Certo, dopo 20 mesi di pandemia in cui una larga maggioranza di italiani ha imparato a convivere, senza farsi troppe domande, con forti limitazioni delle libertà personali supportate da motivazioni spesso illogiche si può ritenere che l’opinione pubblica sia addomesticata o rassegnata a tal punto da accogliere come male necessario qualsiasi provvedimento governativo e bersi qualsiasi supercazzola come giustificazione.
Eppure, se per contrastare un virus inafferrabile l’atteggiamento prevalente è stato quello di consegnarsi nelle mani della “Scienza” (o meglio di chi parla in suo nome e la invoca per far credere che non vi siano alternative a decisioni in realtà politiche, discrezionali), sebbene spesso la direzione apparisse tutt’altro che chiara, vogliamo ancora credere che quando si comincia a parlare di tasse, e in particolare di tasse sulla casa, occhi e orecchie si facciano più vigili e gli italiani siano più propensi a ragionare con la ferrea logica del loro portafogli.
Parliamo della annunciata riforma del catasto. Nonostante il Parlamento abbia espresso la sua contrarietà, escludendo il catasto dalla relazione finale approvata a giugno scorso sulla riforma fiscale, ieri in conferenza stampa il presidente del Consiglio Draghi ha confermato le indiscrezioni che ormai si susseguivano di settimana in settimana: la riforma del catasto si farà e chi in questi mesi ha creduto che la volontà espressa dal Parlamento fosse una sufficiente polizza di assicurazione se ne dovrà fare una ragione (personalmente, agli amici con i quali mi confronto ho sempre detto che valeva zero e che la riforma si sarebbe fatta).
Draghi ha assicurato che “il governo vuole fare una operazione trasparenza, determinare le rendite attuali, e si impegna a non cambiare il carico fiscale”. Nonostante la revisione delle rendite catastali, ha specificato, “tutti pagheranno la stessa cosa di prima, nessuno pagherà di più e nessuno pagherà di meno”. Qui, almeno a parole, siamo ben oltre l’invarianza di gettito, che significa che qualcuno andrebbe a pagare di più e qualcuno meno, a gettito appunto invariato: nessuno pagherà di più, dice Draghi.
Un esito “oggettivamente impossibile”, secondo il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa.
E poi, ammesso che mantenga davvero l’impegno, se non cambierà proprio nulla per nessuno, perché farla? Ci torneremo.
Parlando della delega fiscale che dovrebbe arrivare in Parlamento la prossima settimana, Draghi ha anticipato che sarà una “delega molto generale che prepara il contesto per i futuri decreti delegati che sono quelli di riforma del fisco”.
Nelle sue intenzioni parole che dovrebbero suonare come rassicuranti, ma che invece fanno venire i brividi: non mancherà nero su bianco l’ambigua formuletta “a parità di gettito” riguardo il catasto, ma temiamo che una delega “molto generale” significhi di fatto carta bianca al governo (o ai governi). E abbiamo visto cosa è accaduto quando il governo Conte si è dato “pieni poteri” con il decreto del febbraio 2020, in pratica una delega in bianco a governare l’emergenza Covid e restringere libertà fondamentali a colpi di Dpcm (nemmeno impugnabili davanti alla Consulta).
Quindi no, meno generale e più stringente è la delega, meglio è, perché poi sarà molto difficile correggere i decreti delegati in Parlamento. Anche perché non sappiamo quali governi e maggioranze parlamentari ci aspettano. Potrebbero approfittare delle aumentate rendite catastali per nuove patrimoniali e potrebbe persino non essere il governo Draghi ad attuare la delega.
Ma i partiti del sedicente centrodestra che fanno parte della maggioranza e che si sono sempre detti contrari a qualsiasi intervento sulle rendite catastali, sbandierando il documento parlamentare già ricordato, cosa dicono? Come hanno reagito?
Alcuni ministri di Forza Italia avevano già aperto nei giorni scorsi all’ipotesi, purché “a invarianza di gettito”, una condizione tecnicamente molto difficile da realizzare, quando non una mera foglia di fico.
Ora, già ci pare di sentirli mentre ci spiegano che hanno evitato il peggio e tentano di giustificare l’ennesimo boccone amaro: “siamo soddisfatti delle rassicurazioni che ci ha fornito il presidente Draghi”; “abbiamo scongiurato la patrimoniale della sinistra”; “se non c’eravamo noi al governo arrivava una mazzata”; “eh ma non possiamo rischiare di perdere i fondi del Pnrr… le riforme, ce la chiede l’Europa” etc etc).
In serata, dopo le parole di Draghi, siamo già passati da “non voteremo mai una riforma del catasto” a “non voteremo un aumento delle tasse sulla casa” (che infatti non aumenteranno, aumenterà la base imponibile). E siamo solo all’inizio…
Non sappiamo dove sia il trucco, ma ne abbiamo viste troppe ormai per non supporre che da qualche parte ci sia.
Una prima ipotesi è che si prepari il terreno per aumenti futuri, avvicinando le rendite catastali ai valori di mercato o agganciandole al suo andamento (in modo che aumentino automaticamente, senza necessità di intervenire) e superando il sistema farraginoso dei coefficienti decisi a tavolino. Oppure, saranno penalizzate solo le seconde case con la scusa che non sono bene “primario” e spesso sono pure sfitte.
In ogni caso, bisogna tenere presente che l’aumento delle rendite catastali non significa solo l’aumento della tassa sulla casa a cui tutti pensiamo, cioè l’Imu. Legate alle rendite catastali ci sono, per esempio, le imposte di registro, le tasse di successione e l’Iva, ma anche la Tari, la tariffa sui rifiuti, la cui aliquota è fissata dai comuni e non dal governo centrale.
Una provocazione: se la rendita catastale deve aumentare in modo che rispecchi il presunto valore di mercato, allora lo Stato non avrà problemi ad acquistare a quel valore gli immobili che i proprietari decideranno di vendere non riuscendo più a mantenerli per il peso delle tasse. Sarebbe un’ingiustizia, infatti, dover mettere in vendita una seconda casa perché qualcuno dietro la scrivania di un ufficio statale ha deciso che vale “X” per poi scoprire di doverla svendere a “X” -20%…
Una cosa è certa, solo a parlarne si frena il mercato immobiliare e il settore dell’edilizia. A pensar male, si potrebbe sospettare un secondo fine: porre un freno all’inflazione. Se poi dovessero materializzarsi degli aumenti, provocando come nel 2012 una valanga di immobili sul mercato in poco tempo, sarebbe un salasso paragonabile alla “cura Monti”, da cui i valori immobiliari hanno appena iniziato a riprendersi.
(Estratto di un articolo pubblicato su Atlantico Quotidiano)