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Tutti i messaggini di Bessent alla Cina (e a Trump)

Bessent, Trump e la Cina. Perché è rilevante il discorso del Segretario al Tesoro tenuto all’Institute of International Finance. L'analisi di Alessandro Aresu

Il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, è una delle figure chiave per comprendere le posizioni dell’amministrazione Trump nel medio termine. Chiamato nell’incarico per la sua lunga esperienza in ambito finanziario, è impegnato in un costante equilibrismo tra la fedeltà a Trump, da cui dipende la sua permanenza non scontata nell’amministrazione, e un gioco di influenza per accreditarsi rispetto a figure come Peter Navarro e lo stesso segretario al Commercio, Howard Lutnick. Il suo discorso presso l’Institute of International Finance, gruppo di banche e istituzioni finanziarie attivo dal 1983, va considerato proprio secondo questa chiave di lettura, nei suoi messaggi rivolti all’interno e all’esterno.

A dominare l’attenzione di Bessent, come è scontato, è la questione di cui tutti parlano, anche per ragioni pratiche legate alla disponibilità e ai prezzi di beni: la relazione con la Cina, e l’uscita da una situazione di embargo di fatto tra Washington e Pechino, dopo i meccanismi innescati dalla “Giornata della Liberazione” di inizio aprile. A questo, Bessent aggiunge varie considerazioni sull’Europa e sulle istituzioni internazionali.

Secondo Bessent, lo squilibrio nel commercio globale è evidente nel caso della Cina. Per decenni, le varie amministrazioni statunitensi hanno fatto affidamento sull’idea sbagliata che i partner commerciali avrebbero riequilibrato le loro politiche, ma si sono invece trovate di fronte alla dura realtà di ampi e persistenti deficit commerciali statunitensi. Le scelte cinesi hanno eroso la capacità manifatturiera statunitense e minato le supply chain globali, mettendo a rischio la sicurezza nazionale ed economica degli Stati Uniti.

Bessent evidenzia come i dati recenti mostrino un’ulteriore inclinazione dell’economia cinese verso la manifattura a scapito del consumo. Secondo Bessent, la Cina ha bisogno di cambiare e lo sa. Citando Ray Dalio, suggerisce in modo esplicito la possibilità di un “grande accordo” tra Stati Uniti e Cina, basato sul riequilibrio. In questo modo, parla anche al suo riferimento interno, cioè a Trump, quando usa l’analogia del Giappone, la cui lunga stagnazione ha visto in primo piano da operatore finanziario. In Giappone, secondo Bessent, la volontà di cambiare è diventata concreta solo grazie all’ascesa di un leader che aveva questa consapevolezza: il compianto Shinzo Abe. Abe, come è noto, è il leader preferito di Donald Trump, che con lui aveva un rapporto personale molto amichevole e che non perde mai l’occasione di evocarne la memoria. Sentirsi paragonare al Giappone darà invece soltanto fastidio a Pechino.

Nel discorso di Bessent, c’è anche una critica profonda delle istituzioni di Bretton Woods, su cui si è fondata, come dice all’inizio dell’intervento, la stessa Pax Americana. Anche qui, il messaggio è sia interno che esterno. Da un lato, critica il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per le loro posizioni nei confronti di Pechino, per esempio in materia di politiche valutarie, e anche per continuare a considerare la Cina un Paese in via di sviluppo. Allo stesso tempo, Bessent si sofferma a lungo sulla finanza climatica, dando molte frecciate alla “sostenibilità” e proponendo di finanziare qualunque progetto di infrastrutture energetiche, per parlare il linguaggio sull’energia che Trump vuole sentire e anche per limitare l’influenza cinese, la potenza che domina il settore delle “energie pulite” in tutte le sue ramificazioni.

Sull’Europa, Bessent fa intuire che si tratta di un ambito in cui l’amministrazione Trump potrebbe dichiarare vittoria nella tattica della guerra commerciale. Cita per ben due volte Mario Draghi e la necessità di seguire le sue raccomandazioni per rilanciare la domanda europea e l’aumento della spesa. Attribuisce i cambiamenti europei alle politiche dell’amministrazione Trump, verso una più equa condivisione degli oneri della sicurezza sul continente europeo. D’altra parte, Bessent, secondo una linea strategica statunitense di capitalismo politico che è stata resa esplicita già durante la prima amministrazione Trump, ribadisce un punto decisivo: la sicurezza nazionale è sicurezza economica. Bessent evidenzia più volte come le relazioni economiche globali dovrebbero riflettere le partnership di sicurezza.

Per tutte queste ragioni, il discorso di Bessent sarà già stato letto e valutato con grande attenzione a Pechino, e la Cina ne studierà gli elementi più credibili, che potrebbero metterla in difficoltà, cercando di separare la retorica e la realtà. La leadership cinese continuerà a sperare, con buoni argomenti, che gli Stati Uniti siano influenzati di più da gente come Laura Loomer che da questo socio e amico di George Soros e Stan Druckenmiller.

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