E’ già in rampa di lancio un missile a tre stadi puntato contro l’Italia. Non si tratta di evocare oscuri complotti, ma di esaminare freddamente alcuni dati di fatto oggettivi, le cui conseguenze sembrano purtroppo segnate, specie se il governo di Roma farà il primo passo falso, chiedendo il Mes.
Primo stadio. Con la richiesta del Mes anche in versione sanitaria, come è sufficiente verificare direttamente sul sito www.esm.europa.eu, il paese richiedente sarà sottoposto a “enhanced surveillance” (sorveglianza rafforzata), nonché all’“early warning system” per monitorare la capacità del paese di ripagare il prestito. Peraltro, resta vivo l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, che fu modificato proprio al momento dell’istituzione del Mes, aggiungendo un comma che stabiliva che ogni concessione sarebbe stata soggetta a “rigorosa condizionalità”, più il famigerato Regolamento 472 del 2013 che consente l’applicazione anche in seconda battuta di “misure correttive”.
Secondo stadio. Per effetto della crisi economica e delle sue conseguenze sul Pil, l’Italia si ritroverà non solo con un deficit fuori misura (questo è perfino ovvio già adesso), ma pure con un rapporto tra debito e Pil molto maggiore dell’attuale. Non è difficile immaginare un rapporto al 160%, suggeriscono molte analisi.
Terzo stadio, anticipato dall’ineffabile supercommissario lettone Valdis Dombrovskis: la Commissione Ue valuterà in autunno la riattivazione del patto di stabilità. Stiamo parlando di quel complesso di regole, incerte e contestatissime, che ingabbiano i paesi ad alto deficit e ad alto debito (com’è noto, l’obiettivo finale sarebbe quello di far scendere il debito sotto il 60% del Pil, o comunque di imporre ritmi poderosi di rientro, incompatibili con una fase di stagnazione o addirittura di recessione).
Di più: la Commissione, per piegare i riottosi, e non di rado per minacciare o punire i governi sgraditi, dispone di una vera e propria frusta. In prima battuta, può inviare un avvertimento preventivo, poi una raccomandazione, e infine – in mancanza di una correzione – aprire una vera e propria procedura di infrazione. Sapendo bene che non è tanto questo meccanismo a preoccupare i paesi, quanto il suo riverbero sui mercati, in termini di spread, sfiducia, e così via.
E’ sufficiente mettere in sequenza gli eventi e le norme vigenti, per capire che c’è chi punta a un commissariamento (formale o di fatto) dell’Italia. Il Mes ne innesca i presupposti, il divampare della crisi economica peggiora la situazione, il ritorno delle regole del patto di stabilità paventato da Dombrovskis renderebbe tutto ineluttabile. Da un giorno e mezzo, avendo capito l’antifona, Paolo Gentiloni e Roberto Gualtieri mettono timidamente le mani avanti: “Dobbiamo essere politicamente molto saggi nella scelta dei tempi”, ha mormorato il primo; mentre il secondo ha ammesso che l’Italia non sarebbe in grado di tornare dall’anno prossimo al rispetto di quei vincoli.
Certo, Angela Merkel cercherà un qualche accordo sul Recovery Fund (e, sul versante cattivista, le fa gioco che il premier olandese Mark Rutte sia perfino urticante contro l’Italia, spingendo per prestiti e non per contributi a fondo perduto); ma alla fine è molto probabile che la Cancelliera punti anche al ritorno dei vecchi parametri.
Rileggere l’intervista profetica che all’inizio di maggio fu concessa alla Verità da Wolfgang Munchau, la firma più autorevole del giornalismo economico europeo, fa letteralmente impressione. Diceva Munchau: “Il pericolo maggiore è che complessivamente l’Ue decida di tornare a un certo punto al patto di stabilità, ai target e ai parametri di Maastricht. Sarebbe folle”.
Ma Munchau andò oltre. Parlò di leader mediterranei “outfoxed”, cioè raggirati dalla Merkel: “Nel Consiglio Europeo la Merkel è la ‘most senior person’, è la figura con esperienza più lunga. In più rappresenta il paese più potente, e conosce le norme europee meglio di tutti, ogni meccanismo specifico. Conosce il Fondo salva stati in ogni dettaglio, e mi pare che voglia che l’Italia vi aderisca. Io non penso che sia lo strumento appropriato per la situazione, ma non mi pare che la Germania sia pronta a valutare alternative”.
Munchau aggiunse che il ministro delle Finanze italiano aveva dato luce verde a un’ipotesi che non era nel nostro miglior interesse nazionale: “Da almeno dieci anni, l’Italia ha detto sì in sede europea a norme e accordi che o non sono nel suo interesse, o a cui ha contribuito senza beneficiarne direttamente. Mi pare che qui si possa ripetere una situazione dello stesso tipo”. I nodi stanno arrivando al pettine.