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Consiglio

Ecco le riforme che Bruxelles imporrà a Conte su Mes e Recovery Fund

Tutti i provvedimenti che la Commissione europea si attende dal governo italiano. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

 

Quando il polverone mediatico degli Stati generali dell’economia si sarà diradato, siatene certi: sul tavolo resterà un solo elenco delle riforme che l’Italia dovrà fare, tassativamente, per ottenere gli aiuti del Recovery plan e quelli della Bce.

Quell’elenco non sarà quello con la firma di Vittorio Colao, né quello che, probabilmente, il premier Giuseppe Conte cercherà di vendere agli italiani nei tg della sera come una sua pensata esclusiva. A conferma del fatto che gli stati generali sono stati soltanto una passerella architettata dal premier per dare lustro alla propria immagine, quell’elenco c’è infatti da mesi e porta la firma della Commissione europea.

Lo può leggere chiunque sul sito ec.europa.eu, reca la data del 26 febbraio 2020, quindi prima del lockdown, ma a pandemia Covid-19 già proclamata: è il documento con cui la Commissione europea faceva il punto sull’Italia 2020 per segnalare le riforme necessarie nel nostro paese alle altre istituzioni europee perché ne tenessero conto: parlamento, consiglio dei capi di stato e di governo, Banca centrale europea, Eurogruppo.

Inutile dire che quell’elenco è tuttora valido e che le riforme indicate sono esattamente quelle che Ursula Von der Leyen (Commissione Ue) e Christine Lagarde (Bce) hanno ricordato per sommi capi nei loro messaggi agli stati generali, all’insegna del motto: aiuti solo in cambio di riforme.

Sia chiaro: le riforme che l’Ue ci chiede hanno ben poco in comune con i voli pindarici di Colao sull’urgenza del 5G e con le sue 102 slides immaginifiche; non sono un copia e incolla di brani da libri vecchi e superati senza la doverosa citazione a piè di pagina, e non si conciliano affatto con la politica dei continui rinvii di Conte e dei suoi abituali «stiamo studiando» e «stiamo lavorando». No, vanno subito al sodo.

Dopo avere elencato i progressi compiuti dall’Italia rispetto alle raccomandazioni impartite nel 2019, distinguendoli in tre categorie (significativi, parziali e limitati), il documento Ue afferma: «Non vi è stato invece nessun progresso per quanto riguarda: la riduzione del peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e la creazione di margini per altra spesa sociale e spesa pubblica favorevole alla crescita; la rimozione delle restrizioni alla concorrenza anche mediante una nuova legge annuale sulla concorrenza». Più avanti: “Poiché il debito pubblico italiano rimane un’importante fonte di vulnerabilità per l’economia”, il documento prima ne analizza le molteplici cause, per poi stilare cinque raccomandazioni perentorie sulle riforme da fare.

Tra queste, spiccano quelle indicate nella «Raccomandazione 1»: «Utilizzare entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto debito pubblico/pil; spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati; contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, potenziando i pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti; attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica favorevole alla crescita».

In buona sostanza, quello che l’Ue suggeriva all’Italia in febbraio era un programma di lacrime e sangue, ritenuto necessario per ridurre l’enorme debito pubblico. Una necessità che si riproporrà con maggiore forza appena l’emergenza Covid-19 sarà superata, visto che il debito pubblico salirà, se va bene, dal 136 al 160% del pil. Ma, se si eccettua la riduzione delle spese in contante da tremila a duemila euro per favorire i pagamenti elettronici, che partirà dal primo luglio, nessuno dei provvedimenti richiesti, soprattutto dei più dolorosi, è stato attuato dal governo Conte, tantomeno è stato oggetto di discussione negli stati generali.

Eppure, nella Raccomandazione 1, l’Ue fa balenare una patrimoniale («entrate straordinarie»); sollecita una riforma del catasto, che farebbe aumentare il valore tassabile degli immobili; prescrive di cancellare quota cento e di tornare alla riforma Fornero delle pensioni, il cui peso sul bilancio statale va ridotto; sollecita a spostare la pressione fiscale dal lavoro, quindi dalle persone alle cose, aumentando l’Iva e riducendo le numerose agevolazioni fiscali.

La stessa durezza prescrittiva caratterizza le quattro raccomandazioni successive, che riguardano, per sommi capi: il mercato del lavoro, dove mancano politiche attive mentre abbonda il lavoro nero o sommerso, e scarseggia l’occupazione femminile; gli investimenti nella scuola e nelle competenze digitali; gli investimenti in infrastrutture; come migliorare la pubblica amministrazione, investendo nelle competenze dei dipendenti e accelerando la digitalizzazione; come ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio, razionalizzando e facendo rispettare le norme di disciplina procedurale; come migliorare l’efficacia della lotta alla corruzione, riformando le norme procedurali per ridurre la durata dei processi penali; infine, come favorire la ristrutturazione dei bilanci delle banche, specie di piccole e medie dimensioni, ridurre i crediti deteriorati e favorire il finanziamento non bancario delle piccole imprese.

(estratto di un articolo pubblicato da Italia Oggi; qui la versione integrale)

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