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Tutte le sportellate su Ubi-Intesa Sanpaolo

Le mosse dei soci di Ubi Banca. Le prossime tappe per Intesa Sanpaolo. E Assopopolari pizzica Abi. Fatti e approfondimenti dell'Ops di Intesa su Ubi

Giornate intense dalle parti di Ubi Banca. I soci storici dell’istituto di credito respingono l’offerta pubblica di scambio lanciata il 17 febbraio da Intesa Sanpaolo che tra pochi giorni, il 7 marzo, depositerà il documento di offerta. Intanto l’amministratore delegato, Victor Massiah, pare stia lavorando a una strategia difensiva mentre a complicare le cose ci si mette pure l’emergenza coronavirus che ha fatto perdere terreno ai titoli delle due banche abbassando dunque la valorizzazione di Ubi.

AZIONISTI UBI CONTRO INTESA SANPAOLO

Come noto, i patti di sindacato presenti in Ubi hanno da subito mostrato un atteggiamento ostile all’offerta lanciata da Intesa Sanpaolo. Il Comitato azionisti di riferimento (Car), che ha in pancia il 18,76% ed è visino al 20%, ha detto no e così il Patto dei Mille che possiede l’1,6% di Ubi. Divisioni interne, al momento, si registrano nel Sindacato azionisti (oltre 8,6%), quello che raccoglie le famiglie bresciane tra cui i Bazoli con il presidente onorario di Intesa Sanpaolo, Giovanni.

Secondo Il Sole 24 Ore se i tre patti fossero d’accordo nel respingere l’Ops, il fronte del no arriverebbe a un passo dal 30%, fatto che può mettere pressione a Intesa ma che difficilmente potrebbe bloccare l’operazione. Il gruppo nato tra Milano e Torino, infatti, può rimanere sotto il 60% – ma sopra il 50% – per realizzare il piano. Bisogna però ricordare che Intesa Sanpaolo aveva subordinato l’efficacia dell’Ops al raggiungimento di almeno il 66,67% del capitale di Ubi,

E comunque, se a Intesa basta stare sopra al 50%, perché  soci storici si stanno arroccando? Forse per “far rivedere i termini dell’offerta” all’amministratore delegato Carlo Messina, nota Il Sole, magari aggiungendo una componente cash. Qualcuno ipotizza che dalle parti di Intesa Sanpaolo ci si fosse premuniti lasciandosi “un margine di manovra” anche se l’ad aveva detto chiaramente che le possibilità di rivedere l’Ops erano “pari allo 0%”.

COSA FARA’ UBI?

A questo punto, se i tre patti fossero tutti d’accordo nel dire di no a Messina, la tenuta dell’alleanza si misurerà sulle mosse di Ubi. Secondo Milano Finanza, al momento il vertice della banca sembra deciso a portare avanti una “strategia difensiva” su cui Massiah e i suoi più stretti collaboratori “sarebbero già al lavoro”. Nel frattempo, rileva il quotidiano economico-finanziario, “nei corridoi della banca si rincorrono solo ipotesi suggestive”. Una su tutte: “La possibilità di proporre agli azionisti l’acquisto di un Montepaschi ripulito”. Di sicuro non si può pensare a una fusione con Bper, che è coinvolta nell’offerta di Intesa, mentre per quanto riguarda Banco Bpm si è tentato già in passato ma senza esito positivo.

ATTENZIONE ALL’ANDAMENTO DEI TITOLI IN BORSA CAUSA CORONAVIRUS

In tutto questo ci si mette pure il coronavirus a tentare di mettere ostacoli sulla strada di Messina. L’emergenza sanitaria ha infatti influito sull’andamento dei titoli sulla piazza milanese. L’Ops lanciata il 17 febbraio, ricorda Business Insider, metteva sul piatto 17 azioni ordinarie Intesa per ogni dieci titoli Ubi che, sulla base dei prezzi di Borsa di venerdì 14 febbraio, portava ad attribuire a ogni singola azione del gruppo guidato da Massiah un valore di 4,254 euro, con un premio del 27% sulle quotazioni di mercato. La valorizzazione complessiva di Ubi Banca era dunque pari a 4,86 miliardi.

Sulla base delle chiusure di venerdì 28 febbraio, però, la stessa offerta porta ad attribuire ad ogni azione di Ubi Banca 3,74 euro per un valore totale di 4,28 miliardi di euro.

Nel frattempo, sottolinea Carlotta Scozzari di Business Insider, anche il titolo dell’istituto di credito lombardo hanno subito un contraccolpo: sempre venerdì scorso ha chiuso a 3,717 euro mentre nel primo giorno di Borsa utile dopo il lancio dell’Ops era arrivato a quota 4,31 euro.

IL NO DI SFORZA FOGLIANI ALL’OLIGOPOLIO

Oltre ai vertici di Ubi e ai patti di sindacato c’è anche qualcun altro che si dichiara contro quest’operazione ed è il presidente di Assopopolari, Corrado Sforza Fogliani, che in un suo intervento su Start Magazine, domenica scorsa, ha evidenziato la pericolosità che si formi un oligopolio in ambito bancario.

“Anche questo piccolo scampolo di settore – scrive – dimostra come vadano le cose in Italia, l’oligopolio (per il quale spinge la finanza internazionale) si avvicina a grandi passi. Le associazioni di categoria non esistono che sulla carta e comunque non si fanno sentire (se ne accorgeranno le prossime generazioni)”. Il timore, prosegue Sforza Fogliani, è che “se si va avanti di questo passo, sarà per tutte le piccole medie imprese questione non di prezzo del credito, ma di credito addirittura. In certe zone (e non solo del Sud) totalmente prive di banche locali, è già così. In genere ovunque, non si può più fare credito non conoscendo le persone, e i singoli imprenditori, ma sulla base solo di carte (o dei certificati prefettizi di legalità!) e dei bilanci ufficiali”.

Di sicuro, sostiene il presidente di Assopopolari, “per i regolatori europei, certo, meno banche vuol dire meno problemi. Sembra anzi che si voglia ora aprire una nuova stagione di fusioni ed il tempo non potrebbe essere più favorevole” e tali fusioni sono spinte “dalla stessa convenienza delle banche, sempre più stimolate a fare altro piuttosto che credito, ed indebolite – nell’immagine e nei conti – dai rovesci di cui hanno approfittato (e/o si sono giovati) i fondi speculativi (alle banche italiane questi rovesci sono già costati 13,4 miliardi)”.

Peraltro l’oligopolio è sempre più vicino ma solo da noi: Sforza Fogliani cita Germania, Francia, Stati Uniti e Canada in cui sono “i colossi bancari ma anche le banche di territorio” e “non si cerca di creare i colossi – come da noi – solo facendo fuori le piccole banche”. E invece “noi, che dovremmo avere più di ogni altro un sistema del credito variegato, lasciamo fagocitare le banche di territorio nella piena disattenzione di chi – impari al proprio ruolo – dovrebbe difendere il credito per le medie e piccole imprese”.

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