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Ratificare il Mes?

Che cosa dice il Mes del Mes e qual è la direzione di marcia del governo Meloni. L’analisi di Giuseppe Liturri

Sarà stata una coincidenza, ma giovedì 3 novembre, esattamente poche ore prima che il Presidente Giorgia Meloni varcasse la soglia dei palazzi di Bruxelles per incontrare i vertici delle istituzioni della UE, sul sito del Mes è apparso un breve, quanto incisivo, intervento. La finalità era quella di proporlo come strumento centralizzato e comune per la stabilizzazione delle politiche fiscali degli Stati membri. In parole povere, chi ha problemi può sempre attingere, a certe condizioni, ai prestiti del Mes. Strumento che rivelerebbe la propria utilità proprio durante le crisi, quando le politiche fiscali espansive sono necessarie ma non tutti gli Stati hanno la possibilità di attuarle e finanziarle.

Il messaggio appare chiaro. Rivolto a chi, anche nel nuovo governo, parla di debito comune europeo. Lo strumento c’è già, è di rapido e pronto impiego e, secondo gli autori che evitano di fare nomi, fa proprio al nostro caso. Si chiama Meccanismo Europeo di Stabilità ed esiste da circa 10 anni.

Il ragionamento sviluppato da Nicola Giammarioli e da Martin Rey, il primo segretario generale ed il secondo economista del Mes, è molto lineare e lucido e, se analizzato dal punto di vista dei nostri partner europei, non fa una piega.

Secondo loro è il momento adatto per introdurre uno strumento che intervenga a migliorare e stabilizzare la capacità fiscale degli Stati membri. Proprio perché è in corso il processo di revisione del quadro delle regole di bilancio europee, tale percorso deve essere completato dalla disponibilità di un simile strumento, che potrebbe anche aiutare a sbrogliare la matassa delle trattative su una riforma che si presenta particolarmente ingarbugliata.

È un fatto che gli ultimi shock esterni – dalla pandemia, alla guerra in Ucraina, al cambiamento climatico – hanno richiesto la disponibilità di strumenti per mitigare il loro impatto e la politica monetaria e fiscale non sempre possono fornire una risposta adeguata. Allora potrebbe intervenire il Mes con i suoi prestiti. Ottenendo un immediato effetto di stabilizzazione e, in ogni caso, non incentivando nei beneficiari alcun tipo di “azzardo morale” (definizione usata per un comportamento all’insegna del facciamo come ci pare, tanto ci sono gli aiuti del Mes), perché quei prestiti andranno comunque restituiti ed i criteri di ammissibilità – come l’analisi di sostenibilità del debito e le regole di bilancio – sono comunque stringenti.

Starà al Mes ed alla Commissione, in collaborazione con la Bce, valutare l’esistenza delle condizioni per l’intervento del fondo. La cui introduzione e gestione all’interno dell’istituto con sede a Lussemburgo, non richiede particolari complesse formalità. C’è già tutto: capitale versato, garanzie, struttura amministrativa. Non serve richiedere agli Stati membri ulteriori versamenti.

È essenziale legare questo fondo alle regole di bilancio in corso di revisione. Infatti svolgerebbe un ruolo anti-ciclico e sarebbe un efficace complemento per le regole oggi in discussione. Durante i periodi di crescita incentiverebbe politiche fiscali prudenti e durante i periodi di crisi fornirebbe stabilità, aiutando gli Stati che faticano a trovare spazio fiscale, pur avendo avuto comportamenti prudenti in passato. Infatti anche se le regole di bilancio consentono politiche espansive durante i periodi di crisi, non è detto che gli Stati siano capaci di finanziarle. Ecco che arriva il Mes con il suo fondo.

Inoltre ci deve essere perfetta sincronia ed allineamento tra le regole di bilancio ed il fondo di stabilizzazione. Infatti non ha senso sospenderle se poi non c’è lo spazio fiscale a disposizione o, all’opposto, far sì che le regole siano talmente stringenti da impedire l’uso di quei fondi pur disponibili. Regole e fondo del Mes devono agire a fisarmonica. Le prime devono lasciare spazio al secondo. Ecco perché – concludono gli autori – è proprio ora il momento di discuterne ed introdurlo. Dal punto di vista economico servirebbe a neutralizzare l’impatto degli shock esogeni sempre più probabili. Dal punto di vista politico, aiuterebbe ad affrontare e risolvere efficacemente la riforma di alcuni aspetti chiave delle regole di bilancio europee.

Ci permettiamo di ipotizzare che questa posizione – resa nota con un sospetto tempismo – sia condivisa da molti governi della UE e, per questo motivo, debba suscitare una doverosa attenzione nel governo italiano. Attenzione che non ci è sembrato di cogliere nella conferenza stampa di venerdì 4 novembre, quando il Presidente Meloni ha dichiarato che “il Mes non è stato oggetto di interlocuzione ieri e noi non abbiamo ancora aperto questo dossier”, riferendosi ai colloqui avvenuti a Bruxelles. Ancora meno allarme, abbiamo colto nelle parole del ministro Giancarlo Giorgetti, quando ha aggiunto che “noi e la Germania siamo in buona compagnia, siamo gli unici paesi che non l’hanno approvato. Aspettiamo con pazienza la decisione della Corte di Karlsruhe che rispettiamo moltissimo e che è già intervenuta ripetutamente sulle regole europee”.

È vero che ratificare la riforma del Trattato del Mes ovviamente non equivale a richiederne i prestiti. Ma va ribadito che il nuovo testo contiene la disciplina per non solo commissariare il Paese ma ridurlo nelle condizioni di uno Stato fallito. Prescindiamo dall’aspetto formale non secondario che la riforma del Trattato deve essere solo “ratificata” dal Parlamento per l’entrata in vigore, mentre il governo italiano, a mezzo di un ministro plenipotenziario, l’ha già firmata il 27 gennaio 2021. Ma trincerarsi dietro Karlsruhe – che nel 2012 era intervenuta a Trattato già ratificato, ponendo delle condizioni che dettero vita ad un obbrobrio giuridico secondo cui in Germania vige un Trattato dal testo diverso – potrebbe rivelarsi insufficiente. È infatti ipotizzabile che dalla Corte tedesca arrivi un sostanziale via libera, con i soliti paletti posti già nel 2012, ed allora il governo italiano resterebbe solo e non può certo improvvisare una risposta.

La salva d’avvertimento sparata giovedì dovrebbe servire a predisporre protezioni ben più robuste, perché chiedere alla seconda potenza manifatturiera d’Europa di seguire la sorte di Grecia, Portogallo, Irlanda, Cipro e Spagna (solo per le banche dissestate), minerebbe le fondamenta di questo governo.

Delle due, l’una: o questa maggioranza parlamentare non ratifica il Trattato, esponendosi ad un conflitto durissimo con le istituzioni europee, oppure accetta la ratifica, facendosi pagare questo enorme sacrificio con adeguate contropartite su altri dossier, a partire dal Patto di Stabilità che, per primo, ci aiuterebbe a tenere a distanza di sicurezza proprio i prestiti del Mes.

È arrivato il momento dei negoziati duri e capiremo se è davvero finita la pacchia per i nostri partner europei, abituati a vederci proni, subalterni e timorosi di interrompere il “sogno” europeo.

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