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Tutti i trucchetti del governo sull’indebitamento

Perché è inusuale il trattamento contabile delle garanzie come quello deciso dal governo. L’analisi di Enrico Zanetti, tributarista ed ex viceministro alle Finanze

Il Def 2020 e la Relazione al Parlamento che lo accompagna evidenziano che l’atteso “terzo decreto Covid-19”, dopo quelli “Cura Italia” (DL 18/2023) e “Liquidità” (DL 23/2020),  avrà un effetto incrementale sul deficit (indebitamento netto) del 2020 in misura pari a 55 miliardi.

Un importo considerevole (quello del Decreto Cura Italia fu 19 miliardi, mentre il Decreto Liquidità fu “a saldo zero”), ma significativamente inferiore ai 155 miliardi di saldo netto da finanziarie per cui viene chiesto lo scostamento di bilancio sul medesimo anno 2020.

La non coincidenza tra saldo netto da finanziare e deficit è fisiologica, atteso che il perimetro di operazioni che concorrono a formare i due saldi è diverso (il deficit è il saldo del conto economico, mentre il saldo netto da finanziare comprende anche le partite di natura prettamente finanziaria), così come diverso è il criterio di imputazione temporale delle operazioni (competenza giuridica per il saldo netto da finanziare, competenza economica per il deficit).

Anche nel caso del Decreto Cura Italia, a mero titolo esemplificativo, l’effetto sul deficit 2020 è stato di circa 19 miliardi, a fronte di un effetto sul saldo netto da finanziare 2020 di 25 miliardi.

Quello da 100 miliardi (155 contro 55) messo in conto dal Governo per il prossimo decreto costituisce tuttavia un disallineamento monstre su cui la Relazione accompagnatoria al Def avrebbe forse dovuto offrire al Parlamento qualche minimo elemento informativo.

Tra questi 100 miliardi dovrebbero rientrare anche le decine (circa 30) necessarie a dare concretezza al rilascio da parte di Sace spa di garanzie, controgarantite dallo Stato, sui finnaziamenti bancari alle imprse, fino a concorrenza dei “famosi” 400 miliardi di liquidità alle imprese, ai sensi degli artt. 1 e 2 del Decreto Liquidità.

La scelta di contabilizzare sul 2020 solo a saldo netto finanziario (e non anche a deficit) l’intero ammontare degli impegni assunti dallo Stato su questo fronte, pare tuttavia scivolosa sul piano tecnico, oltre che poco accorta sul piano tattico.

Il trattamento contabile delle garanzie è affrontato in modo molto chiaro dal Regolamento contabile europeo SEC 2010 e da Eurostat (nel “Manual on Government Deficit and Debt – implementation of ESA 2010”, capitolo VII.4 della edizione 2016), distinguendo tra garanzie standardizzate e garanzie non standardizzate.

Le garanzie standardizzate sono quelle emesse in numero elevato e sulla base di condizioni identiche che, rendendo possibile stimare il numero di inadempienze in un insieme di prestiti simili, devono essere rilevate sin dalla loro concessione anche nell’indebitamento netto e non solo nel saldo netto da finanziarie.

Quelle non standardizzate vanno invece indicate all’atto della concessione solo a saldo netto da finanziare e vanno a indebitamento netto solo nell’esercizio finanziario in cui si sia effettivamente verificata l’escussione delle relative garanzie dello Stato.

Sulla base di questa distinzione, la prassi seguita in questi ultimi anni dall’Italia è stata quella di conteggiare anche a indebitamento netto le risorse che mette a disposizione del rilascio di garanzie per il tramite del “canale” del Fondo centrale di garanzia per le Pmi (considerandole “standardizzate”), mentre conteggia solo a saldo netto da finanziare quelle che mette a disposizione di Cassa Depositi e Prestiti e Simest (controllata di Sace).

Pensare tuttavia che questa prassi possa ora consentire “automaticamente” di considerare garanzie non standardizzate quelle relative a tutti i 400 miliardi del “canale” Sace previste dagli artt. 1 e 2 del Dl Liquidità, potrebbe portare a brutte sorprese, con riguardo ad almeno una parte consistente dei 200 miliardi ci cui all’art. 1, ossia quelli che non riguardano il potenziamento delle misure per il sostegno all’esportazione, all’internazionalizzazione e agli investimenti delle imprese, bensì l’apertura di un “canale temporaneo” assolutamente analogo a quello del Fondo centrale Pmi, quanto a standardizzazione delle percentuali e delle procedure di rilascio delle garanzie.

Ciò, in particolare, risulta del tutto palese con riguardo alle garanzie che Sace spa rilascerà sui finanziamenti alle stesse Pmi che devono prima avvalersi del “canale” Fondo centrale, ma questa verità potrebbe forse estendersi a tutte le garanzie che Sace spa rilascerà con “procedura semplificata” sui finanziamenti ad imprese con meno di 5000 dipendenti e valore del fatturato fino a 1,5 miliardi di euro.

Meglio dunque un momento di riflessione in più, piuttosto che una riedizione di quanto accaduto nell’aprile 2018, quando il Mef dovette correggersi (e correggere il bilancio) a seguito di un intervento di Eurostat sul c.d. “Decreto Banche Venete” di un anno prima.

Anche perché, oltre ai dubbi tecnici, è tutto da vedere che sul piano tattico sia un vantaggio per il bilancio dello Stato non classificare anche a deficit già nel 2020 garanzie che potrebbero (dovrebbero) rientrarvi, per poi ritrovarsele a deficit negli anni futuri in cui venissero escusse, quando anche pochi decimali di punto di deficit torneranno a fare la differenza in Europa e sui mercati.

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