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Tutte le contraddizioni della Commissione Ue su Italia, Germania, debito e avanzi commerciali

Può una Commissione, al termine del suo mandato, suggerire, per la prima volta nella storia delle relazioni europee, una procedura d’infrazione, per debito eccessivo? Sarebbe una forzatura destinata ad avere un impatto politico, negli equilibri nati all’indomani delle intervenute elezioni, assolutamente sconvolgente.L'analisi di Gianfranco Polillo (che critica anche il governo italiano)

Nel documento dei cinque presidenti (Jean-Claude Juncker, in stretta collaborazione con Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin Schulz del luglio 2015 – Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa) è contenuta un’indicazione precisa: “La procedura per gli squilibri macroeconomici dovrebbe anche promuovere riforme adeguate nei Paesi che accumulano in modo persistente consistenti avanzi delle partite correnti, se detti avanzi sono dovuti, ad esempio, all’insufficienza della domanda interna e/o ad un basso potenziale di crescita, in quanto anche ciò è importante per assicurare il riequilibrio efficace nell’ambito dell’Unione moneta”. Un passo significativo, che chiarisce, meglio di altre volte, uno degli aspetti più trascurati del Fiscal compact. Quella censura esplicita nei confronti di quei Paesi che preferiscono esportare le proprie risorse, piuttosto che affrontare i tanti temi cruciali della loro società.

Chi dovrebbe, allora, sollevare il problema? Forse la Francia, che da anni presenta un deficit di bilancio superiore al 3 per cento ed uno squilibrio dei conti con l’estero? La Spagna che ha un tasso di disoccupazione “mostruoso”: 17,2 per cento nel 2017? A fronte del quale sono stati, tuttavia, consistenti finanziamenti ottenuti. Compresi quelli concessi per evitare il fallimento di un sistema bancario fin troppo compromesso nella grande speculazione immobiliare. Il Portogallo? Che ha un debito molto simile al nostro: 124,8 per cento nel 2017. Ed un saldo corrente con l’estero, che sebbene leggermente positivo, è distante anni luce dalla situazione italiana. Per inciso, si tratta di Paesi che presentano spread sui titoli di Stato che sono un terzo di quelli italiani. In Francia, addirittura, pari a meno di 40 punti base. Segno evidente di come noi non siamo in grado di vendere, a causa delle nostre contraddizioni politiche, il nostro prodotto finanziario.

Ci dovrebbe forse pensare la Germania, che ha un attivo con l’estero pari all’8,2 per cento? Ed un sistema economico che sembra dar ragione alle vecchie tesi di Lenin su “l’imperialismo, fase suprema del capitalismo”. Per non parlare di Paesi come l’Olanda o il Lussemburgo, la cui competitività fiscale attira capitali da mezzo mondo. Basti ricordare le scelte di Fca. Paradossalmente, questo dovrebbe divenire il cavallo di battaglia dei nostri dirigenti politici. Capaci di far valere le buone ragioni, che giustificano una diversa impostazione di politica economica: per far fronte ad una mancata crescita, dovuta alla debolezza della domanda interna, al restringimento delle sue basi produttive (grande crescita delle imprese che esportano e fallimento di quelle che producendo per il mercato interno, che non fanno fatturato), a un tasso di disoccupazione sempre meno sostenibile, a un flusso migratorio verso le aree forti del Paese e verso l’estero (prego vedere i dato forniti nelle “Considerazioni finali” del Governatore della Banca d’Italia: Ignazio Visco) a un attivo consistente delle partite con l’estero (circa 2,5 punti di Pil, come dato ormai strutturale), a un eccesso di risparmio (50 miliardi l’anno) che non trovando occasione d’investimento all’interno è costretto a prendere la via dell’estero. Considerazioni che avrebbero dovuto rappresentare il cuore della risposta italiana alla lettera di Bruxelles. E che, purtroppo, sono rimaste nella penna dei tecnici dell’economia.

Eppure questi argomenti pesano come massi sulle decisioni che la Commissione europea dovrà prendere, in risposta ai chiarimenti forniti da Giovanni Tria. Non è detto che saranno presi in considerazione, visto le omissioni italiane. Contribuiranno, tuttavia, ad accentuare gli elementi di incertezza che ne caratterizzano il relativo status. Può una Commissione, al termine del suo mandato, suggerire, per la prima volta nella storia delle relazioni europee, una procedura d’infrazione, per debito eccessivo? Sarebbe una forzatura destinata ad avere un impatto politico, negli equilibri nati all’indomani delle intervenute elezioni, assolutamente sconvolgente. Elemento che spiega la prudenza con cui si muovono gli stessi mercati nel valutare la situazione iniziale. Tanto nervosismo, ma nessun assalto contro il forziere di Via XX settembre.

Non condividiamo, pertanto, le certezze di Renato Brunetta. Quel suo secco aut aut: “Correzione significativa dei conti pubblici o procedura d’infrazione”. Sarebbe come gettare sale sulle ferite, senza contribuire minimamente alla tenuta dei conti pubblici. In entrambi i casi sarebbe deflazione. Varierebbero solo le modalità. Un’ulteriore stretta fiscale, destinata a comprimere ulteriormente la domanda interna e quindi a portare in territorio negativo la dinamica del Pil. Oppure quella che Ignazio Visco chiama l’espansione restrittiva”: una crescita della domanda interna ed una caduta dell’offerta, dovuta ai maggiori costi del finanziamento delle imprese, quali conseguenza dell’intervenuto aumento degli spread, sollecitati dall’avvio della procedura d’infrazione.

Con Renato Brunetta concordiamo, invece, quando considera la risposta italiana verso Bruxelles “caotica e contradditoria”. Una risposta che “non ha soddisfatto i commissari europei, che si aspettavano ben altri impegni e ben altri toni da parte dell’Esecutivo Conte”. Però è bene intenderci. Non si trattava di fornire indicazioni più precise su come accentuare la stretta fiscale, in vista delle prossime scadenze, connesse alla legge di bilancio. Si trattava, invece, di portare la discussione su un terreno diverso, evidenziando, come abbiamo cercato di fare, le contraddizioni che la stessa Commissione sta vivendo, rispetto a propositi annunciati dal massimo vertice politico europeo: i 5 Presidenti. Per altro contenuti, seppure in forme diversi, nel draft preparatorio che ha costituito la base su cui poggia l’AMR (Alert Mechanism Report). Che poi ha dato luogo alle lettere inviate ai tre Paesi (Italia, Cipro e Grecia) considerati in una situazione di “excessive macroeconomic imbalances”. Sempre che la coerenza costituisca ancora un valore da preservare.

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