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Sbuffi e misteri di Caltagirone in Generali

Assicurazioni Generali: che cosa fa e che cosa non dice Caltagirone sulle dimissioni dal board e non solo. L'articolo di Emanuela Rossi

 

Un addio non motivato e che, come atteso, ha destato stupore. Le dimissioni – con effetto immediato – di Francesco Gaetano Caltagirone dal consiglio d’amministrazione di Generali sono un nuovo colpo di teatro cui si dovrà rimediare con un cda, la prossima settimana, forse lunedì o martedì, per il reintegro. Alla data delle dimissioni, lo scorso 27 maggio, la quota del gruppo assicurativo in mano all’imprenditore romano – direttamente o attraverso società a lui riconducibili – era pari al 9,95%.

È escluso che lascino il board del Leone gli altri eletti – come indipendenti – nella lista Caltagirone ossia Flavio Cattaneo e Marina Broggi.

Una cosa è certa: sono mesi, prima con la creazione del patto di sindacato con Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt, poi con le dimissioni dalla vicepresidenza, poi con la presentazione di una sua lista (appoggiata pure da Del Vecchio e dai Benetton), che Caltagirone “anima” le vicende che ruotano intorno a Trieste. Ora questo ennesimo colpo di scena, quasi a dire: non sono diventato capitano della squadra ma faccio in modo che sia difficile disputare la partita.

CHI PRENDERÀ IL POSTO DI CALTAGIRONE?

Ora, al posto di Caltagirone, nel board dovrebbe sedere Roberta Neri o almeno così dovrebbe essere secondo l’ordine della lista di minoranza presentata dall’imprenditore nell’assemblea del 29 aprile scorso. Peraltro, come racconta La Repubblica, durante la riunione tra il presidente Andrea Sironi e le tre componenti del Comitato nomine (Clara Furse, Diva Moriani e Luisa Torchia) si sono passate in rassegna le previsioni statutarie per cooptare il nuovo consigliere. Ebbene, lo Statuto di Generali (art.28.13) afferma che per sostituire un amministratore di minoranza il cda “nomina il primo dei candidati non eletti della lista alla quale apparteneva l’amministratore cessato, purché sia ancora eleggibile e disponibile ad accettare la carica ed appartenente al medesimo genere”.

Pare però che la lettura prevalsa nel comitato nomine sarebbe quella di riaffermare lo spirito della norma, scritta per preservare il genere femminile – meno rappresentato – e dunque ancora una volta il posto spetterebbe a Neri. Se poi lei decidesse di fare (sua sponte o meno) un passo indietro, toccherebbe all’ex candidato presidente Claudio Costamagna che – secondo quanto risulta all’Ansa – non sarebbe interessato. In successiva battuta si passerebbe all’ex candidato ad Luciano Cirinà, ex responsabile Generali nell’Est Europa, che tornerebbe al Leone dopo il suo licenziamento per giusta causa seguito alla discesa in campo al fianco di Caltagirone.  Questo pure un altro bel colpo per Donnet e compagni.

E PERCHÉ SI È DIMESSO?

Nulla di ufficiale è trapelato sui motivi alla base della decisione di Caltagirone di abbandonare il board. Di sicuro occorre ricordare che il costruttore capitolino, nella prima riunione seguita al rinnovo del cda, aveva espresso voto contrario alla conferma di Philippe Donnet quale ceo del Leone. Inoltre si erano verificati attriti nella definizione dei comitati che infatti ad oggi non prevedono alcun rappresentante della lista presentata da Caltagirone. In particolare, a convincere Caltagirone, Cattaneo e Broggi a non entrare nei comitati consiliari, era stato il tema delle operazioni di fusione e acquisizione, già argomento caldo nelle settimane pre assemblea.

Come riportato dall’Ansa, in ambienti finanziari si rileva che – nonostante le dimissioni dell’imprenditore dal board – la partecipazione del gruppo Caltagirone in Generali “era e resta strategica”.

Fornisce una lettura più ampia, invece, l’economista e storico Giulio Sapelli, Intervistato dall’AdnKronos, ritiene che le dimissioni di Caltagirone siano “un fatto assai straordinario e grave per i rapporti con l’estero, perché un azionista che ha il 9%, che conduce una battaglia per la modifica della governance e della business idea, della strategia, adesso si dimette dopo non aver raggiunto il suo obiettivo”. Ma ecco aggiungere un elemento mica da ridere: a uscirne con le ossa rotte, sostiene, è Mediobanca che “in altri momenti della sua storia ha operato affinché situazioni di questo genere non accadessero. Credo che ora – ha aggiunto Sapelli – con i problemi che si sono resi manifesti in Generali, diventi impossibile non pensare che non si riversino anche in Mediobanca. La logica conseguenza dovrebbe essere questa”.

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