italia, 350 miliardi che diventano 720 partendo dal 2015) e liberandola da un compito eseguito sempre sul filo della violazione dei Trattati. Non è più un mistero che la riforma del Patto di Stabilità è intimamente connessa a questo nuovo ruolo del Mes.

Anzi, il Sole 24 Ore, forse ben ispirato, non ha esitato a parlare del rischio che la mancata ratifica avrebbe sul negoziato in avvio sulle nuove regole di bilancio.

Sono due gambe dello stesso tavolo: col Mes il debito dell’Italia viene affidato alle cure di una vera e propria bad bank che dispone di strumenti molto efficaci per disciplinare i propri debitori; una volta assicurato il pregresso, il Patto di Stabilità potrebbe concedere qualche briciola per il futuro.

Ma così rischiamo di cadere nello stesso circolo vizioso del governo Conte 2 che ha accettato la riforma del Mes, superando i forti mal di pancia del M5S, con la promessa di un fantomatico negoziato sul futuro dell’Europa. Mai più visto.

Se proprio si deve mantenere l’impegno preso a gennaio 2021 e ratificare, almeno lo si faccia contestualmente alla negoziazione di un Patto di Stabilità veramente riformato. Altrimenti, ricadremo nella stessa trappola in cui è finito il Conte 2: avremo il Mes riformato e il Patto non riformato, da prendere a scatola chiusa perché non avremo più alcuno strumento negoziale da mettere sul tavolo.

Che è poi il disegno di Bruxelles.

(Versione ampliata e aggiornata di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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