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Appalti Pubblici

Verso il ripristino delle regole contrattuali del passato regime corporativo?

L'approfondimento Walter Galbusera e Claudio Negro della Fondazione Anna Kuliscioff

 

È stato pubblicato il 26 maggio sul sito della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (i cui compiti sono quelli di garantire, soprattutto a beneficio delle fasce più deboli della cittadinanza, il rispetto delle regole che presiedono l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di sanzionare gli inadempienti, siano essi sindacati o imprese, nonché di porre in essere tutte le azioni idonee a eliminare le cause del conflitto) un “dossier” — così definito nella presentazione — che per alcuni dei suoi contenuti sembra a prima vista allineato alle posizioni più radicali del movimento sindacale o, se si preferisce, una riproposizione del modello contrattuale del regime corporativo.

Ad onor del vero il lavoro è dettagliato, rigoroso e ha il dono della chiarezza sia nell’ipotizzare cambiamenti radicali del sistema degli appalti del nostro paese, sia nel metterne a fuoco alcune criticità largamente condivisibili. È bene a questo punto lasciare direttamente la parola alla Commissione di garanzia.

Premesso che “l’appalto costituisce lo strumento tecnico di organizzazione e gestione di una molteplicità di servizi pubblici essenziali, l’attività portata avanti in questi anni dalla Commissione di garanzia ha consentito di rilevare che, nell’ambito di diversi servizi ad alta intensità di lavoro (c.d. labour intensive), il ricorso all’appalto e al subappalto è dettato essenzialmente da ragioni attinenti al risparmio e all’abbattimento del costo del lavoro, anche in contesti molto redditizi, ed è all’origine di gravi problematiche sociali che si sono acutizzate con la crisi e che costituiscono la principale causa di insorgenza dei conflitti”.

Il dossier, continua la Commissione, “mira a disvelare tali problematiche, esaminandone i profili sociali e giuridici, e a proporre alcune possibili soluzioni. La finalità ultima è quella di sollecitare una rinnovata riflessione nel Governo, nel Parlamento e nelle pubbliche istituzioni affinché l’esigenza, da più parti manifestata, di una semplificazione e revisione del Codice dei contratti pubblici non conduca ad una sottovalutazione dei gravi disagi sociali che le catene degli appalti spesso sottendono.”

La Commissione richiama la premessa di Draghi nel Pnrr, per cui “la concorrenza non deve servire solo a tutelare l’efficienza del mercato ma “può [e deve] contribuire a una maggiore giustizia sociale”.

“Il ricorso all’appalto e al subappalto quale strumento tecnico prevalente di erogazione del servizio pubblico essenziale”, continua il documento della Commissione, “emerge nitidamente nei settori dell’igiene ambientale, del trasporto aereo, della logistica farmaceutica, del trasporto merci, del multiservizi e del pubblico impiego. Nell’esaminare le particolarità di ciascuno di questi settori, si può sin d’ora osservare che i problemi principali sono specialmente tre: 1) il dumping salariale reso possibile dall’applicazione lungo la filiera di Ccnl diversi, dall’ambito di applicazione onnicomprensivo e trasversale, che alimentano la concorrenza al ribasso; 2) il ritardo o i mancati pagamenti delle retribuzioni ai lavoratori che spesso dipendono dalla mancata erogazione da parte dell’ente locale committente delle risorse finanziarie pattuite per lo svolgimento del servizio; 3) la tutela dei lavoratori nel cambio di appalto. Accantoniamo per semplificare il ragionamento il punto 2) che pur essendo un argomento assolutamente importanti prescinde dal giudizio di merito sul sistema degli appalti.

Il fatto è che la Commissione mette in discussione il principio stesso dell’esistenza degli appalti e, pur senza accorgersene, ripropone il modello contrattuale del sistema corporativo fascista. Infatti è al pluralismo contrattuale che si imputa la responsabilità di favorire lo sfruttamento dei lavoratori, causa reale che genera non tanto il conflitto ma la sua dimensione patologica che si esplicita nella violazione delle regole dello sciopero (quelle che la Commissione dovrebbe appunto garantire).

Nella sostanza la Commissione invoca un egualitarismo contrattuale che è esattamente il contrario del modello contrattuale pluralista, della contrattazione articolata e, tanto più, di una strategia di sviluppo della contrattazione di prossimità. Il documento della Commissione rischia di demolire virtualmente il primo comma dell’articolo 39 della Costituzione (l’organizzazione sindacale è libera)  e mette in discussione gli stessi contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative e presenti nel Cnel. Ma c’è di più. Volendo accettare l’osservazione più sostanziale della Commissione, quella della necessità di non creare una gerarchia di contratti che consenta di “scaricare” sui comparti labour intensive la ristrutturazione di un sistema, occorre riflettere bene su conseguenze ed effetti collaterali.

Prendiamo il caso degli aeroporti, in cui è sistematica la distinzione tra l’attività aeroportuale e quella di handling, settore più intensamente interessato dalla concorrenza in cui le retribuzioni sono inferiori a a quelle dei dipendenti aeroportuali e ancor di più da quella dei piloti: sarebbe certo possibile, seppur tornando indietro nel tempo, applicare un contratto unico a tutti coloro che lavorano in aeroporto, ma questo renderebbe assai probabile una radicale ridiscussione dei livelli contrattuali più alti per garantire una redistribuzione nei confronti di quelli inferiori, con un forte appiattimento dei livelli salariali e i problemi che ne discendono.

Vi sono naturalmente altre osservazioni contenute nel documento della Commissione che meritano un approfondimento e che costituiscono un contributo alla soluzione per rendere più razionale, più equilibrato e più garantista il sistema degli appalti. In particolare il richiamo implicito alla necessità che gli enti locali rispettino tempi e modalità dei pagamenti dovuti agli appaltatori è totalmente condivisibile. Ciò che stupisce è però il fatto di individuare la libertà di contrattazione come causa indiretta ma sostanziale dei più acuti conflitti di lavoro che spiegherebbero, in parte giustificandole, le violazioni delle regole dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. Non si tratta qui di delegittimare l’opinione di un importante organo istituzionale, anche se a dire il vero il contenuto del “dossier” reso pubblico dalla Commissione, organo che dovrebbe imporre sanzione nei casi di violazione delle regole che disciplinano il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, sembra essere andato abbondantemente al di là dei compiti istituzionali conferitegli.

Il richiamo alla legge 146/90, istitutiva della Commissione che, accanto al compito di garantire il funzionamento servizi pubblici essenziali, prevede anche la facoltà di porre in essere tutte le azioni idonee ad eliminare le cause del conflitto, consente di allargare quella che viene diplomaticamente definita l’interpretazione evolutiva del diritto ma attribuisce alla Commissione un ruolo che rischia di eccedere i propri compiti istituzionali.

A questo punto però, data l’autorevolezza della Commissione, si impone quanto meno uno sforzo di chiarezza da parte del Parlamento, del governo e delle forze sociali.

Se l’analisi e le proposte conseguenti della Commissione fossero considerate corrette ne deriverebbe un sostanziale rovesciamento delle strategie contrattuali che si sono affermate negli ultimi anni con conseguenze rilevanti sull’intero sistema delle relazioni industriali. Se tali analisi non fossero condivise forse non sarebbe male che i reali destinatari facessero chiarezza per evitare equivoci che servono solo a ritardare la soluzione dei problemi.

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