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Sud Zes

Ecco il Sud che cresce (e che smentisce le analisi dello Svimez)

Che cosa emerge dallo studio sull’industrializzazione nell’Italia meridionale curato dalla SRM del Gruppo Intesa Sanpaolo e dal CESDIM-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno dell’Università di Bari. L'intervento del prof. Federico Pirro, presidente onorario e coordinatore scientifico del Cesdim.

 

È stato presentato a Roma nella sede della Confindustria nazionale il volume sull’industrializzazione nell’Italia meridionale curato dalla SRM del Gruppo Intesa Sanpaolo e dal CESDIM-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno dell’Università di Bari.

È una ricerca di vaste dimensioni, la più ampia compiuta negli ultimi vent’anni in particolare sull’industria manifatturiera nelle 8 regioni dell’Italia del Sud che, fra l’altro, nei quattro capitoli  curati da chi scrive ha scandagliato in profondità insieme alle attività dei grandi impianti di siderurgia, petrolchimica, automotive, aerospazio, navalmeccanica e Ict, anche i tantissimi cluster di Pmi attive nei settori dell’industria leggera ovvero agroalimentare, tac, cartotecnica, lavorazione di materie plastiche, legno-mobilio e ciclo integrato dei rifiuti.

Ne è scaturita una panoramica che, partendo naturalmente dai dati dell’Istat e dalle pregevoli analisi della Banca d’Italia sulle economie regionali, ha provato ad ampliarle, arricchendole con riferimenti alle singole aziende citate nominativamente, geolocalizzate nelle varie aree di insediamento e riportandone (quando possibile) i fatturati e il numero degli addetti.

Quale allora Il nocciolo scientifico del volume ? L’ormai consolidata consapevolezza degli autori che nell’Italia meridionale e in tutte le sue regioni, sia pure con una diversa densità territoriale, si è insediato e stratificato nel tempo un apparato di produzioni manifatturiere che, pur non essendo paragonabile per le sue dimensioni a quello delle regioni settentrionali, ha ormai acquisito una sua solidità, capacità di resilienza nelle avverse congiunture, dinamismo e crescenti capacità competitive. Dati peraltro che trovano conferma nell’ultimo studio di Mediobanca condotto con Unioncamere e Istituto Tagliacarne pubblicato ieri l’altro che ha posto in luce come le medie imprese del Mezzogiorno crescano più di quelle del Nord e si accingano a chiudere l’anno con risultati apprezzabili.

Viene dunque in larga misura scardinata la tesi sostenuta per anni da centri di ricerca come la Svimez che ha continuato a sottolineare solo  persistenti debolezze dell’industria meridionale, quando non anche un suo inarrestabile declino, che potrebbe sfociare in una sempre paventata desertificazione industriale del Mezzogiorno, mai peraltro manifestatasi su grande scala nell’intero sud.

Nulla di più lontano dalla realtà, anche per l’impegno di un ceto imprenditoriale del Meridione mediamente di buon livello, e grazie anche alle mobilitazioni di sindacati e popolazioni locali che hanno saputo difendere i presidi aziendali di maggiori dimensioni, confrontandosi con Governi di diverso colore politico che hanno però tutti – è doveroso riconoscerlo – lavorato per salvare fabbriche e posti di lavoro.

Nel Sud sono localizzate capacità produttive di rilievo strategico per il Paese, da quelle siderurgiche alla raffinazione petrolifera, dalla generazione di energia da fonti fossili e rinnovabili alla petrolchimica, dall’automotive – con assemblaggi di auto e veicoli commerciali e produzioni di componentistica – all’aerospazio. Le tre più grandi fabbriche italiane per numero di addetti diretti sono insediate nel Sud, ovvero in ordine decrescente Acciaierie d’Italia, Stellantis a San Nicola di Melfi – il maggiore plant di assemblaggio di auto in Italia – e la Sevel in Val di Sangro (CH) in Aruzzo, la più grande fabbrica italiana di autoveicoli commerciali: ognuno di questi tre stabilimenti alimenta filiere di attività indotte di grandi dimensioni non solo di imprese locali, ma anche molto spesso di società multinazionali.

E nello scacchiere del Mezzogiorno la Puglia si conferma al secondo posto alle spalle della Campania per valore aggiunto del comparto industriale nell’insieme dei suoi settori (inclusa cioè l’edilizia), e in ottava posizione in Italia. L’industria regionale, lo sappiamo da tempo, è ben diversificata con piccoli, medi e grandi stabilimenti che vanno dall’agroalimentare (con molte delle sue branche) alla siderurgia, dalla petrolchimica all’aerospazio, dall’automotive alla meccanica leggera e pesante, dall’energia – la regione è la prima nel Paese per quella generata da fonte eolica – al tessile-abbigliamento-calzaturiero, dalla farmaceutica alla lavorazione delle materie plastiche, dall’ict al legno-mobilio, dalle cementerie alla cartotecnica, dal ciclo integrato dei rifiuti alle imponenti attività dell’Acquedotto nei servizi idrici integrati. Ed è un apparato produttivo che ormai ha stabilito – anche grazie a provvidenze statali e a specifici incentivi della Regione – rapporti di collaborazione con il mondo della ricerca di Università, centri del CNR e strutture come quella del CETMA di Brindisi.

E i nuovi massicci investimenti annunciati o già avviati da alcuni mesi – basti pensare a quelli delle multinazionali dell’Ict e della farmaceutica nell’area di Bari, all’arrivo della Act Blade Europe a Brindisi, per non parlare di quelli giganteschi previsti e in via di valutazione da parte del Ministero competente nei numerosi parchi eolici off-shore floating al largo delle coste pugliesi – confermano ancora una volta, ove pure ve ne fosse bisogno, la capacità attrattiva di questi territori che – pur essendo per la verità un tratto storico di lungo periodo della nostra regione – è stata consolidata nell’ultimo quarto di secolo da un sistema di incentivazioni della Regione che è unanimemente riconosciuto di gran lunga come il migliore d’Italia.

E nello scenario industriale pugliese, anche il quadrante delle tre province del Grande Salento ha assunto ormai da molti anni proporzioni di rilievo nazionale, potendo schierare insieme al Siderurgico, alla raffineria e alla meccanica leggera e pesante del capoluogo ionico e di diversi centri salentini, le fabbriche della CNH e della Lasim a Lecce, i grandi impianti di Versalis, Lyondell-Basell e Jindal a Brindisi, i vasti siti aeronautici di Leonardo Divisione Aerostrutture ed Elicotteri di Grottaglie e Brindisi e della Avio Aero e della Salver sempre nella stessa città, la navalmeccanica militare a Taranto e diportistica a Brindisi, l’agroalimentare diffuso nelle tre aree provinciali con le loro eccellenze – vini, oli, ortaggi e prodotti ittici lavorati e surgelati, carni e birra – il tessile-abbigliamento-calzaturiero di Casarano, Martina Franca e di altri Comuni, la farmaceutica a Brindisi, Zollino e Galatina,  le cementerie nello stesso Comune e nel capoluogo ionico, la prefabbricazione pesante a Oria e Sternatia, l’Ict della stessa città bimare e in altri centri del Leccese, le imprese di costruzioni ferroviarie del capoluogo salentino che lavorano in tutta Italia, e testate giornalistiche e radiotelevisive ad alto indice di lettura e di ascolto.

Un apparato industriale, quello del grande Salento, che può vantare numerosi casi di eccellenza noti ormai in Italia e all’estero, ma anche eccellenze sconosciute ai più, ma non per questo meno rilevanti nei rispettivi comparti.

Ora il complesso delle produzioni industriali della Puglia e delle sue grandi aree provinciali è, al pari di quello nazionale, investito dagli effetti del caro energia, dal processo inflazionistico, dall’accresciuto costo del danaro, da rinnovate difficoltà di accesso ad alcuni mercati esteri e dal non facile reperimento spesso evidenziato di alcune figure professionali specifiche. Ma è opportuno ricordare che già in passato, sono state superate congiunture difficili per tanti aspetti simili a quelle odierne; e il sistema produttivo nel suo insieme, pur duramente stressato, le ha superate grazie ad impegno sostanzialmente concorde di Istituzioni, imprese, forze politiche, Sindacati e mondo della ricerca.

E questa concordia di fondo – pur nella comprensibile dialettica dei partiti di maggioranza e di opposizione – deve continuare a manifestarsi a difesa di un compendio industriale che continua ad assicurare occupazione a migliaia di addetti ed effetti indotti a vasto raggio sull’economia regionale. E la Puglia saprà ancora una volta superare una fase complessa come quella attuale.

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