Il Sindaco Beppe Sala, che chiede alla CGIL Lombarda di promuovere iniziative concrete, coglierà l’occasione propizia per cambiare il “Decreto Dignità” nelle imprese partecipate del Comune e spingere anche le imprese private nella stessa direzione?
Come era prevedibile l’entrata in vigore del “Decreto Dignità” sta provocando gli effetti previsti : circa 4-5.000 persone ogni mese nel solo nel capoluogo lombardo difficilmente otterranno, ad onta dell’ottimismo dei legislatori, la promessa stabilità d’impiego. Anzi più probabilmente perderanno invece il lavoro. Le aziende per non correre il rischio di aprire pericolosi contenziosi giudiziari si cauteleranno non rinnovando i contratti a termine e assumendo ex novo altri lavoratori, o ricorrendo alla somministrazione con le agenzie del lavoro, o infine utilizzando “partite Iva” la cui apertura sarà incoraggiata dalla “flat tax” per le piccole imprese. Nella peggiore delle ipotesi si ricorrerà al “nero”. In buona sostanza, anziché consolidare la stabilità d’impiego favorendo il progressivo “radicamento” dei lavoratori in azienda, non solo si aumenterà la precarietà ma se ne moltiplicheranno le modalità.
In teoria il numero complessivo degli occupati potrebbe anche rimanere inalterato, ma non avrebbe molto senso liberarsi di personale professionalmente già formato per assumere nuovi lavoratori che probabilmente non hanno mai svolto quella attività. Senza tener conto del fatto che una più semplice gestione dei rinnovi dei contratti a termine di fatto allunga il periodo di prova e favorisce un processo graduale di trasformazione dei contratti a termine in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Occorre però realisticamente prendere atto che, nonostante l’intervento di Beppe Sala al congresso lombardo della CGIL che ha denunciato gli effetti negativi della controriforma governativa sulle politiche del lavoro, su questa materia anche le imprese partecipate dal Comune di Milano, sinora non hanno dato segnali concreti di disponibilità.
La preveggenza di politici e dirigenti sindacali formati nella Prima Repubblica rendono oggi disponibile uno strumento che potrebbe correggere l’errore compiuto recentemente dal legislatore. Si tratta dell’articolo 8 del dl 138 del 2011 (cosiddetto decreto Sacconi) che consentirebbe, se la maggioranze delle organizzazioni sindacali e le aziende fossero d’accordo, di ripristinare lo status quo ante della normativa riferita ai contratti a termine.
In realtà “l’articolo 8” è una delle norme più innovative dopo l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori perché consente di dare un’ attuazione “sui generis” all’articolo 39 della Costituzione che affida alle organizzazioni sindacali e alle imprese il potere di legiferare in materia contrattuale. Il che vuol dire nella fattispecie la facoltà di derogare a norme di leggi in vigore, già approvate dal Parlamento.
È una procedura del tutto legittima, spesso utilizzata sottovoce perché, quando il compianto Sergio Marchionne era considerato da taluni una minaccia per la democrazia, il cosiddetto “Decreto Sacconi” aveva reso possibile, con il consenso della maggioranza dei lavoratori, l’accordo contrattuale innovativo che consentì il salvataggio industriale dello stabilimento Fiat ex-Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco. Anche se in quella circostanza furono salvati migliaia di posti di lavoro, il “Decreto Sacconi” divenne oggetto di un “vade retro Satana” poiché metteva in discussione il totem del contratto collettivo nazionale di lavoro.
È anche un’ottima occasione per il sindaco Beppe Sala, reduce dal congresso lombardo della CGIL dove ha sollecitato i presenti ad assumere iniziative concrete per contrastare le scelte dissennate del governo in materia di lavoro e occupazione.
Per Beppe Sala battere un colpo per cambiare una norma assai discutibile in materia di lavoro (che modifica norme dei precedenti Governi Renzi e Gentiloni) è un modo non solo legittimo ma soprattutto di impatto mediatico molto efficace per esercitare un ruolo politico. Tanto più se venisse da una importante amministrazione locale come Milano. Naturalmente, giacché “ nemo ad impossibilia tenetur” ci si dovrebbe attendere anche un sostegno deciso delle forze sociali che per la verità mostrano su questa materia una certa sonnolenza.
Nel frattempo però in alcune importanti fabbriche, come la Fiocchi di Lecco o la ITT di Cuneo che occupano migliaia di lavoratori, si raggiungono accordi che disinnescano le bombe a scoppio ritardato del “Decreto Dignità”, sconfessandone alcuni contenuti.
Ci si attende che Beppe Sala, in coerenza con le sue condivisibili affermazioni, si muova in questa direzione. Ciò senza alcun indebito intervento sui manager delle partecipate, avendo questi ultimi affermato di voler esplorare tutte le possibilità per prorogare i contratti a termine in scadenza. Il sindaco può dare indicazione a queste aziende, fatti salvi gli interessi aziendali, di utilizzare il redivivo “articolo 8 del Decreto Sacconi” del 2011.
Certo questo non significa assunzione a tempo indeterminato per tutti ma è un rimedio pratico per evitare che, per effetto di una norma “giacobina” del “Decreto Dignità”, un numero importante di lavoratori perdano il lavoro e siano destinati a chiedere il sussidio di disoccupazione, magari in attesa del reddito di cittadinanza. Sarebbe anche il segnale dell’esistenza in vita di un opposizione (il partito del Pil?) in grado di produrre risultati.