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Patto Di Stabilità

Spese militari, cosa propone Gentiloni a Bruxelles

Gentiloni: tenere le spese militari fuori dal Patto di stabilità, altrimenti non sarà possibile costruire una difesa comune Ue. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

Di fronte alla mancanza totale di una politica di difesa dell’Unione europea, un vuoto strategico messo in luce dall’aggressione russa contro l’Ucraina, sembra incredibile che a Bruxelles ci sia tuttora chi pensa di applicare i vincoli del Patto di stabilità (3% deficit/pil; 60% debito/pil) anche alle spese militari dei paesi membri dell’Unione europea. Ma purtroppo è così, altrimenti non si spiegherebbe come mai Paolo Gentiloni, commissario Ue al Bilancio, in videoconferenza con l’Università di Oxford, abbia suggerito ai pasdaran dell’austerità di darsi una calmata e considerare la necessità di «un quadro più favorevole delle regole di bilancio e, potenzialmente, nuovi strumenti a livello europeo per finanziare le spese della difesa europea». Ovvero proprio quella difesa militare di cui hanno discusso i tre vertici iniziati ieri a Bruxelles dai leader Ue, Nato e G7, con la partecipazione di Joe Biden.

Nel suo appello, lanciato non a caso alla vigilia di questi vertici, Gentiloni ha provato a far ragionare i pasdaran dell’austerità, mettendo sullo stesso piano «gli investimenti necessari per la difesa con quelli già autorizzati per il Green Deal, la transizione verde, per la quale dovremo mobilitare 520 miliardi di euro in più ogni anno. Tali investimenti sono cruciali per aumentare la nostra autonomia in questi settori strategici».

Parole di buon senso, per di più obbligate, visto che i 27 paesi Ue, sotto la sferza dell’invasione dell’Ucraina e dopo anni di negoziati bla-bla-bla, hanno appena approvato un documento per certi aspetti storico, battezzato «Bussola strategica», con il quale l’Ue prevede di istituire», composta da una brigata di 5mila soldati, messi a disposizione dagli Stati membri.

Insomma, non un vero e proprio esercito europeo, ma una brigata. In ogni caso, un primo cambio di passo, con cui l’Ue non pretende di sostituirsi alla Nato, ma di rafforzarla. Il che richiederà ai singoli paesi Ue delle spese aggiuntive per la difesa: l’Italia, come ha annunciato Mario Draghi, ha deciso di aumentare la spesa militare fino al 2% del pil; la Germania di Olaf Scholz, dopo decenni di lesina, ha annunciato che investirà cento miliardi per ammodernare il proprio esercito. Idem stanno facendo altri paesi Ue, Francia compresa, ovviamente a patto che le maggiori spese non siano ostacolate dai vincoli demenziali del Patto di stabilità.

Su quest’ultimo punto, Josep Borrell, capo della diplomazia Ue, ha fornito alcuni dettagli e condiviso l’appello di Gentiloni: «Con la Bussola strategica non vogliamo creare un esercito europeo. Ogni Stato manterrà il proprio esercito, ma dobbiamo lavorare insieme per coordinare meglio le nostre spese militari». Nel 2020 i 27 paesi Ue hanno speso per i sistemi militari la bellezza di 198 miliardi di euro, pari all’1,5% del pil europeo. É quattro volte la spesa della Russia, ed è anche una spesa superiore a quella della Cina», ha detto Borrell. «Ma non spendiamo con la loro stessa efficienza. Da qui la necessità di un coordinamento per spendere meglio, evitando i doppioni».

Nel corso di un’audizione al Parlamento Ue, Borrell ha riproposto lo stesso tema di Gentiloni, sia pure con maggiore cautela: «La spesa nella difesa va considerata all’interno o all’esterno delle regole di bilancio? Il tema è stato discusso, ma non c’è stato accordo.

Alcuni Stati, guidati dalla Polonia, erano pronti a specificare all’interno della Bussola strategica che le spese militari non devono essere considerate entro i limiti del Patto di stabilità. Ma le divisioni interne hanno portato a un nulla di fatto». Per questo, la parola decisiva è passata ai capi di Stato e di governo del Consiglio Ue.

Il riarmo dell’Ue, oltre a questo contrasto politico, sta producendo alcuni neologismi burocratici, di cui a Bruxelles sono sempre prodighi. Così, dopo la «tassonomia verde», ecco spuntare la «tassonomia sociale», documento come al solito «ambizioso», con il quale la Commissione Ue indicherà le linee guida per gli investimenti pubblici e privati da incentivare affinché «le attività economiche contribuiscano all’avanzamento degli obiettivi sociali». Il vantaggio di stare dentro questo elenco è noto: grazie alla tassonomia verde, anche nucleare e gas potranno accedere ai fondi green dell’Ue. Con lo stesso scopo, ora le lobby dei produttori di armi stanno brigando affinché anche le armi siano considerate «economicamente sostenibili». Ma finora la risposta degli euroburocrati è stata un secco no, che tuttavia non sembra definitivo: paradossalmente, l’invasione dell’Ucraina ha riaperto i giochi per le lobby delle armi.

Il balletto a Bruxelles, secondo l’Huffington, si è svolto così: fin da subito, il gruppo di esperti della Commissione Ue che sta lavorando alla tassonomia sociale non ha avuto dubbi nel bocciare la richiesta delle lobby, poiché ritiene che le armi sono strumenti letali, muovono grandi quantità di denaro in un settore opaco, dove la corruzione dei politici è frequente, senza contare gli effetti ambientali fortemente nocivi per le emissioni di carbonio prodotte dalle bombe. Insomma, un secco no. Ma questo avveniva prima dell’invasione dell’Ucraina. Ora, sostiene Euractiv, il giudizio potrebbe essere rivisto. Soprattutto dopo che alcune grandi banche hanno deciso di fiancheggiare i governi nel finanziare la spesa militare, per esempio Commerzbank in Germania. Non a caso, il capo dell’industria tedesca per la sicurezza e la difesa, Christoph Atzpodien, ha dichiarato: «Senza la sicurezza non si può raggiungere la sostenibilità». Una richiesta esplicita di inclusione nella tassonomia sociale che, finora, non ha trovato alcun sostegno da parte del governo di Scholz.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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