skip to Main Content

Landini

Schlein e la redistribuzione vera (e quella fasulla)

Che cosa dice e non dice Schlein su redistribuzione e disuguaglianze. L'analisi di Giuliano Cazzola

 

‘’Dobbiamo cambiare il modello di sviluppo per distribuire più equamente il potere economico, i vantaggi e i benefici prima delle tasse e del welfare in modo da combattere le diseguaglianze partendo da dove si formano. E dobbiamo riscoprire una parola fondamentale: redistribuzione. Delle ricchezze, del sapere, del potere, del tempo’’. Così Elly Schlein nella sua mozione. Qualcuno farebbe bene a spiegare a questa giovane donna – che si appresta a risollevare le sorti della sinistra istradandola di nuovo sul cammino del progresso e della giustizia sociale – come stanno davvero le cose quando si invoca la redistribuzione.

Itinerari previdenziali, nel suo ultimo bollettino periodico, ha fornito una rappresentazione più veritiera delle c.d. diseguaglianze che – i dati non lo dimostrano – si sarebbero ampliate in maniera socialmente insostenibile.

In un Paese sviluppato è il fisco il principale strumento della redistribuzione. Come recita l’articolo 53 della Costituzione ‘’Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività’’.

Ma quanti sono i cittadini che concorrono secondo la loro capacità contributiva? Come spiega Itinerari previdenziali ‘’quasi la metà degli italiani (il 49,15%) addirittura non dichiara redditi, tra i versanti è l’esiguo 12,99% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su a corrispondere da solo il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Il dettaglio dei contribuenti è ancora più significativo: a) da 0 fino a 7.500 euro lordi si collocano 9.209.590 soggetti, il 22,36% del totale, che pagano in media 22 euro di IRPEF l’anno. b) I contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono 8.052.960: in questo caso, al netto del bonus Renzi e del TIR, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 367 euro (253 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di circa 2.060 euro. c) Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato (17.500 euro la mediana) si trovano 5,570 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.852 euro, che si riduce a 1.278 euro per singolo abitante; d) seguono da 20.001 a 29.000 euro 8.707.798 contribuenti versanti. Se si sommano tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia che il 79,20% dei contribuenti italiani versa soltanto il 27,57% di tutta l’IRPEF, e probabilmente una percentuale ancora minore delle altre imposte.

e) Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 3.217.343 contribuenti pari a 4.659.657 abitanti: questi contribuenti versanti, il 7,81%, pagano un’imposta media annua di 6.377 euro, che si riduce a 4.403 euro per singolo abitante, e versano complessivamente il 12,48% delle imposte.

f) A salire, la scomposizione mostra invece che sono poco più di 5 milioni di contribuenti versanti con redditi superiori ai 35mila euro, coloro che, nella sostanza, sostengono il peso del finanziamento del nostro welfare state. Più precisamente, esaminando le dichiarazioni a partire dagli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 100mila euro, Itinerari previdenziali individua solo l’1,21% dei contribuenti che, tuttavia, versa il 19,91% delle imposte. Sommando a questi contribuenti anche i titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro (che sono 1.385.974, il 3,37% del totale, e pagano il 18,14% del totale delle imposte), si ottiene che il 4,58% paga il 38,05% dell’IRPEF. Includendo infine anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta infine che il 12,99% paga il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Peraltro, in base ad una singolare convenzione che è divenuta prassi nelle policy di vari governi di diverso orientamento il reddito superiore a 35mila euro lordi è divenuto la discriminante del benessere. Questi 5 milioni di concittadini versano poco meno del 60% del prelievo fiscale, ma non ricevono alcun beneficio perché – anche nei momenti più difficili – sono esclusi in generale dalle misure di aiuto o di sostegno adottate in modo ampio nel corso degli ultimi anni.

Sintetizzando, dall’Osservatorio di Itinerari emerge che un numero sempre più esiguo di contribuenti paga sempre di più. «Numeri su cui riflettere – ha spiegato il presidente del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla – rilevando «una differenza tra le diversi classi troppo marcata e destinata ad acuirsi per effetto dei recenti provvedimenti che aumentano importo e platea dei destinatari di bonus e agevolazioni varie. Giusto aiutare chi ha bisogno ma i nostri decisori politici tendono a trascurare come queste percentuali dipendano in buona parte da economia sommersa, evasione fiscale e assenza di controlli adeguati, per le quali primeggiamo in Europa: è davvero credibile che oltre la metà degli italiani viva con meno di 10mila euro lordi l’anno?».

Ci credono solo Schlein e Landini. Peraltro la neo segretaria del Pd rivendica – giustamente – un rafforzamento della sanità pubblica di carattere universalistico. In proposito, però, Itinerari fa notare che solo per pagare la spesa sanitaria, per i primi 2 scaglioni di reddito fino a 15mila euro, la differenza tra l’IRPEF versata e il costo della sanità ammonta a 51,817 miliardi; la differenza sale a 58,2 miliardi sommando i redditi da 15 a 20mila euro.

Considerando anche spesa assistenziale e welfare degli enti locali, la redistribuzione totale è pari a 219 miliardi su circa 555 di entrate, al netto dei contributi sociali. In pratica, viene redistribuito il 40% di tutte le entrate e quasi il 100% delle imposte dirette, che va totalmente a beneficio del 58,06% di popolazione (corrispondente a quanti dichiarano fino 20mila euro) e, in parte, al restante 28,96% (corrispondente ai dichiaranti tra i 20 e i 35mila euro); poco nulla al 12,99% dei paganti.

In conclusione – aggiunge Mara Guarino del centro studi di Itinerari – permane incontrastato “l’italico paradosso” per cui più tasse si pagano e meno servizi si ricevono: una progressività occulta e pericolosa, che penalizza quanti contribuiscono regolarmente e incentiva i cittadini a evadere o dichiarare meno così da non rinunciare a prestazioni sociali o altre agevolazioni da parte di Stato, Regioni e comuni.

Ad avviso di chi scrive la flat tax del 15% fino a 85mila euro per le partite IVA sembra pensata apposta per realizzare gli obiettivi suddetti. Per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali resta comunque indubbio che l’effetto del combinato disposto di imposte dirette e indirette renda forse eccessiva l’imposizione fiscale in Italia, ma al tempo stesso occorre lavorare su soluzioni nuove, concretamente calate sulla realtà del Paese e che sappiano superare il fin troppo banale dualismo tra “ricchi” e “poveri”.

Back To Top