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Vi spiego le vere sfide della Cgil

L'analisi di Walter Galbusera, già ai vertici della Uil

È possibile che si apra nell’ articolato mondo della rappresentanza di lavoratori e imprenditori una nuova stagione che produca anche un rinnovamento politico e organizzativo dei gruppi dirigenti, la cui età media rimane a tutt’oggi molto alta?

Questa battaglia non è facile per nessuno anche se qualche novità emerge. Per la prima volta la scelta del Segretario Generale della Cgil non si risolve all’interno di ristretti gruppi dirigenti prima del congresso ma sembra essere affidata ad un corpo allargato di militanti e di dirigenti ai vari livelli dell’organizzazione. I due candidati, di cui uno è a tutt’oggi presunto, si richiamano a linee politiche differenti: Maurizio Landini, il cui realismo è la dote migliore di cui dispone, è l’espressione del massimalismo tradizionale della Cgil ( che sarebbe superficiale ricondurre storicamente alla sola figura dello scomparso leader della Fiom Claudio Sabattini); Vincenzo Colla, la cui candidatura non è peraltro ancora ufficiale, viene accreditato in campo riformista come un sostenitore del “modello tedesco”, il che però non gli impedisce, come ha fatto in una recente intervista, di accarezzare l’idea di una imposta patrimoniale.

Per Colla “Tra ricchezza ereditaria e rendite finanziarie ballano 4mila miliardi che se equamente redistribuiti darebbero risposta a nuovi investimenti e nuovo welfare”. Le possibilità di successo di Landini sembrano maggiori, ma chiunque sia il segretario, la linea dell’organizzazione CGIL non potrà che essere frutto di un compromesso. Le varie correnti della CGIL da tempo non solo hanno conquistato l’autonomia dopo la frantumazione del PCI , ma hanno invertito il funzionamento della “cinghia di trasmissione” di comunista memoria , riuscendo come per la cancellazione dei vouchers , a imporre orientamenti e scelte a governi e a partiti che un tempo erano ne considerati i veri azionisti di riferimento.

Giuliano Cazzola, che della Cgil è stato uno dei più importanti dirigenti evoca la battaglia di Stalingrado per spiegare il confronto attuale tra Landini e Colla. Per quanto lo scontro tra i due schieramenti lascerà qualche cicatrice nel corpo dell’organizzazione, non sembra si vada in direzione di una “Bad Godesberg” targata Cgil. La nascita del “governo impossibile” 5Stelle –Lega, l’anemia del Pd e la balcanizzazione della sinistra massimalista se da una parte lasciano grande spazio per un’azione politica autonoma di un sindacato come la Cgil, dall’altra la espongono al rischio di un sovraccarico di ruolo che può mettere a rischio l’unità interna dell’organizzazione.

Se è vero che il voto di una parte importante degli iscritti Cgil è andato ai 5Stelle per “sintonia politica”, non bisogna dimenticare che soprattutto al nord non sono mancati i voti di iscritti Cgil alla Lega di Salvini. Sarebbe arduo, per la Cgil porsi l’obiettivo di far nascere uno schieramento politico “unitario” che comprenda un vasto schieramento di sinistra con il Pd, all’insegna del “pas d’ennemis a gauche”. Magari strizzando l’occhio ai 5Stelle per “romanizzare” i barbari. Del resto, di fronte a possibili ma improbabili crisi di governo, la politica naviga a vista. Nessuno chiede apertamente nuove elezioni, al massimo si affilano i coltelli per le europee senza pur tuttavia proporre un dibattito serio su come riformare in concreto regole e istituzioni europee.

Si potrebbe persino azzardare ( ma non troppo) l’ipotesi che una leadership di Landini , costretto a mediare sui contenuti con una forte ala riformista interna, renda la CGIL più “interessante” e più disponibile a costruire legami unitari. Non fu del resto un leader “movimentista” come Bruno Trentin a mettere la parola fine alla scala mobile con il Governo Ciampi? È vero che “il populismo sindacale” a concorso non poco a generare il “populismo politico”, ma arroccare la Cgil su posizioni massimaliste produrrebbe solo l’irrilevanza politica e la subalternità culturale dell’organizzazione che fu di Luciano Lama e di Giuseppe di Vittorio.

Le organizzazioni riconosciute in sede Cnel non hanno oggi grandi spazi di movimento individuali sul terreno della politica. Ma una strategia condivisa tra l’insieme dei sindacati dei lavoratori e quelli di una borghesia imprenditoriale moderna disponibile a mettersi in gioco, potrebbe restituire un ruolo di protagonismo alle forze sociali ne loro insieme. E’ però necessario che tutti questi soggetti abbiano la volontà politica di sostenere un effettivo (e graduale) processo di rinnovamento della società in cui gli interessi particolari siano compatibili con quelli generali. Se ognuno badasse solo agli interessi di bottega o cercasse accordi sottobanco qualunque progetto di cambiamento fallirebbe.

I sindacati dei lavoratori e quelli degli imprenditori torneranno ad esercitare un ruolo incisivo anche sulle grandi scelte di natura politica ed economica solo se vi sarà una forte e incisiva ripresa dell’azione contrattuale, in particolare quella integrativa, aziendale e territoriale, in cui decentramento contrattuale e flessibilità siano elementi di garanzia di crescita e di qualità dell’occupazione. Come dimostra la recente proposta di piattaforme contrattuali separate alla Fca, il sindacato è caratterizzato inevitabilmente da una dialettica “unitaria” ma articolata.

Per questo saranno decisive le regole che si adotteranno per assumere le decisioni più importanti a riguardo delle piattaforme e degli accordi di qualunque natura e livello . Un rilancio delle strutture unitarie implica anche una concezione nuova dei rapporti con le imprese e le loro associate alla luce degli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione che richiedono norme attuative di cui poco o nulla si discute. Spesso si sottovaluta il fatto che la norma costituzionale (ma non solo quella) attribuisce alle intesa tra parti sociali rappresentative la facoltà di essere fonti di produzione giuridica che possono anche modificare decisioni assunte da Governo e Parlamento in materia di lavoro.

Un passaggio importante riguarda la trasparenza e le regole democratiche per la formazione delle decisioni nella vita interna ed esterna dei sindacati (e delle imprese) che si deve estendere a tutto il sistema degli enti bilaterali. Si potrebbe prefigurare una sorta di “unità delle regole” che ricupera l’impianto del Patto Federativo CGIL-CISL_UIL degli anni 70 (naufragato nel 1984 per il disaccordo Cgil sulla modifica della scala mobile) superando nel contempo il rapporto paritetico tra organizzazioni, garantendo la presenza, sulla base della rappresentatività a tutte le organizzazioni sindacali riconosciute in sede Cnel e stabilendo che ai vari livelli per assumere una decisione importante occorre una maggioranza più estesa del 50% più uno. Questa idea sembra più o meno essere stata proposta da Landini nel dibattito congressuale Cgil.

È comprensibile che da questa parte si lanci la sfida di misurarsi sulla base della rappresentatività. Nonostante che in passato sia più di una volta finita in minoranza, la Cgil sul piano organizzativo è il primo sindacato italiano. Questa sfida andrebbe raccolta e rilanciata anche sui contenuti di una politica rivendicativa la cui scelta compete non solo a leadership illuminate ma anche alla decisione di militanti, iscritti e semplici lavoratori. Che in ultima istanza dovranno assumersi in prima persona le loro responsabilità traendone vantaggio o pagando il prezzo degli errori. Occorre rendere partecipi il maggior numero possibile di individui all’etica dell’esercizio della responsabilità che è l’unica vera condizione in grado di garantire, anche nella vita associativa, la moralità di ogni fonte di potere.

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