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Crisi

Stellantis, Ilva, Whirlpool e non solo: ecco tutte le aziende in crisi. Report Fim-Cisl

Automotive, elettrodomestici e siderurgia sono i settori più colpiti dalla crisi. Cosa dice il rapporto Fim-Cisl su Stellantis, Ilva, Whirlpool e non solo

 

In questo primo semestre 2023 abbiamo registrato, rispetto secondo semestre 2022, un aumento di +22.890 lavoratori metalmeccanici coinvolti a vario titolo in crisi legate al settore metalmeccanico (finanziaria, di settore, d’indotto, legate alle materie prime e alle transizioni): siamo passati da  60.727 lavoratori coinvolti al 31 dicembre 2022 a 83.671 del 31 giugno 2023 (per un totale di 717 imprese di cui: 318 aziende sopra i 50 dipendenti e 399 sotto i 50 dipendenti). Un segnale che fa il paio con i dati ISTAT che registrano un rallentamento della produzione industriale, una frenata del PIL nel secondo trimestre dell’anno.

COME VA IL SETTORE METALMECCANICO

Per quanto riguarda il settore metalmeccanico, quello che emerge dal report è un quadro che, seppur all’interno di un forte dinamismo complessivo del settore metalmeccanico, ancora sostenuto dall’export, continua a registrare situazioni di sofferenza legate soprattutto al costo del denaro e alla carenza di materie prime e componentistica a cui si aggiunge, in molti settori, in particolare quello dell’automotive, il peso – specie nell’indotto (vedi ad esempio distretto del tubo del teramano)  la mancanza di politiche industriali per la gestione della transizione green ed energetica che stiamo vivendo.

In alcune regioni, in particolare Lombardia e Veneto, registriamo seppur attenuati, ancora gli effetti derivanti dal conflitto tra Russia ed Ucraina, concentrati in particolare su settori legati all’arredamento e ai macchinari.

Continua, anche se di molto attenuata rispetto al semestre precedente, la carenza di materie prime messa in moto dalla pandemia prima e dalla guerra dopo. In particolare non  del tutto risolta la penuria di semiconduttori e componentistica nell’auto e nell’elettrodomestico dove alto è tornato l’uso della cassa integrazione. Registriamo, ancora situazioni di fermo produttivo e richieste di cassa integrazione di alcune piccole e medie aziende energivore (vedi piccole fonderie e laminatori) per gli aumenti legati al costo dell’energia – ai quali si lega il costo delle materie prime, l’aumento del costo del denaro e l’inflazione; tutti fattori che insieme penalizzano fortemente il mercato interno.

Come appena detto il costo dell’energia continua a incidere in maniera pesante sull’industria nazionale in particolare nei settori energivori, a partire da siderurgia e metallurgia, dove i costi energetici sono la prima voce di costo, superiore persino al costo del lavoro.

A questo si somma il crescente costo del denaro che penalizza gli investimenti in beni strumentali e le incertezze legate alle transizioni green e digitali che riguardano tutta l’Europa. In particolare nella siderurgia, nell’automotive e nella termomeccanica.

Il riposizionamento delle catene del valore a livello globale, continua ad impattare notevolmente su settori come quello dell’auto e dell’elettrodomestico. Su quest’ultimo è intervenuto anche il governo attraverso il golden power rispetto alle trattative in corso per la cessione ai cinesi e al turchi delle aziende italiane .

L’insieme di questi fattori sommati al costo del denaro e all’inflazione stanno segnando, nonostante la buona performance segnata dal settore metalmeccanico nell’ultimo semestre un rallentamento della produzione, l’aumento rispetto agli anni precedenti dell’utilizzo di ferie lunghe nella pausa estiva ed un aumento delle vertenze che utilizzano la cassa integrazione per carenza di commesse.

COME VA L’AUTOMOTIVE

Per  quanto riguarda l’automotive, nonostante la ripresa del mercato dopo 4 anni di calo delle vendite, continua a preoccupare sul piano occupazionale la scelta di fermare la produzione dei motori endotermici nel 2035 in tutt’Europa. Una scelta che impatta l’indotto di componentistica, in cui il nostro Paese è tra i maggiori produttori ed esportatori in Europa, legato ai motori endotermici (dalle aziende produttrici di marmitte a quelle di pompe diesel). Il governo nell’ultimo incontro avvenuto il 24 luglio scorso al MiMIT ha annunciato un protocollo di politica industriale sul settore insieme al Gruppo Stellantis. Attualmente il nostro Paese è quello in maggiore ritardo in Europa rispetto alla gestione della transizione green di questo importante settore che coinvolge oltre 256 mila lavoratori diretti e su cui ci aspettiamo che il “protocollo” riesca a dare le prime risposte per provare recuperare il tempo perso.

Continua la situazione di incertezza e di riposizionamento geopolitico delle filiere di approvvigionamento e del valore, già innescata dalla pandemia, ma che con il conflitto in atto e le transizioni green ed energetica  sta subendo ulteriori scossoni. Da questo punto di vista è positivo, anche se ancora sono oltre 8440 i lavoratori coinvolti, il fatto che, rispetto alla precedente rilevazione, calano le aziende che fermano la produzione per carenza di materie prime: è un sintomo del fatto che molte aziende, specie quelle di grandi dimensioni hanno trovato soluzioni di approvvigionamento  in altri mercati. Resta il tema legato alle piccole e medie imprese che in questa fase scontano rispetto alla loro dimensione minore capacità di reazione sia nella ricerca di mercati che carenza di liquidità da investire nella transizione. Oltre agli aiuti pubblici servirebbe, specie per alcune aziende di filiere coinvolte nelle transizioni,  un lavoro di concerto tra istituzioni, grandi multinazionali, sindacato e hub di ricerca ( Università, ITS) per gestire il passaggio a nuove produzioni.

COME VANNO WHIRLPOOL, ACCIAERIE D’ITALIA E NON SOLO

Calo del mercato, transizione green e carenza di semiconduttori,  componenti elettroniche e materie prime, stanno avendo ripercussioni sul settore dell’elettrodomestico che sta facendo massicci ricorsi alla cassa integrazione. I principali gruppi presenti nel nostro Paese  Electrolux e Whirlpool hanno annunciato tagli e ristrutturazioni su tutti i loro siti in Italia e seppur rinviate le resta aperta la partita di possibili cessioni. In particolare Whirlpool ha annunciato la “revisione strategica del portafoglio delle attività” in tutta l’area Emea. E mentre la gran parte dei siti produttivi è in cassa integrazione continua la situazione di incertezza.

Permane, seppur limitata, la povertà di materie prime legata alla lavorazione siderurgica che aveva interessato, specie nel Nord-Est, alcuni impianti siderurgici nella prima fase del conflitto, oggi in parte rientrata. Rimane anche se attenuato il problema legato al costo dell’energia che, specie per i piccoli impianti di laminazione e fonderie, continua a generare situazioni di forte sofferenza e ricorso agli ammortizzatori.

Una considerazione a parte merita il Gruppo ex-Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, 10700 lavoratori diretti e circa 20mila coinvolti tra appalti e forniture, una vertenza storica che non vede una soluzione nell’immediato futuro.  Nonostante le buone intenzioni manifestate nello scorso anno, resta lontano l’obiettivo di una ripresa produttiva e occupazionale, come pure l’ingresso a maggioranza dello Stato, tramite Invitalia, nel nuovo assetto societario di Acciaierie d’Italia.

Preoccupante anche la situazione dei 8630 lavoratori coinvolti in crisi finanziarie: si tratta in genere di piccole e medie imprese legate all’indotto dei settori dell’auto, dell’elettronica e dell’impiantistica; su queste ultime in particolare pesano, come nel caso del gruppo Alpitel, Sirti, Valtellina, Italtel, Site ecc. i meccanismi legati alle gare a massimo ribasso che stanno mettendo fuori mercato molte delle aziende storiche dell’impiantistica. Un settore quello delle TLC che tra aziende dirette ed indotto occupa oltre 200.000 lavoratori.

Nel corso del mese di giugno e luglio di quest’anno il settore delle TLC ha messo in campo uno sciopero e manifestazioni per chiedere al governo un tavolo presso il MIMIT, che coinvolga FIM-FIOM-UILM, Associazioni Datoriali  e che veda il coinvolgimento delle società a partecipazione pubblica (Open Fiber e Infratel) e soprattutto di TIM, principale committente delle aziende operanti nel settore, per realizzazione di un’intesa urgente che punti alla salvaguardia e allo sviluppo di un settore strategico per il Paese, come quello delle TLC abolendo le gare a massimo ribasso e garantendo lavoratori e imprese. Dall’analisi condotte da Fim, Fiom, Uilm nel documento consegnato al governo, interfacciandosi con le singole imprese e verificando la congruità dichiarata dalle stesse alle normative legislative vigenti in materia e ai minimi del CCNL Federmeccanica – Assistal, attestano che il costo del lavoro (minimi contrattuali, reperibilità, elementi accessori alla retribuzione, ecc.) a base di gara non può risultare inferiore a 25/26 €/ora e il costo industriale complessivo (costo del lavoro, costi indiretti, costi per la sicurezza del personale, ecc.) non inferiore a 37 €/ora.

Resta infine sostanzialmente immutato, il quadro delle “crisi storiche” presenti al MiMIT per quanto riguarda il settore metalmeccanico che interessa oltre 50 tavoli di crisi. Si tratta di aziende sopra i 200 dipendenti (Blutec, Firema, Jsw Piombino ex-Lucchini, Jabil ex-Ilva, ecc.) per le quali ormai da anni stentano a decollare piani di reindustrializzazione concreti che ridiano una prospettiva occupazionale e di sviluppo.

LE DICHIARAZIONI DEL SEGRETARIO BENAGLIA

Per il Segretario generale della Fim Cisl Roberto Benaglia: “il rallentamento che in questi mesi del 2023 si è determinato nelle filiere metalmeccaniche ha prodotto un allargamento delle aziende e dei lavoratori che vivono criticità. Ai tradizionali settori e casi irrisolti di crisi aziendali si sono aggiunti i fattori negativi dell’aumento dei tassi di interesse e della frenata dell’industria metalmeccanica tedesca a cui siamo particolarmente legati.

Tuttavia quella in atto è una debolezza produttiva che può e deve essere superata nella seconda parte dell’anno, soprattutto se le politiche pubbliche non adotteranno strategie recessive e punteranno a finanziare investimenti in tecnologie e in competenze dei lavoratori. L’Italia non può fermarsi di fronte alle transizioni tecnologiche, digitali e ambientali in atto. Come rivendicato dai metalmeccanici con le mobilitazioni recenti, serve una politica industriale che governi e sostenga imprese e lavoratori più coinvolti nelle transizioni.

Al Governo continuiamo a chiedere atti e piani concordati che diano certezze e segnino il rilancio possibile di aziende e filiere. Quello in via di definizione al MiMIT con Stellantis costituisce un banco di prova fondamentale e importante, soprattutto se porterà a aumentare i volumi produttivi, sostenere la ricerca e la filiera della componentistica, qualificare e mettere in sicurezza ogni sito con una inversione di tendenza positiva sull’occupazione.

Siamo continuamente impegnati come Fim insieme agli altri sindacati, nell’affrontare i troppi tavoli di crisi presenti al MiMIT. Per fortuna la conclusione positiva della vertenza Speedline e i primi accordi per la risoluzione a breve della reindustrializzazione in Wartsila a Trieste dimostrano che le crisi si possono risolvere a vantaggio dell’occupazione e che la nostra azione tenace ai tavoli produce risultati.

In autunno abbiamo bisogno di confronti che diano risposte capaci di riuscire a risolvere le crisi aziendali aperte. In questo senso, è positivo quanto annunciato nella giornata di ieri dal Ministro Urso al tavolo Stellantis, di voler incontrare i sindacati metalmeccanici a metà settembre per affrontare le partite industriali che riguardano sia le filiere di automotive, siderurgia ed elettrodomestico e le crisi industriali. Noi crediamo che solamente intensificando il confronto e redendolo concreto possiamo dare quelle risposte di cui oggi industria e occupazione hanno bisogno.

L’industria metalmeccanica mantiene grandi potenzialità e un dinamismo che va accompagnato. Ci aspettiamo dal Governo un’ azione più decisa per attrarre nel nostro Paese nuovi investimenti industriali”.

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