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Tutti gli errori del Corriere della Sera nel caldeggiare il Mes

Che cosa non quadra nell'analisi di Federico Fubini sul Corriere della Sera che sostiene bontà e convenienza del Mes. L'approfondimento di Giuseppe Liturri

 

Dopo mesi che scriviamo sul Mes, spiegando tutti i dettagli e, soprattutto, portando documenti a sostegno delle nostre affermazioni, sabato 27 è arrivato Federico Fubini sul Corriere della Sera a fornirci una dotta spiegazione che, purtroppo per lui, non convince affatto.

Allora ci tocca ritornare sul punto, a costo di ripeterci ed annoiare il lettore, il cui sforzo di lettura potrebbe però essere premiato.

Allora procediamo commentando ogni singolo paragrafo.

Che cos’è, dunque, il Mes? Di per sé, il Meccanismo europeo di stabilità è un ente intergovernativo la cui base legale è un trattato fra i Paesi dell’area euro, che ne sono azionisti in quote più o meno pari al loro peso economico: ed esiste legalmente dal 27 settembre del 2012. Lo scorso aprile, durante un Eurogruppo, è stato raggiunto un accordo sul «Pandemic Crisis Support», gestito dal Mes: una linea di credito dal valore, per ogni Paese, a somme non superiori al 2% del suo prodotto lordo del 2019. Per l’Italia, circa 40 miliardi di euro.

Sorvoliamo sulla lieve imprecisione dei 40 miliardi (infatti il 2% di 1.788 milioni è pari a circa 36 miliardi, non 40) e sorvoliamo pure sul fatto che l’Eurogruppo non è sede in cui si raggiunge alcun accordo. È infatti organo informale dove, al più, si definiscono linee guida ed indirizzi politici da sottoporre all’organo legislativo che è il Consiglio dell’UE, co-legislatore dell’Unione Europea assieme alla Commissione che ha potere di proposta. L’unica decisione che conta è quella raggiunta il 15 maggio dal Consiglio dei governatori del Mes, suo massimo organo decisionale. Fubini dimentica di notare che il Mes ha anche uno stretto collegamento con il Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), il cui articolo 136, terzo comma, fu inserito appositamente proprio per permettere l’istituzione del Mes. Non a caso è proprio quel terzo comma che recita “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.

Il tasso d’interesse sarebbe negativo (l’Italia dovrebbe rimborsare meno di quanto ha preso in prestito) nel caso di una scadenza a sette anni; e praticamente zero (0,08%) nel caso di una scadenza a dieci anni. Un prestito a dieci anni del Mes, ai rendimenti attuali dei titoli di Stato, farebbe dunque risparmiare all’Italia 4,8 miliardi rispetto a un prestito che l’Italia dovesse cercare sul mercato collocando titoli di Stato. Quei 4,8 miliardi sarebbero dunque un margine che questo governo o più probabilmente governi futuri potrebbero investire nella scuola, nella spesa sociale, in grandi opere o nella riduzione dell’enorme debito pubblico.

Qui Fubini ripete il foglietto di propaganda pubblicato qualche settimana dal direttore finanziario del Mes, Kalin Janse, che però farebbe saltare sulla sedia qualsiasi professore di finanza aziendale. Come è accaduto qualche giorno fa al professor Michele Geraci.

L’errore è duplice:

  1. Da un lato si ritiene che quel tasso di interesse applicato dal Mes all’Italia sia un tasso fisso. Ma così non è. Lo spiegano benissimo i numerosi documenti pubblicati dal Mes in proposito. Quel tasso “finito” è la risultante della somma di un tasso base e di un margine. Il tasso base dipende dalla politica di raccolta del Mes che è discrezionale e soggetta alle variazioni di mercato. Diverso sarebbe se fossimo in presenza di un prestito “back to back” (somme raccolte e specificamente destinate al Paese richiedente).
  2. Dall’altra, Fubini sembra ignorare il concetto di rischio-rendimento, cosa che si impara anche frequentando un Istituto Tecnico Commerciale, senza bisogno di arrivare all’Università. Dal lato del Mes, che è creditore privilegiato rispetto a tutti gli altri creditori dell’Italia, quel tasso è un gran bell’affare. Infatti il tasso corretto per un prestito privilegiato dovrebbe essere a livello di quello del Bund tedesco e cioè ben meno dello 0,5%. Non ci regalano nulla, anzi. Se l’Italia emettesse un piccolo prestito sindacato (quindi collocato presso un numero ridotto di investitori) con privilegio rispetto al BTP, il tasso potrebbe essere molto vicino a quello applicato dal Mes. Ed i creditori di quel prestito non avrebbero peraltro potere di sindacato sulle scelte di impiego di quelle somme o potere di ispezione semestrale sui conti del Paese nell’ambito del cosiddetto sistema di allerta (early warning system) previsto dall’articolo 14 del Regolamento 472/2013, fino al rimborso del 75% del credito.

A cosa dovrebbero servire questi fondi del Mes? La sola condizione prevista per accedere questo strumento è che esso venga utilizzato solo per «spese sanitarie dirette e indirette». In altri termini, quel prestito potrebbe essere speso per rafforzare i presidi ospedalieri, assumere personale medico e paramedico, ma anche per la prevenzione sanitaria in altri campi: la messa in sicurezza di aziende che riprendono la produzione, l’edilizia scolastica adesso che ci sarà bisogno di più aule per classi più piccole. In altri termini questo nuovo strumento del Mes richiede che si aumenti, anziché diminuire, la spesa sociale.

Qui Fubini si esibisce in una spiegazione tutta sua del protocollo di intesa che disciplinerà la linea di credito Pandemic Crisis Support. Infatti quel documento parla sinteticamente di tre categorie di spese ammissibili e finanziabili:

  1. Costi di assistenza sanitaria, prevenzione e cura direttamente connessi alla pandemia da Covid 19.
  2. Parte dei costi complessivi di assistenza sanitaria che si stima siano attribuibili, direttamente o indirettamente, a fronteggiare l’impatto del Covid 19 sul sistema sanitario;
  3. Altri costi indiretti connessi ad assistenza cura e prevenzione dovuti alla crisi da Covid 19.

Come sia possibile assumere personale medico e paramedico in un reparto di oncologia, cardiologia o chirurgia o dotare un ospedale di un apparecchio di ultima generazione per la TAC o, addirittura, finanziare l’edilizia scolastica, è un dubbio che ci assale ma su cui Fubini ha granitiche certezze. Nel suo elenco mancano solo le giostrine nei giardini nei viali degli ospedali e poi c’è tutto. Dubito che presso la sede del Mes a Lussemburgo saranno così generosi nel valutare la finanziabilità delle nostre spese.

Ci sono vincoli preliminari? No. L’Eurogruppo, che riunisce gli Stati azionisti del Mes, ha chiarito che il Pandemic Crisis Support è disponibile per tutti gli Stati membri e non prevede una «sorveglianza rafforzata» del tipo di quella vista in anni recenti per il salvataggio della Grecia, con i rappresentanti di Commissione Ue, Bce, Fmi. Non ci sono riforme economiche o di bilancio preliminari che vengono richieste.

Qui Fubini finge di non sapere che la cosiddetta “sorveglianza rafforzata” è una prerogativa della Commissione prevista dal Regolamento 472/2013. Tale sorveglianza decorre dal momento di delibera del prestito fino alla prima erogazione. Successivamente entra in vigore il sistema di allerta, di cui vi abbiamo parlato in precedenza. L’allentamento di quel regime di sorveglianza – ma non del sistema di allerta, vigente in tutta la sua pienezza – è stato promesso da Gentiloni e Dombrovskis in una letterina di due pagine. E se i prossimi Commissari dovessero pensarla diversamente? Oggettivamente, una letterina appare poca cosa rispetto ad un Regolamento ed un Trattato.

Inoltre, l’intero esborso avverrebbe tutto entro il primo anno di vita della linea di credito e il Mes non sarebbe comunque in grado di vincolare nuovi trasferimenti di denaro a aggiustamenti macroeconomici che non siano già stati discussi preliminarmente.

Fubini crede che, erogato il finanziamento, cessino i vincoli. Invece è proprio allora che cominciano. Spagna e Portogallo sono perfettamente a conoscenza di cosa sia la “sorveglianza post programma”. La Spagna è al tredicesimo report, fitto di prescrizioni, dall’erogazione del finanziamento.

L’unico vincolo è appunto quello di destinazione della spesa: quei fondi vanno usati per spese sanitarie, dirette e indirette, legate all’emergenza Covid. Sanità, cura, prevenzione: una definizione che potrebbe includere anche, per esempio, l’onere di tenere a casa lavoratori di imprese chiuse, mentre la «prevenzione» potrebbe riguardare gli investimenti da fare per mettere e mantenere una fabbrica nelle nuove condizioni di sicurezza necessarie alla ripresa della produzione.

A costo di ripeterci, siamo curiosi di vedere la faccia dell’occhiuto funzionario del Mes quando dall’Italia gli presenteranno queste voci nella lista di quelle finanziabili. Rischiamo la revoca del finanziamento?

Esistono condizioni legate alla sostenibilità del debito? La risposta è sì: ma l’analisi è già stata effettuata, e ha «promosso» l’Italia. «Gran parte del debito è emesso a tassi fissi», ha notato la Commissione, «la maturità media è aumentata negli ultimi anni raggiungendo quasi gli 8 anni» ed è positiva «l’importante quota del debito pubblico detenuta dai residenti».

Qui Fubini trascura che quell’analisi di sostenibilità del debito noi l’abbiamo letta. Ed in quel documento è scolpito un percorso di rientro dell’indebitamento che, al confronto, le condizioni poste alla Grecia, sembreranno una passeggiata. L’analisi di sostenibilità del debito è periodica e, in caso di deviazioni dell’Italia dal percorso di aggiustamento, la Troika sarà già a Roma. E tale analisi di sostenibilità, con il carico di taglio di spesa ed aumenti di imposte che necessariamente comporterà, potrebbe determinare un peggioramento delle nostre condizioni di finanziamento sui mercati con aumento dello spread e della spesa per interessi. Insomma, potrebbe essere l’allarme lanciato sul nostro debito dal sistema di allerta del Mes creditore privilegiato, a crearci problemi di (ri)finanziamento su una massa di oltre 2.100 miliardi di titoli pubblici.

Perché alcune forze politiche continuano a nutrire dubbi — tanto che, come indicato qui, il fronte del no è più forte di quello del sì, in Parlamento? (A favore ci sono il Pd, Italia Viva, il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi; contro, i 5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia)? Forse perché fra il 2010 e il 2012 il Fesf e il Mes hanno concesso circa 98 miliardi di prestiti al Portogallo, oltre duecento miliardi alla Grecia, 76 miliardi all’Irlanda, 41 miliardi alla Spagna: e in quel caso ci fu una «verifica esterna» dei programmi di risanamento dei Paesi da parte delle autorità europee. Una condizione che il nuovo strumento non ha.

Evidentemente a Fubini non è chiaro il funzionamento dell’articolo 14 del Regolamento 472/2013 e la portata devastante di un’analisi di sostenibilità del debito non conforme ai desiderata di Bruxelles.

Perché altri Paesi non richiedono questo prestito del Mes? Economie indebitate e colpite da Covid come Spagna e Portogallo hanno una buona ragione per non farlo che l’Italia non ha: pagano già tassi d’interesse molto bassi per finanziarsi sul mercato. Il rendimento del bond decennale di Madrid e di Lisbona è dello 0,45% e ciò rende il risparmio relativo dell’accesso al Mes molto più piccolo che per l’Italia. Da notare che da settimane persino il rendimento dei bond greci è più basso di quello che deve offrire l’Italia per trovare creditori sui mercati.

Spagna e Portogallo non chiedono il Mes esattamente per i motivi che dovrebbero indurre l’Italia a non chiederlo, illustrati in precedenza. Il prestito del Mes, con quei tassi e quelle condizioni, non è conveniente e dovrebbe costare molto meno. Un creditore privilegiato deve costare necessariamente meno.

Non è preciso peraltro dire che nessuno accede al Mes. Cipro lo sta facendo e da quando è iniziata a trapelare questa notizia, poco dopo la metà di maggio, il costo generale dell’indebitamento del Paese è crollato: giù dall’1,33% allo 0,90%. Una delle ragioni è che l’accesso a quella linea di credito soddisfa una condizione necessaria perché la Banca centrale europea possa attivare, in caso di crisi, le Outright Monetary Transactions. Queste ultime sono acquisti potenzialmente illimitati di titoli con scadenze fino a tre anni sui titoli di un Paese preso di mira sul mercato. Dunque l’accesso al Mes sta già facendo risparmiare denaro a Cipro anche sul resto dell’indebitamento.

Fubini fa da grancassa alla maldestra operazione pubblicitaria tentata dal Mes qualche settimana fa parlando dell’interesse di Cipro per il Mes. Un Paese il cui debito pubblico è pari alle nostre emissioni di titoli di 2 settimane e che è già debitore del Mes. Fare paragoni con Cipro è come voler affermare che un vaccino è efficace perché ha funzionato su piccole cavie. Inoltre l’argomento che il Mes dia l’accesso alle OMT è ormai superato: da un lato, Lagarde e soci hanno più volte ribadito che ci vorrebbe un rigido programma di aggiustamento macroeconomico per accedere a OMT, dall’altro la Corte di Giustizia Europea e la Corte tedesca di Karlsruhe tra 2015 e 2016 hanno abbondantemente depotenziato questo programma, vincolandolo a rigidi paletti, superati i quali scatterebbe l’accusa di finanziamento monetario del deficit, vietato dai Trattati.

Ciò per l’Italia farebbe una grossa differenza, perché quest’anno deve finanziarsi sul mercato per almeno 600 miliardi di euro; una differenza anche solo di 0,3% nei rendimenti offerti al mercato permetterebbe al contribuente di risparmiare circa due miliardi.

Riprendendo la similitudine precedente, poiché su una cavia la somministrazione del vaccino ha fatto scendere la temperatura, lo stesso dovrebbe accadere ad un essere umano. Ipotesi abbastanza ardita.

Qualcuno obietta: «Ma i Trattati non sono cambiati». Di solito questo è l’argomento dei più disinformati, che non sanno più cosa inventarsi per difendere una posizione precostituita. Non c’è niente nei Trattati dell’Unione europea che obblighi il Mes a fare o non fare qualunque scelta. Il Trattato del Mes prevede sì «condizionalità» sui prestiti. Ma, appunto, essa in questo caso prevede solo che il denaro sia investito in spesa sociale. Nient’altro.

È pur vero che qualcuno, il direttore del Mes Klaus Regling per primo, crede che la condizione di destinazione del finanziamento a spesa sanitaria sia l’unica da soddisfare per mantenere l’aderenza al Trattato del Mes. Ma Regling stesso ha sostenuto di aver chiesto un parere ai suoi legali, evidentemente colto dal dubbio. Attendiamo che qualcuno porti il caso davanti alla Corte di Karlsruhe?

Per questo chi rifiuta il Mes, sapendo di aver comunque bisogno di decine di miliardi di prestiti, dovrebbe spiegare agli italiani per quale motivo ha deciso di mettere su di loro e sui loro figli l’onere di debiti aggiuntivi (almeno 4,8 miliardi, ma probabilmente di più) che sarebbero stati evitabili.

Inoltre, Fubini dovrebbe provare a fare due conti e calcolare il costo per le nostre finanze delle emissioni di titoli pubblici avvenute nel trimestre marzo maggio. Scoprirebbe che il Tesoro ha fatto emissioni nette per 58 miliardi e la BCE ha fatto acquisti netti sul mercato secondario per 63 miliardi, sostanzialmente strappandoli di mano ad investitori esteri, banche e fondi. Su questi ultimi acquisti, superiori quindi per 5 miliardi rispetto al fabbisogno netto del Tesoro, gli interessi pagati a Banca d’Italia rientreranno al Tesoro sotto forma di dividendi ed imposte pagate dalla Banca Centrale al Tesoro. Quindi il costo marginale del (purtroppo modesto) finanziamento per l’Italia in questi ultimi tre mesi è stato pari a ZERO.

Ci ripetiamo, ma serve. Fubini potrà parlare di onere aggiuntivo del Mes rispetto ad altre fonti di finanziamento, soltanto quando lo avrà confrontato con altri strumenti con uguale profilo di rischio/rendimento, scadenza e condizioni accessorie. Lo insegnano ai corsi base di finanza. Ma noi siamo sicuri che Fubini conosca bene tutti questi dettagli tecnici e sia solo in corso una lotta politica tra chi ritiene essenziale per il nostro Paese la disciplina di bilancio imposta attraverso il vincolo esterno, di cui il Mes è esempio perfetto, e chi si rifiuta di sottostare al definitivo commissariamento del nostro Paese. La disputa è tutta intorno a questo tema e sarebbe corretto impostarla in questi termini, anziché cercare improbabili ed insostenibili argomenti tecnici.

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