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Ubi Banca Banche

Tutti gli equilibri (precari) in casa di Ubi Banca

L'articolo di Luca Gualtieri, giornalista di Mf/Milano finanza

Il sistema duale sta per sparire dalla finanza italiana. Il 19 ottobre l’assemblea di Ubi Banca approverà il passaggio al monistico con cui ad aprile 2019 saranno eletti i nuovi vertici. Una svolta che, a distanza di 11 anni, chiude simbolicamente la stagione delle grandi fusioni bancarie all’insegna di una ricomposizione e di una semplificazione dei meccanismi di governo.

I NUOVI EQUILIBRI IN UBI

Per Ubi sarà necessario trovare nuovi equilibri tra le diverse anime del gruppo, ma anche tra soci di lungo corso e investitori internazionali. A rendere ancor più delicato il passaggio è il processo in corso a Bergamo. Procedimento che, sulla base di un teorema accusatorio controverso, ha portato sul banco degli imputati il sistema di governance in via di smantellamento.

CHE COSA SUCCEDE FRA BRESCIA E BERGAMO IN UBI

Storicamente il gruppo vede in Brescia e Bergamo un duopolio asimmetrico in termini di pesi azionari. Il nucleo bergamasco, orfano di un sistema capitario che compensava l’inferiore disponibilità di capitali con una militaresca capacità di mobilitazione, è oggi rappresentato dal Patto dei Mille, sindacato di voto che dal 2016 blinda il 3,1% di Ubi. La formazione, promossa dalla famiglia Zanetti, comprende alcuni dei nomi più significativi dell’imprenditoria orobica, dai Bombassei ad Antonio Percassi, da Giorgio Perolari della Perofil a Roberto Sestini della Siad fino a Domenico Bosatelli di Gewiss.

LE PARTECIPAZIONI PIU’ SIGNIFICATIVE IN UBI

La partecipazione più significativa è quella apportata dalla holding Quattro Luglio, il veicolo delle famiglie Radici e Paganoni che ha conferito al patto lo 0,5% di Ubi. Se insomma la compagine è ampia e variegata, i cognomi più ricorrenti sono due: Zanetti e Radici, famiglie vicine da sempre nella Bergamo che conta. Agli Zanetti fanno capo complessivamente oltre 5 milioni di azioni Ubi, mentre i Radici (esclusa la Quattro Luglio) si attestano a 2 milioni.

L’ANIMA BERGAMASCA DI UBI

Minoritaria ma vigorosa, l’anima bergamasca è riuscita finora a lasciare il segno nella governance di Ubi esprimendo amministratori come Osvaldo Ranica, Armando Santus e soprattutto il presidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio, figura di spicco in Confindustria e amico di Luca Montezemolo. Difficile stabilire se nel futuro assetto di vertice ci sarà ancora posto per lui, ma in caso contrario Bergamo sarà molto attenta a individuare un nuovo alfiere.

IL NUOVO ASSETTO DI SPA

Anche perché con il nuovo assetto di spa a dominare oggi sono i capitali bresciani. Il Sindacato Azionisti Ubi Banca, con il suo 12,5%, raggruppa alcuni dei soci storici legati in passato alla Banca Lombarda. Tra le famiglie ci sono i Lucchini (6 milioni di titoli), i Folonari (6,3 milioni), i Camadini, gli Gnutti, i Bossoni-Ambrosione, i Polotti, i Rampinelli, i Bellini, i Lanzani, i Minelli e gli Zaleski (attraverso Helene De Prittwitz, moglie del finanziere Romain).

IL RUOLO DI BRESCIA E DI BAZOLI

Il nome però più legato alla storia finanziaria di Brescia è quello dei Bazoli, presenti nel capitale di Ubi con oltre il 2%. Oltre al professor Giovanni, al figlio Stefano e alla moglie Elena Wuhrer, la quota più significativa è quella detenuta dalla figlia Francesca, che siede nel consiglio di sorveglianza ma che, si mormora, potrebbe uscire di scena con l’imminente rinnovo. Nel suo futuro professionale potrebbero esserci soprattutto incarichi istituzionali, come la gestione della fondazione Brescia Musei, di cui è stata appena eletta presidente con il sostegno del Comune.

GLI ALTRI NOMI DELLA COMPAGINE BRESCIANA

Nella compagine bresciana non vanno poi dimenticati la Cattolica Assicurazioni, la Upifra dei Beretta, l’Istituto Atesino di Sviluppo di Trento, la Fondazione Giuseppe Tovini, la Finanziaria di Valle Camonica e soprattutto la Fondazione Banca del Monte di Lombardia. Proprio a quest’ultimo ente (già azionista della Popolare Commercio e Industria) era stata attribuita la candidatura di Letizia Moratti alla presidenza dell’ultimo consiglio di gestione. Molto apprezzata dal consigliere delegato Victor Massiah, Moratti potrebbe avere un ruolo anche nella nuova governance della banca, nell’ambito della quale le conferme saranno più d’una.

CHI SONO I GRANDI SOCI DI UBI

Tornando ai grandi soci, negli ultimi tempi c’è stata qualche novità; dalla compagine del sindacato sono uscite la casa editrice La Scuola e la fondazione Brixia Fidelis, ma il peso di Brescia in termini di azioni non si è alleggerito. Lo dimostra la forte presenza al vertice di Ubi di amministratori e top manager vicini a questo nucleo: si va dal vicedirettore generale vicario e chief operating officer Elvio Sonnino al vicepresidente Pietro Gussalli Beretta fino ai consiglieri Giuseppe Lucchini, Pierpaolo Camadini, Silvia Fidanza e Elisabetta Stegher.

LA TERZA ANIMA, PIEMONTESE, DI UBI

La terza anima di Ubi è quella piemontese, che, sebbene meno visibile di quella lombarda, potrebbe ritagliarsi un ruolo significativo nella governance. Il dominus è Gian Domenico Genta, presidente della fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che con il 5,9% è il primo azionista del gruppo davanti alla Fondazione Banca del Monte (4,9%). Vicino alla Crt di Torino, in questi anni Genta si è mosso con abilità e all’ultima assemblea di Ubi ha lanciato l’idea di un nucleo stabile di soci italiani che bilanci il peso dei fondi e dia stabilità alla governance. Progetto che potrebbe tornare attuale con l’imminente cambio di statuto e con il rinnovo del vertice.

IL PESO DEGLI INVESTITORI ESTERI

Ma se un progetto come quello di Genta può trovare terreno fertile tra i propugnatori dell’italianità, non va dimenticato il forte peso assunto dagli investitori esteri. Già da prima della trasformazione in spa le azioni del gruppo sono nel portafoglio dei principali asset manager mondiali e l’appetito è andato crescendo, complice i buoni risultati economici. Silchester International e Capital Research custodiscono da tempo pacchetti pesanti di titoli, mentre altri fondi si muovono con maggiore rapidità testimoniando comunque l’interesse per l’investimento.

LO SCENARIO

Se inizialmente si è trattato di inquilini silenziosi, da qualche anno la loro presenza ha cominciato a farsi sentire. Per lo meno da quando, nella primavera 2016, la lista degli istituzionali sorpassò inaspettatamente quella dei pattisti. Le manovre per il rinnovo del board dovranno insomma tener conto di questi stakeholder, che in termini di azioni possedute già oggi possono dirsi gli azionisti di riferimento del gruppo.

 

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

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