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Draghi

Ecco come sarà il Pnrr del governo Draghi

Tutte le differenze tra il Pnrr di Conte-Gualtieri e quello di Draghi-Franco. Nella nuova bozza del Recovery Plan ci sono le riforme dei prossimi dieci anni. L'approfondimento di Enrico Martial

 

Si trova nelle “riforme” la principale differenza del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza o Recovery plan italiano) tra il governo di Giuseppe Conte e il governo Draghi. Nella versione che sta circolando, in inglese e in italiano, incompleta nella prima parte e con messe a punto da fare, il cambiamento sta nella saldatura tra riforme e investimenti. Il collegamento ricorre ad ogni scheda, come peraltro richiesto dalla Commissione europea. L’impianto è mantenuto: ci sono 6 missioni (cioè le Misure generali del programma) e una serie di “Componenti” (o “sotto-misure” cioè un livello inferiore della programmazione). La distribuzione delle risorse è sono confermata, salvo aggiustamenti minori, per 196,5 miliardi a prezzi 2019. Tuttavia, per questa connessione tra “Riforme e Investimenti”, cambiano anche i contenuti delle schede, che sono meglio allineate con ciò che sta capitando nel Paese da qualche anno.

UNIRE LE RIFORME E GLI INVESTIMENTI

Unire riforme e investimenti è abbastanza una novità. Nel vissuto di trent’anni di programmi europei, si aveva l’idea di essere due o tre passi avanti rispetto alla pancia molle delle norme nazionali, spesso perimetro e vincolo, arrugginite quanto le amministrazioni centrali, regionali o comunali. I fondi europei erano più avanti nel metodo, per sussidiarietà e bottom-up, valutazioni quantificate per obiettivi, risultati misurabili, partecipazione. Erano più avanti nei contenuti, dall’invecchiamento attivo alla resilienza climatica, dall’innovazione allo sviluppo territoriale, (corridoi, reti urbane, zone montane e rurali), con il sociale, con il transfrontaliero. La politica del palazzo era vissuta come distante. Funzionava il sostegno di qualche politico attento, spesso di seconda fila, e di un gruppo di dirigenti, spesso al ministero dell’Economia, o in qualche ufficio importante delle Infrastrutture o degli Esteri. Erano gli ammodernamenti che l’Italia non riusciva a fare da sola o in tempi rapidi, secondo la lezione classica e semplificata che veniva da Ugo La Malfa e Guido Carli e che per questo guardavano all’Europa.

Dopo il governo di Mario Monti, una serie di riforme è invece arrivata per spinta politica, da Letta a Renzi, a Gentiloni ai due governi Conte, chi più e chi meno. L’Agenda digitale, la Madia per la pubblica amministrazione, i piani per l’energia, le parziali riforme della scuola (comprese le prove Invalsi che in Europa si chiamano PISA), l’acqua, le aree interne e i piccoli comuni erano strategie allineate con orientamenti europei, direttive e comunicazioni della Commissione. Sono state in parte scritte nel Programma Nazionale di Riforma (PNR, che hanno tutti i Paesi europei) e in parte nelle Raccomandazioni per Paese del cosiddetto Semestre europeo, un percorso condiviso tra gli Stati sui compiti da fare a casa e con l’accordo di ciascuno Stato che le riceve.

IL PASSAGGIO CHIAVE DEL RECOVERY PLAN TRA CONTE 2 E DRAGHI

Le riforme (Buona Scuola, Welfare, Acqua, Energia) erano pensate come nazionali – non come parte di una strategia complessiva europea, se non caso per caso – e la connessione con gli investimenti era solo complementare, come nel caso dell’Agenda digitale, visto che sono appunto i fondi europei che finanziano la rete della Banda Ultra Larga (BUL). Perché le riforme italiane diventassero parte di un percorso condiviso europeo non bastava fossero scritte in un Piano Nazionale Riforme che nessuno conosce. Occorreva questo snodo politico tra il Conte 2 giallorosso (che appunto non riusciva a scrivere il Recovery Plan, o Pnrr) e Draghi.

Infatti, nella versione dell’11 marzo, a differenza di quello del 12 gennaio, l’attuale documento in elaborazione è scritto connettendo “investimenti” e “riforme”. Era ciò che mancava alle nostre Linee guida del Pnrr già da ottobre, mentre il “Plan Relance” francese di settembre2020 metteva insieme soldi e strategie  (le piccole città e Coeurdes Villes, il Piano per l’idrogeno, il consumo del suolo ecc.) così come quello tedesco di giugno 2020, per esempio con l’ammodernamento e digitalizzazione della sanità e degli ospedali (Krankenhausstrategie).

QUALI SONO LE RIFOME E  I PIANI

Il nuovo PNRR di marzo e in elaborazione collega le riforme, come leggi, norme e piani nazionali, a ognuna delle sei “missioni” e a ognuna delle sottostanti “componenti”. Oltre all’Agenda digitale (con le relative declinazioni, come la Strategia nazionale per le competenze digitali del 2020) si trovano quindi nel Pnrr il “Decreto Semplificazioni” (legge n.120/2020), la legge 106/2014 completata dalla legge di stabilità per il 2016 per il “Piano Strategico Grandi Progetti Beni Culturali”, il “Piano Borghi” della legge 158/2017 e la “Strategia per le aree interne” per la missione 1 componente 3 (turismo e cultura) e per la missione 5. La “Strategia nazionale per la bioeconomia” della “Strategia nazionale di specializzazione intelligente” del 2016 si ritrova per la missione 2 (transizione verde), in cui ci si riferiscono anche il “Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima” del 2020, il “Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti” di cui all’art. 198bis del Dlgs 152/2006, la “Legge Clima” n.141/2019, che interessa per esempio anche le foreste. Le altre Missioni sono accompagnate da simili riferimenti alle “riforme”: il “Decreto biometano” del 2 maggio 2018, il “Piano Nazionale Infrastrutturale per la Ricarica di veicoli alimentati a energia elettrica (PNIRE)” di cui alla legge n.134/2012 (per la missione 3 Mobilità), il “Piano nazionale degli interventi nel settore idrico” previsto dal DPCM 1 agosto 2019, gli indirizzi generali del Contratto di programma con Rfi (che riguarda lo spostamento del trasporto dalla gomma al ferro, sempre per la missione 3 Mobilità), la legge n.84/1994 di “Riordino della legislazione in materia portuale”, variamente modificata che manca però di un Piano strategico aggiornato, il “Piano nazionale per la formazione dei docenti” (che faceva parte della “Buona Scuola” di Matteo Renzi), lo sviluppo degli Istituti Tecnici Superiori (scuole post-diploma che risalgono a Prodi ma hanno una strategia solo dal 2011), il Piano Nazionale della Ricerca, tutti per la missione 4 “Istruzione, formazione ricerca e cultura”.

I CANTIERI APERTI DELLE RIFORME

Malgrado l’apparente sarabanda di piani, leggi, decreti e strategie, si scopre comunque di disporre di un’ampia base giuridica per molti degli investimenti del PNRR (o Recovery Plan), in particolare sulle transizioni digitali e ambientali e sul territorio. È da notare che si tratta di riforme tutte statali e dall’alto: rispetto alle competenze regionali saranno attuate con accordi di programma e intese.

Ci sono poi cantieri aperti, come la riforma degli Istituti tecnici professionali o quella del dottorato di ricerca (le leggi sono in gestazione al Ministero). Altre sono da costruire ma sono delineate, comeil “Programma nazionale per l’occupabilità garantita dei lavoratori” per la missione 5 Equità sociale, di genere e territoriale o il “Piano strategico nazionale per nuove competenze”. In altri settori mancano, come sull’idrogeno o sugli asili nido, dove ci sono i progetti finanziati (l’idrogeno al Politecnico di Torino con Horizon, nei Programmi regionali Por Fondo sociale per gli asili nido) ma non la base giuridica e una strategia. Infine, il Pnrr (cioè sempre il nostro Recovery Plan) annuncia una netta riforma del modello di assistenza sanitaria territoriale nel quadro della Missione 6 “Salute”.

Tra tutte le riforme, una importante e citata nelle Raccomandazioni per Paese riguarda la giustizia. La bozza di Pnrr in circolazione le dedica un allegato, con tre segmenti di riforma: uno del processo civile (un solo rito civile semplificato), uno del sistema giudiziario (responsabilità, efficienza, accesso, semplificazione) e uno del processo penale(digitalizzazione, durata, razionalizzazioni e semplificazioni).

 

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