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Superbonus, ecco i veri colpevoli della voragine nei conti pubblici

Superbonus: fatti, numeri e commenti. Il punto di Gianfranco Polilllo

 

Andando a ritroso nel tempo, è difficile imbattersi in un pasticcio giuridico – contabile così indigesto, come nel caso del super bonus per l’edilizia. Oggi portato agli onori della cronaca, dopo che il Governo ha deciso, giustamente, di neutralizzare una mina che avrebbe avuto un impatto devastante sui conti pubblici, in una fase così delicata del ciclo economico. Non si dimentichi che, per combattere l’inflazione, la BCE, seguendo l’esempio della FED americana, ha deciso di aumentare progressivamente i tassi d’interesse a botte di 50 punti base al mese. Senza voler minimamente entrare nel merito di quella scelta, non si può tuttavia prescindere dal dover constatare ch’essa è destinata ad eccitare gli spiriti animaleschi, più che animali, dei falchi europei. Pronti quindi al “pollice verso” nel momento in cui uno scostamento di bilancio, in Italia, dovesse divenire più significativo.

Da un punto di vista comparato, il super bonus del 110 per cento è figlio del reddito di cittadinanza. Vale a dire di quella cultura che nella passata legislatura ha quasi portato l’Italia sull’orlo di un baratro. Stessa logica politica: quello dello scambio. Nel primo caso la ricerca del consenso dei ceti meno abbienti. Nel secondo il tentativo di accaparrarsi la benevolenza dei più benestanti. In entrambi i casi il ricorso strumentale a problemi ben più complessi. Quella della povertà nel caso del reddito di cittadinanza; quella della vetustà del patrimonio edilizio italiano, bisognoso di interventi di manutenzione straordinaria ai fini di un minor consumo energetico. Semplice pregiudizio, il nostro? Lo sarebbe se nel 2020 – Giuseppe Conte Presidente del consiglio Roberto Gualtieri, Ministro dell’economia – la crescita del debito pubblico italiano non avesse battuto ogni precedente record, con un aumento dei 20,8 punti. Solo gli Stati Uniti ed il Canda hanno fatto peggio. Mentre nel resto dell’Eurozona la crescita è stata di 12,2 punti.

C’è solo da aggiungere che, in termini di risorse, il super bonus è costato molto più del reddito di cittadinanza, il cui onere, com’è noto, si aggirava intorno ai 10 miliardi di euro l’anno. Nel caso del super bonus, secondo gli ultimi calcoli del Governo, siamo arrivati a circa 110 miliardi. Da ripartire, come tiraggio, in poco più di 2 anni, se non vi fosse la complicazione di Eurostat. Che invece vuol trattare queste facilitazioni “per competenza”, imputabili, cioè, per intero, all’esercizio finanziario in cui esse sono state concesse. Invece di scaglionarle nel tempo, secondo una tempistica più presunta (come vedremo) che reale. Le previsioni normative erano, infatti, ben diverse: considerato che le relazioni tecniche ai vari provvedimenti di proroga, prevedevano una cadenza più sincopata. Fino al 2035. Ma anche in quella sede il grosso della spesa (l’85 per cento) era prevista gravare nei quattro anni che vanno dal 2023 al 2026. Ed il costo allora previsto era pari a soli 33,3 miliardi contro le nuove stime, tre volte tanto.

Ma, visto che ci siamo, c’è un’altra leggenda metropolitana da sfatare. Giuseppe Conte, a corto di argomenti, dice che gran parte di quelle spese sono state recuperate dallo Stato grazie alle maggiori imposte generate dall’attività produttiva. Nelle relazioni tecniche già citate, esse erano quantificate nel 4,3 per cento della spesa netta, posto a carico del bilancio dello Stato. Meno di una boccata d’ossigeno per una persona in procinto d’affogare.

Ma dov’è stato lo sbaglio? Come è potuto succedere un errore così grossolano. Con una sottovalutazione dell’onere così madornale. Per far fronte al quale sarebbe necessario (salvo altri inconvenienti) aumentare il debito pubblico italiano, che non gode di buona salute, di altri 6 punti di Pil. Scenario, a suo tempo, anticipato dallo stesso Mario Draghi, così deciso nel criticare una misura ch’era contraria ad ogni etica e logica di tipo economico – finanziaria. E che oggi lo stesso Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, non può fare a meno di considerarla una “politica scellerata”.

Che tale è stata, vista la voglia, tutta politica, del Governo Conte di favorire quello che poteva divenire un proprio elettorato di riferimento. Contento di aver ricevuto dallo Stato un regalo inaspettato. E che l’incentivo fosse sproporzionato è facile da dimostrare, considerando che quelle spese, tutte a carico dello Stato, avrebbero comportato per il singolo proprietario dell’immobile un beneficio tangibile, sotto forma di rivalutazione del proprio patrimonio. Altri che pasti gratis! Era un vero e proprio banchetto di Natale: ostriche e champagne.

Di fronte ad un simile bengodi era inevitabile il successo dell’operazione presso un pubblico che aveva solo da guadagnare. Per fortuna la normativa aveva previsto un labile controllo statistico, affidato all’ENEA, che doveva monitorare il tiraggio delle asseverazioni. Vale a dire delle domande ammesse al contributo statale. Grazie alle valutazioni dell’Ufficio parlamentare del bilancio è così possibile ricostruire un primo bilancio. Nei soli sette mesi del 2021, che vanno dal maggio al novembre, gli importi asseverati erano stati pari a 36,6 miliardi: più di 3 miliardi di euro oltre l’intero stanziamento. Dati che rendono più che verosimili le ipotesi governative di un costo finale per l’erario dell’intera operazione, pari ai 110 miliardi di euro indicati.

C’è solo da meravigliarsi della disattenzione generale che, in quegli anni, ha accompagnato il varo dei diversi provvedimenti (5 decreti legge e 2 leggi di bilancio). Ha sbagliato, innanzitutto, la Ragioneria Generale dello Stato nel voler utilizzare metodologie che andavano bene per il passato, quando l’incentivo statale era molto più contenuto e non prefigurava regalie di quella portata. Ma poi hanno sbagliato gli Uffici parlamentari a non segnalare con tempestività le anomalie, quindi nuovamente il Governo e la Corte dei conti, in fase di rendicontazione. Ma tutto ciò può trovare giustificazione nel clima parossistico di quegli anni e nell’esaltazione di quel “campo largo”, che voleva essere il trionfo del “bene” contro le minacce più oscure. Ci sono voluti prima le dure riserve di Mario Draghi, quindi la draconiana decisione del Governo Meloni, per far tornare tutti con i piedi per terra (meno gli irriducibili del PD e dei 5 stelle). Ma, nel frattempo, i buoi sono fuggiti. E riportarli nelle stalle sarà meno facile di quanto, a prima vista, possa sembrare.

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